Skip to content
POLYSEMi Portal
  • Home
  • Partner
  • Eventi
    • Flussi di Facebook
    • Flussi di Twitter
    • Conferenza finale POLYSEMI
    • Conferenza Stampa
    • Patrimonio culturale e turismo
    • Piattaforma di rete – Rapporto
    • Con una guida turistica di letteratura
    • Congresso internazionale itinerante
    • Assemblea degli stakeholder
    • Fili invisibili – legami visibili
    • Conferenza di Corfù
    • Settimana letteraria
      • Programma
      • Eventi teatrali
      • Sviluppo culturale e turistico sostenibile: itinerari culturali
      • Laboratorio
      • Lezioni frontali e musica
      • Tra Adriatico e Ionio. Itinerari culturali e turismo sostenibile
    • Conferenza di Taranto
    • Attività educative
    • Mostra Apoplus
      • Video clip APOPLUS
      • Libro APOPLUS
      • Inaugurazione APOPLUS
      • Streaming video APOPLUS (IT)
      • Comunicato stampa APOPLUS
      • Invito APOPLUS
      • Poster APOPLUS
      • Opuscolo APOPLUS
      • Artisti APOPLUS
        • A-Z
          • Antonio Brandimarte (IT)
          • Colleen Corradi Brannigan (IT)
          • Francesco Cherci (IT)
          • Fabio Alessandro Fusco (IT)
          • Paul Haigh (IT)
          • He Lidan (IT)
          • Stephen Nova (IT)
          • Karina Puente Frantzen (IT)
          • Donatella Violi (IT)
        • Α-Ι (Greco)
          • Io Angeli (IT)
          • Giannis Adamakis (IT)
          • Sofia Avgerinou Kolonia (IT)
          • Antonis Vathis (IT)
          • Archontoula Vasilara (IT)
          • Olga Venetsianou (IT)
          • Spyros Verykios (IT)
          • Socrates Yiannoudes (IT)
          • Efthimios Efthimiadis (IT)
          • Tzimis Efthimiou (IT)
          • Kiveli Zachariou (IT)
        • Κ-Μ (Greco)
          • Andreas Kalakallas (IT)
          • George Kalakallas (IT)
          • Christophoros Katsadiotis (ΙΤ)
          • Nikolas Klironomos (IT)
          • Μaria Konomi (IT)
          • Aspassia Kouzoupi (IT)
          • Nikolaos Kourniatis (IT)
          • Lia Koutelieri (IT)
          • Nikos Kranakis (IT)
          • Dimitris Kostas (IT)
          • Loula Leventi (IT)
          • Elisavet Mandoulidou (IT)
          • Maria Markou (IT)
          • Dimitra Mermigki (IT)
          • Dimitris Miliotis (IT)
          • Frini Mouzakitou (IT)
        • Ν-Ω (Greco)
          • Stelios Panagiotopoulos (IT)
          • Panagiotis Panos (IT)
          • Maria Papadimitriou (IT)
          • Filippos Peristeris (IT)
          • Vangelis Rinas (IT)
          • Dimitris A. Sevastakis (IT)
          • Andreas Sitorengo (IT)
          • Stefanos Souvatzoglou (IT)
          • Anastasia Zoi Souliotou (IT)
          • Efrossyni Tsakiri (IT)
          • Dimitris Tsiantzis (IT)
          • Helene Haniotou (IT)
          • Vivetta Christouli (IT)
      • Giovani artisti APOPLUS
      • Workshops APOPLUS (IT)
    • Conferenza di Bari
  • Biblioteca
    • Biblioteca greca
    • Biblioteca italiana
  • Itinerari
    • Itinerario culturale di Theotokis
    • Itinerario culturale di D. Solomos
    • Itinerario culturale di A. Sikelianos
    • Itinerario culturale di G. Ksenopoulos
    • Itinerari per diversamente abili
    • Le storie del pellegrino
    • Passeggiando con Sissi
    • Le vie per l’arcadia
    • L’itinerario della Passione
    • Itinerario per viaggiatori incantati
    • Reportages d’autore
    • Le Isole Ionie Secondo L. Durrell
    • Itinerario Dei Miti E Degli Eroi
    • L’isola Degli Scrittori
    • Viaggio senza limiti
    • Il paesaggio delle Isole Ionie: Williams “il greco” sulle orme degli autori classici (diciannovesimo secolo)
    • Itinerario per anziani
    • Itinerario per famiglie
    • Itinerario per scolaresche
    • Itinerario per single
  • Tour educativi
    • Tour educativo a Zante
    •  Tour educativo a Corfu
    • Tour educativo a Kefalonia
    •  Tour educativo a Lefkada
  • Flussi
    • Esposizione Apoplus – video clip
    • Esposizione Apoplus – flussi video
    • Sviluppo culturale e turistico sostenibile: itinerari culturali – flussi video
  •  Media
  • Rete
  • Italiano
    • English
    • Ελληνικά
    • Italiano

Itinerario per scolaresche


Itinerario per scolaresche

Natura, cultura e esperienze autentiche per i più giovani

KERKIRA(CORFU’ TOWN)/KANONI/ACHILLEION/PONTIKONISSI/LEFKADA(NYDRI)/ZANTE CITTA’/ KILIOMENO/AGIOS LEON/KAMPI/MARIES/ANAFONITRIA/KATASTARI/BOCHALI

Tour 8 giorni/7notti

Giorno 1

CORFU’/KERKIRA

Arrivo a Corfù, che ci accoglie con «case ammucchiate a casaccio, persiane verdi spalancate come ali di mille farfalle» (G. Durrell, La mia famiglia e altri animali)

Sistemazione in hotel

Pranzo in una tipica taverna

Visita guidata tra i vicoli del centro storico, dominato dall’imponente campanile della Chiesa di San Spiridione, principale monumento dell’Isola. Il santo, infatti, a cui gli isolani sono molto legati, viene portato in processione ben 4 volte all’anno, del forte Nuovo e del Forte Vecchio

Visita della casa parlante della città, un “museo vivo”, dove la storia della Vecchia Città di Corfù si anima ed invita il visitatore a viaggiare nel tempo. Leggi di più “Itinerario per scolaresche” →

Itinerario per famiglie


Itinerario per famiglie

La Puglia fra cultura, svago e tradizioni

Mottola, Taranto, Isola S. Pietro, Martina Franca, Alberobello, Bari, Canosa di Puglia, Rutigliano, Canosa di Puglia, Polignano a Mare

10 giorni/9 notti

Giorno 1

MOTTOLA

Arrivo a Mottola e visita della città detta “Spia delle Puglie” per la sua posizione strategica

Pranzo libero

Visita guidata della città e delle “Grotte di Dio”, cripte conservano affreschi dedicati alla religione cristiana di notevole interesse e fascino

Leggi di più “Itinerario per famiglie” →

Itinerario per anziani

Itinerario per anziani

La quiete e la bellezza del tacco d’Italia

Tour 7 giorni/6notti

Bari, Molfetta, Polignano a Mare, Brindisi, Taranto, Massafra, Alberobello, Martina Franca, Altamura, Gravina di Puglia

Giorno 1

BARI

Arrivo a Bari e sistemazione in hotel

Visita del pittoresco mercato di Bari, dove, tra bancarelle spesso improvvisate assisteremo alla lavorazione del pesce

Pranzo in ristorante tipico con specialità di mare, come i ricci con il pane e l’orata al forno alla barese. Leggi di più “Itinerario per anziani” →

Il paesaggio delle Isole Ionie: Williams “il greco” sulle…

Il paesaggio delle Isole Ionie: Williams “il greco” sulle orme degli autori classici (diciannovesimo secolo)

Stefano Bronzini

«Il ricco paesaggio di Corfù, delle isole di Paxos, Cefalonia e Santa Maura, nuvole lontane sulle acque azzurre del Mar Ionio», ha catturato l’interesse di Hugh William Williams mentre viaggiava su una barca in quelle latitudini.

È possibile ripercorrere l’itinerario che egli ha seguito per raggiungere la Grecia attraverso le lettere destinate a John Thomson di Duddingston e raccolte nell’opera Travels in Italy, Greece, and the Ionian Islands, punteggiata di descrizioni suggestive che rispecchiano il talento dell’autore nell’arte della pittura di paesaggio. Leggi di più “Il paesaggio delle Isole Ionie: Williams “il greco” sulle orme degli autori classici (diciannovesimo secolo)” →

Viaggio senza limiti

Bari, Polignano, Castellana Grotte, Alberobello, Taranto, Corfù, Benitses

[Tedesco] 

[Spagnolo] 

Questo itinerario è stato concepito per soddisfare il legittimo desiderio di viaggiare e di conoscere di ciascuno di noi, nessuno escluso. Affinché viaggiare possa essere un’esperienza inclusiva e stimolante, affinché nessun limite precluda la possibilità di vivere a pieno la magia di un viaggio, abbiamo pensato un percorso il più possibile privo di barriere architettoniche, ma ricco di stimoli culturali e di bellezze paesaggistiche. Non un itinerario “diverso”, ma un itinerario per tutti, senza limiti, come il titolo che abbiamo deciso di assegnare a questo percorso. In quest’ottica abbiamo pensato di includere nel tour che proponiamo alcune delle mete e delle destinazioni di tutti gli itinerari già concepiti nell’ambito del portale di Polysemi, che soddisfino il più possibile i requisiti necessari ai viaggiatori con bisogni speciali, raccontate, come da prassi, dai letterati e dagli intellettuali che hanno viaggiato prima di noi tra Puglia e Isole Ionie. Durante la costruzione di questo itinerario ci siamo resi conto di come negli ultimi anni siano stati effettuati diversi progetti di adeguamento dei beni architettonici, paesaggistici e culturali in termini di accessibilità per alcuni tipi di bisogni; tuttavia è ancora tanto il lavoro da fare per garantire una reale fruibilità da parte di tutti i viaggiatori. Nel nostro itinerario “senza limiti” sono stati inseriti luoghi privi di barriere che ostacolino la mobilità e la percorribilità; per ciascuna meta sono stati inoltre indicati gli eventuali ausili che garantiscono la fruibilità del luogo per diversi tipi di bisogni. Abbiamo creato mini itinerari, riassunti attraverso mappe visualizzate, che ne facilitano la consultazione.

SENZA LIMITI DEF.png
Immagine 4
Bari, Stazione centrale
ACCESSIBILITÀ: percorso senza barriere (in piano, con rampa, con ascensore), percorso tattile dall’ingresso della stazione ai binari
FRUIBILITÀ: sistemi di informazioni al pubblico sonori e visivi
(Foto Di Haragayato – Photo taken by Haragayato using a FinePix40i, and edited., CC BY-SA 2.5, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=909819)

La prima tappa del nostro itinerario è Bari. Sia che si arrivi in aereo o che si raggiunga la città in treno, il viaggio può iniziare tranquillamente, poiché sia l’Aeroporto che la Stazione ferroviaria Centrale sono accessibili. In particolare nella Stazione Centrale di Bari sono attualmente in corso ulteriori lavori di ristrutturazione che garantiranno il miglioramento della fruibilità. Segnaliamo che proprio dalla stazione parte il “percorso di luce”, un tragitto pensato per non vedenti ed ipovedenti che si snoda per circa 2,5 km nel centro murattiano di Bari. Una pista tra le più lunghe al mondo, realizzata in mattoni tattili che segnalano i percorsi liberi, le relative deviazioni, gli attraversamenti stradali e gli ostacoli superabili o invalicabili; tuttavia si segnala che i semafori non sono dotati di segnalatori acustici, si consiglia pertanto ai non vedenti accompagnati. Alla stazione di Bari, arrivò Pier Paolo Pasolini nel 1951, e sarà proprio il grande poeta e cineasta ad accompagnarci alla scoperta del borgo murattiano del capoluogo pugliese, città a cui dedicò il racconto Le due Bari. Arrivare di sera in una città sconosciuta è un’avventura per ogni viaggiatore e per Pasolini l’arrivo a Bari assume i tratti di un’avventura dai contorni kafkiani.

Così scrive:

Kafka, ci vuole Kafka. Scendere dal rapido, non potere entrare in città né avanzare di un passo fuori dal viale della stazione, può accadere solo al personaggio di un’avventura kafkiana […], io ero rimasto solo, a tremare, nel piazzale rosso, verde, giallo della stazione: in me lottavano ancora la seduzione dell’avventura e un ultimo residuo di prudenza. (P. P. Pasolini, Le due Bari)

La sensazione di smarrimento provata dal poeta non deve spaventarci, poiché è la stessa che potrebbe provare ognuno di noi quando, arrivato alla stazione centrale del capoluogo pugliese, vede aprirsi davanti a sé un reticolo ortogonale a scacchiera di strade che possono sembrare tutte uguali, frutto del progetto di restyling urbanistico del XIX secolo promosso da Gioacchino Murat. La nuova Bari, sviluppatasi fuori dalle sue vecchie mura medievali, secondo i canoni estetici ottocenteschi delle moderne città europee, è un susseguirsi ordinato di strade e viali che disegnano una maglia geometrica totalmente estranea e quasi giustapposta alla disordinata trama mediterranea di vicoli e vicoletti che caratterizzano la città vecchia.

Conviene non imboccare una strada a caso, come fece Pasolini: «così senza aver deciso nulla, scelsi una strada, una delle tante, piena di scritte luminose e mi incamminai», consigliamo invece di proseguire lungo via Sparano, la larga via pedonale dello shopping barese. Qui è possibile ammirare Palazzo Mincuzzi, uno degli edifici di gusto liberty più belli e stravaganti di Bari.

G:\materiale polysemi gennaio\mincuzzi palazzo.png
Bari, Palazzo Mincuzzi
ACCESSIBILITÀ: assenza di barriere per la mobilità
FRUIBILITÀ: ascensore interno per accedere ai piani superiori
(foto di Kodos Opera propria, CC BY-SA 3.0 https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=17849927)
Al termine di Via Sparano il viaggiatore può proseguire lungo Corso Vittorio Emanuele; da qui abbiamo delineato tre percorsi possibili:

Itinerario

1

C:\Users\Lucia\Desktop\108NIKON\DSCN9481.JPG
Bari, Teatro Margherita
ACCESSIBILITÀ: rampa esterna
Picture 2
Bari, Lungomare Nazario Sauro
G:\polysemi\Bari,_palazzo_della_provincia,_di_luigi_baffa,_1935,_01.jpg
Palazzo della Provincia, Bari
ACCESSIBILITÀ: ascensore all’ interno del palazzo per accedere alla Pinacoteca
FRUIBILITÀ: audioguide

Al termine di Via Sparano, girando a destra e imboccando Corso Vittorio Emanuele, sullo sfondo si staglia scenograficamente, nelle sue eleganti forme liberty, il Teatro Margherita oggi Polo delle arti contemporanee, prestigiosa sede di mostre ed esposizioni d’arte internazionali, dotato di accessi e percorsi accessibili.

Appena superato il teatro Margherita, a poca distanza da Piazza IV Novembre, si apre l’antico bacino portuale di Bari, chiamato in dialetto ‘’nderre alle lanze’, cioè a terra delle lance, con riferimento all’approdo delle piccole e tipiche barche dei pescatori che, ancora oggi, non sono troppo diverse da quelle che incantarono Pasolini. Qui il viaggiatore potrà assistere, come capitò al poeta, al colorato rito laico che si consuma ogni mattina: la vendita del pescato su bancarelle spesso improvvisate, la lavorazione dei polpi e le degustazioni di molluschi crudi prese d’assolto da turisti e cittadini.

Dal teatro Margherita procedendo in direzione sud si va verso il mare, che è una presenza costante della Bari pasoliniana, e che si rivela nel suo splendore adriatico soprattutto la mattina.

Scrive Pasolini:

Alzato il sipario del buio, la città compare in tutta la sua felicità adriatica.

Senti il mare, il mare, in fondo agli incroci perpendicolari delle strade di questa Torino adolescente: un mare generoso, un dono, non sai se di bellezza o di ricchezza. Davanti al lungomare (splendido), sotto l’orizzonte purissimo, una folla di piccole barche piene di ragazzi (i ragazzi baresi alti e biondi, coi calzoni ostinatamente corti sulla coscia rotonda, la pelle intensa, solidi) si lascia dondolare nel tepore della maretta. Nella luce stupita si incrociano i gridi dei giovani pescatori: e senti che sono gridi di soddisfazione, che il mare dietro la rotonda è colmo di pesciolini trepidi e dorati. E mentre il mare fruscia e ribolle, senti dietro di te con che gioia la città riprende a vivere la nuova mattina! (P. P. Pasolini, Le due Bari)

Consigliamo dunque di percorrere l’ampio marciapiede del Lungomare cittadino di mattina, quando i colori del cielo e del mare si riflettono l’uno nell’altro. Il mare è sempre accanto al viaggiatore, fiancheggiato da un ritmico susseguirsi di lampioni di ghisa che lascia intravedere le forme della città, con le sue silhouette perfettamente riconoscibili, dal campanile della Cattedrale sino ai monumentali edifici fascisti. Continuando la nostra passeggiata in direzione sud, la città sembra subire una metamorfosi, gli eleganti edifici di gusto liberty e i colori vivaci del porticciolo cedono il passo all’ostentata monumentalità dell’architettura fascista che, negli anni ‘20 e ’30 del Novecento, ridisegnò questo tratto della costa barese.

Continuando la nostra passeggiata in direzione sud, la città sembra subire una metamorfosi, gli eleganti edifici di gusto liberty e i colori vivaci del porticciolo cedono il passo all’ostentata monumentalità dell’architettura fascista che, negli anni ’20 e῾30 del Novecento, ridisegnò questo tratto della costa barese.

Proseguendo sul lungomare consigliamo una visita alla Pinacoteca Provinciale Corrado Giaquinto che ha sede all’ultimo piano dell’ex Palazzo della Provincia, oggi sede della Città Metropolitana di Bari. Il palazzo è dotato di un ascensore accessibile; non sono tuttavia disponibili ausili per ipovedenti o non vedenti, oltre alle audio guide. L’edificio è uno dei più rappresentativi dell’architettura barese del periodo fascista, caratterizzato dall’eclettica ripresa, in chiave monumentale, di elementi della tradizione civico-rinascimentale italiana e classico-romana. Lungo le sedici sale del museo cittadino si snoda un interessante percorso di arte meridionale che va dal Medioevo al Novecento.

Continuando la passeggiata sul Lungomare, per chi lo desidera, è possibile giungere nella spiaggia cittadina di Pane e Pomodoro che grazie al progetto No Barrier, finanziato dal programma Interreg Italia-Grecia 2007-2013, è stata dotata delle infrastrutture e degli ausili necessari a migliorarne la fruibilità da parte di tutti (ad esempio persone con ridotta mobilità o anziani).

Immagine 3
Bari, Lungomare
ACCESSIBILITÀ: passerella in cemento dotata di passamano in acciaio per accedere alla battigia
FRUIBILITÀ: cabina/spogliatoio accessibile
(foto di Podollo at it.wikipedia, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=3689140)

Itinerario

2

mmagine correlata
Bari Vecchia, Piazza Ferrarese
C:\Users\Lucia\Desktop\108NIKON\DSCN9528.JPG
Bari, Piazza Mercantile
Immagine1
Bari, Bari, veduta sul molo vecchio.
(Foto di Battlelight Wikipedia Italian version, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=48156362)
Immagine5
Bari Vecchia, San Nicola
ACCESSIBILITÀ: rampa esterna laterale
Foto di Berthold Werner, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=61405024

Al termine di Via Sparano, girando a destra e imboccando Corso Vittorio Emanuele, all’altezza dell’incrocio con via Cavour, troviamo, sulla sinistra, Piazza Ferrarese, vera anticamera del centro storico. Qui giunse nella Pasqua del 1957 anche la scrittrice pedemontana Lalla Romano, nel corso di un viaggio che l’avrebbe portata sino in Grecia. Questa piazza «lunga, ampia, calma» le evoca ricordi famigliari.

La piazza, oggi uno dei luoghi notturni della movida barese, deve il suo nome a un mercante originario di Ferrara che visse e fece la sua fortuna a Bari nel XVII secolo. È ancora possibile osservare la pavimentazione della strada romana Appia-Traiana che in passato passava da Bari proprio in questo punto della città. Sulla sinistra c’è la sala Murat, un ambiente che ospita mostre di arte contemporanea e, poco più distante, si scorge la zona absidale di una piccola chiesa, chiamata La Vallisa, risalente all’XI secolo. Questo luogo, oggi adibito ad auditorium diocesano, era la chiesa della comunità di mercanti Ravellesi e Amalfitani presenti in città nel Medioevo.

Sulla destra della piazza c’è l’edificio che un tempo era l’antico mercato del pesce comunale. Piazza Ferrarese ha sempre rappresentato l’elegante ingresso alla città vecchia che, attraverso viuzze, vicoli e larghi, introduce il viaggiatore nel suo ventre che riserva non poche sorprese. Percorrendo i vicoli della città, il viaggiatore non potrà fare a meno di notare come Bari Vecchia sembri risplendere di una sua luce particolare, a dispetto dei vicoli stretti e ombreggiati.

Scrisse Pasolini:

Qui tutto è chiaro: anche la città vecchia, dalla chiesa di San Nicola al castello svevo pare perennemente pulita e purificata, se non sempre dall’acqua, dalla luce stupenda. (P. P. Pasolini, Le due Bari)

E proprio alla luce di Bari, nel 1964, Pasolini dedicherà intensi versi la cui lettura potrebbe rendere più poetico il prosieguo del nostro itinerario alla scoperta dei gioielli della citta vecchia.

Un biancore di calce viva, alto,

– imbiancamento dopo una pestilenza

– che vuol dir quindi salute, e gioiosi

mattini, formicolanti meriggi – è il sole

che mette pasta di luce sulla pasta dell’ombra viva, alonando, in fili

di bianchezza suprema, o coprendo

di bianco ardente il bianco ardente

d’una parete porosa come la pasta del pane

superficie di un medioevo popolare

– Bari vecchia, un alto villaggio

sul mare malato di troppa pace –

un bianco ch’è privilegio e marchio

di umili – eccoli, che, come miseri arabi,

abitanti di antiche ardenti Subtopie,

empiono fondachi di figli, vicoli di nipoti,

interni di stracci, porte di calce viva,

pertugi di tende e di merletto, lastricati

d’acqua odorosi di pesce e piscio

– tutto è pronto per me – ma manca qualcosa.

(P. P. Pasolini, Un biancore di calce viva, in Poesie in forma di rosa)

Proseguendo da Piazza Ferrarese possiamo giungere in Piazza Mercantile.

Proseguendo la passeggiata il viaggiatore può percorrere via Venezia, detta la “muraglia” barese che costeggia il centro storico e da cui è possibile godere della bellissima vista del Lungomare.

Non possiamo lasciare Bari Vecchia prima di aver visitato uno dei suoi monumenti più importanti, la Basilica di San Nicola, meta fin dal Medioevo di numerosissimi pellegrini.

Il viandante di ieri, come possiamo fare anche noi oggi, vi arrivava solo dopo aver costeggiato il Castello e la Cattedrale, e aver percorso l’attuale Via delle Crociate. Raggiunta l’attuale via Palazzo di città, una strada il cui nome antico era Ruga Fragigena, cioè strada Francigena, si apre finalmente la piazza dove si erge maestosa, nelle sue possenti forme romaniche, la Basilica di San Nicola. In questo percorso noi segnaliamo due diversi accessi: percorrendo il lungomare nella direzione Nord è possibile accedere alla Basilica da una strada laterale che consente di arrivare direttamente nella piazza della Basilica. In alternativa, passeggiando in direzione nord sulla muraglia si incontra una scalinata che permette di accedere direttamente in Strada Palazzo di Città, ovvero alle spalle della Basilica.

La Basilica è accessibile dall’ingresso laterale presente nel chiostro, tramite una rampa. All’interno di questo monumento, nella cripta dall’atmosfera orientale e bizantina, sono conservate le reliquie di San Nicola, venerato sia dai cattolici che dagli ortodossi; dai resti del suo corpo, trafugato da un gruppo di marinai baresi nel 1087 dalla città di Myra, si crede che stilli ancora un liquido miracoloso con poteri curativi, chiamato manna. Ne parlano diffusamente i diari di viaggio dei pellegrini. Anselmo Adorno, un colto nobiluomo fiammingo, di ritorno dal suo pellegrinaggio a Gerusalemme nella seconda metà del XV secolo, visita la basilica nicolaiana e ce ne restituisce una ‘devota’ descrizione:

Scrive Adorno:

Le spoglie [di San Nicola] riposano in un’arca di marmo sotto il grande altare della cripta. La parte anteriore dell’altare è istoriata con immagini sbalzate in argento. Sempre sul fronte dell’altare c’è una porticina attraverso cui, da un foro che penetra all’interno del monumento, ove una lampada accesa pende da una catena d’argento, si distinguono le reliquie di S. Nicola. Da esse dicono che scaturisca un olio santo, ovvero un liquido con cui vengono unti occhi e fronti delle persone nelle festività solenni, così come fu nel tempo in cui noi fummo a Bari, cioè nel giorno di S. Nicola.

    1. Adorno, Itinéraire d’Anselme Adorno en Terre Sainte)

Itinerario

3

C:\Users\Lucia\Desktop\108NIKON\DSCN9491.JPG
Bari, Teatro Comunale Piccinni
ACCESSIBILITÀ: assenza di barriere per la mobilità
FRUIBILITÀ: pannello multisensoriale con informazioni di tipo audio, visivo e tattile
C:\Users\Lucia\Desktop\108NIKON\DSCN9495.JPG
Bari, Castello Svevo.
ACCESSIBILITÀ: assenza di barriere per la mobilità (piano terra e primo piano)
FRUIBILITÀ: audioguide; ascensore per accedere al piano superiore
Immagine 7
Bari, Cathedral of San Sabino
ACCESSIBILITÀ: rampa esterna laterale
FRUIBILITÀ: possibilità di accesso al piano seminterrato
(Di Berthold Werner, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=61448663)

Al termine di Via Sparano, girando a sinistra imbocchiamo corso Vittorio Emanuele e dopo poco sulla sinistra troviamo il Teatro Piccinni.

Il teatro è stato recentemente ristrutturato e riaperto al pubblico; in occasione dell’inaugurazione è stato presentato il progetto Il Teatro Piccinni…in tutti i sensi, realizzato grazie alla collaborazione con il Rotary Club Bari Sud e il Rotary Club Venezia, con il patrocinio dell’UICI (Unione Italiana ciechi e ipovedenti) della Provincia di Bari. Il progetto ha portato alla realizzazione di un pannello multisensoriale con informazioni di tipo visivo, tattile e audio che racconta, utilizzando diversi linguaggi, le caratteristiche dell’edificio e offre informazioni sul valore storico-culturale del teatro; il pannello è posizionato all’ingresso principale e vicino a quello secondario, utilizzato in particolare dalle persone con disabilità motoria.

Proseguendo su Corso Vittorio Emanuele e girando sulla destra in prossimità del Palazzo della Prefettura si arriva al Castello Normanno Svevo, un monumento dotato degli standard di accessibilità e di cui consigliamo la visita.

A proposito di questo angolo della Bari Vecchia più autentica la scrittrice Lalla Romano racconta:

Penetriamo, per vicoli, nella città vecchia; viva e insieme remota, piena di infanzia.

Una piazzetta irregolare, strana, meravigliosa. Da un lato casucce in vario movimento e colori, un po’ come una scena (in terra sono sparsi resti di ortaggi, dopo il mercato), e di fronte la mole austera, semplice, chiara, di un castello di pietra. Castello svevo (o normanno: nomi che fanno sognare). Sulla prima rampa corrono giocando, gridando, bambini. Il Duomo incombe con la sua maestà su un’altra piazzetta paesana, piccola, allegra. (L. Romano, Diario di Grecia)

Costeggiando il perimetro del castello, sulla destra si può scorgere la Cattedrale di San Sabino.

L’ingresso alla Cattedrale è possibile tramite una rampa posta lateralmente. Viene garantita anche l’accessibilità al piano seminterrato.

Immagine 8
Polignano a Mare
(by vic15 – https://www.flickr.com/photos/vic15/439585992/, CC BY 2.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=2166631)
C:\Users\Lucia\Desktop\108NIKON\DSCN9374.JPG
Polignano, Fondazione Pino Pascali
ACCESSIBILITÀ: assenza di barriere per la mobilità
FRUIBILITÀ: ascensore interno per accedere al piano inferiore

Lasciamo Bari e i suoi monumenti e proseguiamo l’itinerario verso sud, lungo la costa adriatica, per fare tappa a Polignano.

Consigliamo al viaggiatore di trascorrere qualche giorno in questa rinomata meta turistica e balneare, costruita a picco sul mare su una profonda gravina punteggiata di fichi d’india, famosa anche per aver dato i natali al cantante Domenico Modugno. Le caratteristiche paesaggistiche di Polignano non lasciarono indifferente il noto documentarista Folco Quilici che, negli anni Settanta del Novecento, realizzò un film documentario sulla Puglia sorvolando la regione dal cielo a bordo di un elicottero. Da quel viaggio nacque in seguito un libro scritto a quattro mani con il noto anglista e intellettuale Mario Praz. Quando Quilici sorvolò Polignano ne colse immediatamente i caratteri che ancora lo rendono un paese unico:

Scrive Quilici:

Difficilmente si potrebbe immaginare un habitat che in sé riassuma più di questo un’immagine archetipa di un paese del sud, le case candide, il cielo azzurro, il mare blu. È nello stesso tempo difficile immaginare un habitat fuso con altrettanto vigore, ma al contempo con altrettanto rispetto, nella natura del luogo. (F. Quilici, Puglia)

Non è necessario tuttavia planare su Polignano in elicottero per apprezzarne il fascino e coglierne le caratteristiche, anche arrivando in treno, la cittadina adriatica non delude il viaggiatore.

Luigi Fallacara, poeta e scrittore italiano, vicino ai movimenti dell’avanguardia fiorentina, originario di Bari, scrisse di Polignano:

Appena scesi dalla stazione, vi sorprende questa terra luminosa di mandorli in fiore. Le case bianche e rosa hanno un non so che di provvisorio e d’inattuale, come si gli uomini, ogni alba, le costruissero per una festa marina che debba durare un sol giorno.

A Polignano, l’ora è soltanto mattutina. […] Il mare è glauco e lontano, la brezza vi posa su un velo cinereo che l’appanna. Ogni suono è attutito, ogni aspetto vivente appare inconcepibile, […]. Parlare di bellezza qui è vano; la bellezza rapisce un sol senso. Qui bisogna parlare di immersione nell’elemento, di qualcosa che investe tutto l’essere e lo getta, con un balzo repentino, aldilà dalla storia degli uomini e dei tempi. Vi sentite affacciati ai primordi della terra, alle soglie dei mondi che tremarono di luce, dapprima, sotto le acque verdi, agli stupori degli essere che videro, per la prima volta, emerse dai ciechi fondi marini, le scogliere curvarsi aeree, dentro l’azzurro dei cieli. (L. Fallacara, Polignano)

La cittadina pugliese, non solo d’estate, ma durante tutto l’anno, è animata da una fervida vita culturale che ruota attorno a un ricco cartellone di eventi che si organizzano nel borgo medievale e alle numerose iniziative promosse dal Museo di arte contemporanea Pino Pascali; gli ambienti, ampi e panoramici, di questa struttura museale soddisfano pienamente tutti i criteri di accessibilità. Il museo, che si sviluppa su tre piani, di cui uno interrato, è dotato di ascensore, di una rampa esterna e delle strutture sanitarie dedicate alle specifiche esigenze di persone in condizioni di mobilità limitata. Segnaliamo tuttavia l’assenza di ausili specifici per persone non vedenti o ipovedenti.

Uscendo dal museo, alle sue spalle, consigliamo una passeggiata sul lungomare utilizzando la strada accessibile che porta il viaggiatore fino a Largo Ardito da cui è possibile godere di un fantastico panorama.

Da questo punto il viaggiatore che lo desidera può proseguire la passeggiata fino al centro storico e addentrarsi nei vicoli. Ad esempio una volta arrivato in piazza Aldo Moro, si suggerisce di attraversare l’Arco Marchesale e di proseguire sino alla balconata che si apre alla sinistra della chiesa Matrice, intitolata a S. Maria Assunta e accessibile a tutti da un ingresso laterale.

Da Polignano ripieghiamo verso l’interno della regione in direzione di Castellana. La cittadina è nota soprattutto per il complesso delle sue grotte naturali, la rete sotterranea più lunga d’Italia. Nell’ambito del progetto Grotte 100% accessibili un’equipe di operatori specializzati garantisce la possibilità di vivere, in sicurezza, l’esperienza che questo incredibile ambiente ipogeo è in grado di regalare, tenendo conto dei diversi bisogni speciali dei viaggiatori. Vengono organizzate escursioni per persone con disabilità fisica, psichica, intellettivo relazionale e sensoriale. Si rileva, tuttavia, come a causa delle caratteristiche strutturali, l’accessibilità sia garantita in alcuni tratti solo a carrozzine della larghezza massima di 65 cm. La visita ha orari e modalità dedicate e il viaggiatore può sia scegliere un itinerario breve, della durata di circa 90 minuti, o un itinerario completo più impegnativo (fino alla Grotta Bianca) della durata di circa 3 ore. È stata inoltre ideata una video guida Lis dell’itinerario delle Grotte, per consentire ai viaggiatori non udenti di usufruire di tale servizio. Tutte le informazioni e i contatti per eventuali visite sono reperibili sul sito delle Grotte di Castellana (la prenotazione è obbligatoria).

Ci lasciamo raccontare la storia di queste grotte dalla penna dello scrittore piacentino Vincenzo Piovene, che a metà degli anni ‘50 del Novecento pubblicò il suo celeberrimo Viaggio in Italia, un reportage alla scoperta dell’Italia negli anni immediatamente precedenti il boom economico.

Scrisse Piovene:

Le grotte di Castellana, in provincia di Bari a poca distanza dal mare, ma presso i confini di quella di Taranto, possono servirci da introduzione alla parte più bella della Puglia. Le Murge, altopiano roccioso nella parte elevata, nella parte più bassa ricoperto di terra fertile che permette le coltivazioni, sono il nucleo centrale della Puglia, tra il Tavoliere ed il Salento. Questo è il Carso del Sud; Grotte e spelonche lo traforano; più famosa di tutte quella di Castellana. Per quanto cronache imprecise ci parlino di esplorazioni compiute da gente del luogo nel Sette e nell’Ottocento, fino a vent’anni fa di queste grotte era nota soltanto una voragine rotonda, quasi un gigantesco pozzo, circondato dai lecci, che si apriva sulla collina. Superstizioni popolari vi collocavano l’inferno. Franco Anelli, dell’Istituto Italiano di Speleologia che allora aveva sede a Postumia, calatosi nella voragine nel 1938, trovò nella parete il corridoio con il quale si inizia l’itinerario sotterraneo, e cominciò l’esplorazione scientifica. Le grotte furono sistemate l’anno seguente, ma il vero inizio della loro celebrità è del 1949. In anni ancora più recenti, coi fondi della Cassa del Mezzogiorno, ebbero l’attrezzatura di oggi per il turismo e per la ricerca scientifica, l’edificio per la direzione, il Museo di Speleologia, gli accessori. Ho percorso con Franco Anelli, che adesso ne è il direttore, queste che sono di gran lunga le più belle grotte italiane. Il confronto con quelle di Postumia veniva con lui naturale. Il regno sotterraneo di Castellana, rispetto a quello di Postumia, ha sale forse meno ampie, ma corridoi più lunghi, più misteriosi e capricciosi, più sfarzo di alabastri, più varietà di stravaganze, piogge di stalattiti ancora più fitte, ed una profusione di cortine diafane, dove la pietra diventa così sottile da imitare la muffa e il velo; e soffitti di stalattiti di impareggiabile bianchezza. (G. Piovene, Viaggio in Italia)

Immagine9
Castellana Grotte, la Grave
ACCESSIBILITÀ: presente ascensore
FRUIBILITÀ: il percorso è garantito per carrozzine di larghezza pari a 65 cm. Audioguide, visite tattili, videoguida LIS
– pubblico dominio –
Immagine 5
Castellana Grotte, Grotta Bianca
ACCESSIBILITÀ:presente ascensore
FRUIBILITÀ: il percorso è garantito per carrozzine di larghezza pari a 65 cm. Audioguide, visite tattili, videoguida LIS
– pubblico dominio –
Immagine 8
Alberobello, trulli
(Foto di Liguria Pics – their own work, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=63793995)
Immagine 50
Paolo Uccello, figura geometrica
Immagine 14
Trulli
(Foto di Marcok di it.wiki – his own work, CC BY 2.5, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=2827940)
C:\Users\Lucia\Desktop\108NIKON\DSCN9419.JPG
Taranto, Museo Archeologico Nazionale di Taranto
ACCESSIBILITÀ: rampa esterna
FRUIBILITÀ: ascensore interno per accedere ai piani superiori; possibilità di accesso con cane guida personale munito di guinzaglio e museruola o animale domestico con certificazione di supporto per cure terapeutiche (previa comunicazione)

Da Castellana il nostro itinerario fa adesso tappa ad Alberobello, il famoso paese dei trulli che è patrimonio dell’umanità dell’UNESCO, una piacevolissima sorpresa in fatto di accoglienza e accessibilità. 

La guida letteraria di questa parte del nostro itinerario sarà nuovamente Pier Paolo Pasolini che giudicò Alberobello un paese dalle forme perfette:

[…] un paese perfetto la cui forma si è fatta stile nel rigore in cui è stata applicata. Dal primo muro all’ultimo, non un corpo estraneo, non un plagio, non una zeppa, non una stonatura. L’ammasso dei trulli nel terreno a saliscendi si profila sereno e puro, venato dalle strette strade pulitissime che fendono la sua architettura grottesca e squisita. […] Ogni tanto nell’infrangibile ordito di questa architettura degna di una fantasia, maniaca e rigorosa – un Paolo Uccello, un Kafka – si apre una frattura dove furoreggia tranquillo il verde smeraldo e l’arancione di un orto. E il cielo…È difficile raccontare la purezza del cielo […] un cielo inesistente, puro connettivo di luce sulle prospettive fantastiche del paese. (P. P. Pasolini, I nitidi trulli di Alberobello).

Il trullo, lontano erede del modello costruttivo tipicamente mediterraneo del thòlos, ha una caratteristica forma tronco-conica. È una costruzione realizzata a secco che nasce dall’esigenza dei contadini di rendere coltivabile il pietroso terreno calcareo della zona. Gli agricoltori erano costretti a rimuovere gli abbondanti strati di roccia presenti nel suolo e decisero di utilizzarli come materiale da costruzione. E così, osserva il poeta ingegnere di Montemurro in Lucania, Leonardo Sinisgalli, «l’astuzia contadina da un segreto o da un caso trasse una regola. Che per adattarsi alle virtù del materiale riuscì a sottrarsi al rigorismo della geometria». (L. Sinisgalli, Prefazione alla La valle dei trulli di M. Castellano)

Dei trulli di Alberobello aveva parlato, circa un ventennio prima del viaggio pugliese di Pasolini, Tommaso Fiore, intellettuale impegnato nella denuncia delle misere condizioni di vita delle classi contadine. Nelle sue Lettere pugliesi, confluite in un Popolo di formiche, scrive:

Avrai sentito parlare anche a Torino dei nostri trulli, diamine! […] sono minuscole capanne tonde, dal tetto a cono aguzzo, in cui pare non possa entrare se non un popolo di omini, ognuna con un piccolo comignolo ed una finestrella da bambola, e con quella buffa intonacatura sul cono, che è la civetteria della pulizia, e dà l’impressione di un berretto da notte ritto sul cocuzzolo d’un pagliaccio, con anche, per soprammercato, una croce o una stella in fronte, dipinta con calce! (T. Fiore, Un Popolo di formiche)

Pasolini al cospetto di queste bizzarre architetture popolari rimane folgorato, dice:

Di un trullo isolato si potrebbe parlare solo con i termini della cristallografia. Tutti corpi solidi vi sono fusi mostruosamente per dar forma a un corpo nuovo, delicato, leggero. I tetti a punta, di un nero cilestrino, si staccano improvvisi da questa base contorta e armoniosa, per riempire il cielo di magiche punte. (P. P. Pasolini, I nitidi trulli di Alberobello).

Il viaggiatore potrà scoprire il fascino di questo paese pugliese, unico nel suo genere – seppure oggi in parte compromesso dai numerosi negozietti di souvenir kitsch ad uso e consumo di un turismo non sostenibile – , percorrendo i marciapiedi accessibili che partono dalle spalle della Basilica e conducono nell’aria pedonale del centro, sino a Piazza del Popolo da dove si può godere della vista panoramica sul rione Monti, il più caratteristico di Alberobello.

Dal paese dei trulli il nostro itinerario procede verso la tappa successiva: Taranto. Una città dalle mille contraddizioni segnata drammaticamente dalle vicende legate all’impianto siderurgico dell’Ilva che ha finito, con i suoi fumi velenosi, per oscurarne il volto più solare e luminoso. Il viaggiatore potrà però ritrovare i segni e le testimonianze di una Taranto meravigliosa percorrendo i vasti Lungomari della città, famosa per i suoi panorami al tramonto che incantarono poeti e scrittori e, soprattutto, visitando le sale del suo museo archeologico: il Marta.

Questa struttura museale è completamente accessibile, grazie alla rampa esterna e agli ascensori collocati all’interno. Pur non essendoci ausili specifici per condizioni di disabilità sensoriali, previa comunicazione via email all’indirizzo man-ta@beniculturali.it, è possibile accedere alle sale del museo accompagnati dal proprio cane guida o da altro animale domestico di cui è certificato il supporto a cure terapeutiche (pet-therapy).

Entriamo tra le sue sale seguendo idealmente Paolo Rumiz, famoso scrittore e giornalista che nel 2015 giunse a Taranto, seguendo a piedi il tracciato dell’Appia antica. Il racconto di questo incredibile viaggio è diventato un libro, intitolo Appia che, accogliendo l’augurio del suo scrittore, può essere utilizzato come guida per seguirne i passi, non necessariamente con i piedi, ma anche con l’immaginazione. Scrive Rumiz:

[…] è vietato andarsene da Taranto senza aver visto il museo archeologico. All’ex-convento dei frati alcantarini si deve andare semplicemente perché ce lo ordina la bellezza, e la bellezza se ne frega se Roma è distratta e lontana, se a Taranto non arriva nessun Frecciarossa e non c’è aeroporto. […]

In quelle sale venerabili abita una delle meraviglie d’Europa. Un’antichità che non è marmo freddo ma scintillio di ori e argenti, gioielleria greca sepolta e riemersa dalle necropoli del IV e III secolo avanti Cristo. Taranto delle grandi botteghe degli orafi, Taranto trionfo di un universo femminile che Roma è ancora lontana dal concepire. Taranto dagli orecchini a navicella tintinnanti di pendagli, dalle foglie d’alloro e dai petali rosa in lamina d’oro zecchino. Taranto degli anelli, dei monili, delle teste di leone, fucina di smalti favolosi, cristalli di rocca, granulati d’oro, anelli, cammei e raffinati sigilli. (P. Rumiz, Appia)

Dal Marta, attraversando piazza Garibaldi e imboccando via D’Aquino, il viaggiatore può arrivare facilmente sul Lungomare, da cui è possibile ammirare il bellissimo Castello Aragonese. 

Purtroppo la struttura non è completamente accessibile; segnaliamo per chi volesse che le visite della struttura vengono effettuate in modo gratuito in orari precisi.

Lasciamo Taranto e la Puglia per proseguire l’itinerario sull’isola di Corfù, nelle Isole Ionie della Grecia. Sono molte oggi le compagnie di traghetti che partono da Bari o da Brindisi dotate di tutti i conforts necessari per soddisfare le esigenze di ogni tipo di viaggiatore. Anche se è preferibile viaggiare in aereo. Va detto in via preliminare che per la conformazione stessa delle Isole Ionie non sempre sono facilmente visitabili o accessibili. Tuttavia negli ultimi anni, soprattutto a Corfù, sono state intraprese delle iniziative che hanno reso accessibili a tutti alcune delle spiagge più belle, attraverso accessi facilitati al mare grazie a delle rampe galleggianti. Segnaliamo la spiaggia in particolare la spiagge di Benitses, che sarà anche una delle tappe del nostro itinerario sull’isola.

La scoperta della bellezza di Corfù comincia per tutti i viaggiatori dal mare, quando si sta per approdare sull’isola e dal ponte della nave o dal finestrino della propria cabina se ne cominciano ad intravedere i contorni.

Gerald Durrell, famoso naturalista inglese, da bambino, si trasferì con la sua famiglia sull’isola, pochi anni prima dello scoppio della seconda guerra mondiale. I ricordi di quell’esperienze incredibile sono diventati il materiale di un libro di grande successo dal titolo La mia famiglia e altri animali, da cui recentemente è anche stata tratta un’apprezzata serie televisiva. Nelle pagine iniziali del suo best-seller descrive il momento in cui finalmente Corfù compare all’orizzonte. Le sue parole ben si adattano a descrivere ciò che vedrà il viaggiatore che, seguendo questo itinerario, sta per raggiungere l’isola e, all’alba, si affaccerà sul pontile del traghetto:

[…] Il mare gonfiava i suoi azzurri e levigati muscoli ondosi mentre fremeva nella luce dell’alba, e la schiuma della nostra scia si allargava delicatamente dietro di noi come la coda di un pavone bianco, tutta scintillante di bollicine. Il cielo era pallido, con qualche pennellata gialla a oriente. Davanti a noi si allungava uno sgorbio di terra color cioccolata, una massa confusa nella nebbia, con una gala di spuma alla base. Era Corfù, e noi aguzzammo gli occhi per distinguere la forma delle sue montagne, per scoprirne le valli, le cime, i burroni e le spiagge, ma non ne vedemmo che i contorni. Poi, tutt’a un tratto, il sole spuntò sull’orizzonte e il cielo prese il colore azzurro smalto dell’occhio della ghiandaia. Le infinite e meticolose curve del mare si incendiarono per un istante, poi si fecero d’un intenso color porpora screziato di verde. La nebbia si alzò in rapidi e flessibili nastri, ed ecco l’isola davanti a noi, le montagne come se dormissero sotto una gualcita coperta scura, macchiata in ogni sua piega dal verde degli ulivi. Lungo la riva le spiagge si arcuavano candide come zanne tra precipiti città di vivide rocce dorate, rosse e bianche. Doppiammo il promontorio, le montagne scomparvero e l’isola si trasformò in un declivio dolce, macchiato dall’argentea e verde iridescenza degli ulivi, interrotta qua e là dal dito ammonitore di un cipresso stagliato contro il cielo. (G. Durrell, La mia famiglia e altri animali)

Al viaggiatore che invece sta raggiungendo Corfù in aereo, lo spettacolo dell’arrivo sull’isola non apparirà meno bello, così lo descrisse, negli anni ‘30 del Novecento, Mario Praz, famoso anglista e critico d’arte, nel corso di un suo viaggio in Grecia:

Nuvole dai riflessi di piombo strisciano sopra Corfù. I biancastri promontori dell’isola sfilano in basso, a sinistra. Oltre la plumbea nube si scopre un promontorio azzurro nel sole. Giochi d’ombre e di luce sulla bella isola verde, un lembo di sabbie fulve a occidente, sul mare aperto; e infine la città con le sue fortezze, i suoi grigi tetti antichi e i suoi cipressi, e, di fronte alla rada, un’isoletta simile a una distesa pelle di toro. Tra noi e la terraferma passano veli irridescenti; in uno strappo si mostra un quieto laghetto tra i monti.

Ci abbassiamo; il motore tambureggia, l’idrovolante si tuffa sotto ondate di nuvole, tra i monti dell’isola. Per un momento tutto è opaco intorno; poi uno squarcio di turchino intenso, e questa terra che mi lascio alle spalle, con queste isolette che ne sono la fuggente retroguardia, è l’ultimo lembo di suolo greco. Ma non è un saluto da dio che mi viene alle labbra. Perché la Grecia è più grande; noi occidentali la portiamo nell’anima anche sotto le più inospiti latitudini. (M. Praz, Viaggio in Grecia)

Una volta sbarcati, l’elegante e insieme colorato centro storico di Corfù, inserito tra i siti patrimonio mondiale dell’Unesco, non potrà lasciare indifferente il viaggiatore a cui consigliamo di fermarsi in uno dei tanti cafè che si trovano sul Liston, la lunga strada porticata costruita dai francesi ad immagine della Rue de Rivoli di Parigi sull’ampia e verdeggiante piazza della Spianada.

Qui non era insolito fino a qualche decennio fa imbattersi in partite di cricket, uno sport molto popolare a Corfù, portato dagli Inglesi durante il periodo del loro protettorato sull’isola.

Segnaliamo che poco distante dalla città di Corfù, a soli 14 chilometri in direzione sud, si trova il villaggio di Benitses, popolare meta turistica e rinomata località balneare che è attrezzata per permettere anche a viaggiatori con difficoltà motorie di usufruire delle sue incantevoli spiagge. Sono infatti disponibili rampe speciali per consentire accesso in mare in autonomia; sono presenti inoltre bagni, docce e armadietti dedicati.

Questa zone è nota per le sue belle spiagge di sabbia e ciottoli, il viaggiatore potrà scoprirla anche attraverso le parole di Gerald Durrell che, proprio tra queste cale ed insenature, aveva l’abitudine di passare lunghi pomeriggi in compagnia del suo fidato cane Roger:

Un pomeriggio, in una calura languida in cui sembrava che tutto dormisse all’infuori delle cicale, Roger e io ci incamminammo […].

L’isola sonnecchiava sotto di noi, scintillante come un acquerello appena dipinto, nella foschia dell’afa: ulivi grigioverdi, cipressi neri, rocce multicolori lungo la costa, e il mare levigato e opalescente d’un azzurro martin pescatore, verde giada, con qualche lieve increspatura sulla sua superficie liscia dove si incurva intorno a un promontorio roccioso e fitto di ulivi. Proprio sotto di noi c’era una piccola baia lunata col suo bordo di sabbia bianca, una baia così bassa e con fondo di sabbia così abbagliante che l’acqua era di un azzurro pallido, quasi bianco.

Nel mare cristallino di Corfù, un mare sulle cui acque hanno viaggiato miti, eroi e gli scrittori viaggiatori di cui abbiamo seguito i passi, si conclude questo itinerario.

Immagine 9
Corfù, veduta
Immagine11
Corfù, Corfù, Liston
(Foto di Lao Loong – World66, CC BY-SA 1.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=22949302)
Picture 1
Benitses, spiaggia.

BARI – ITINERARIO 1

Immagine 11

1.Stazione ferroviaria

ACCESSIBILITÀ: percorso senza barriere (in piano, con rampa, con ascensore), percorso tattile dall’ingresso della stazione ai binari

FRUIBILITÀ: sistemi di informazioni al pubblico sonori e visivi

G:\materiale polysemi gennaio\mincuzzi palazzo.png

2.Palazzo Mincuzzi

ACCESSIBILITÀ: assenza di barriere per la mobilità

FRUIBILITÀ: ascensore interno per accedere ai piani superiori

C:\Users\Lucia\Desktop\108NIKON\DSCN9487.JPG 3.Corso Vittorio Emanuele
C:\Users\Lucia\Desktop\108NIKON\DSCN9481.JPG

4. Teatro Margherita

ACCESSIBILITÀ: rampa esterna

Picture 3 5.Lungomare Nazario Sauro
Picture 3

6. Pinacoteca Provinciale

ACCESSIBILITÀ: ascensore all’ interno del palazzo per accedere alla Pinacoteca

FRUIBILITÀ: audioguide

Picture 5

7. Spiaggia di Pane e Pomodoro

ACCESSIBILITÀ: passerella in cemento dotata di passamano in acciaio per accedere alla battigia

FRUIBILITÀ: cabina/spogliatoio accessibile

BARI – ITINERARIO 2 

Immagine 11

1.Stazione ferroviaria

ACCESSIBILITÀ: percorso senza barriere (in piano, con rampa, con ascensore), percorso tattile dall’ingresso della stazione ai binari

FRUIBILITÀ: sistemi di informazioni al pubblico sonori e visivi

G:\materiale polysemi gennaio\mincuzzi palazzo.png

2. Palazzo Mincuzzi

ACCESSIBILITÀ: assenza di barriere per la mobilità

FRUIBILITÀ: ascensore interno per accedere ai vari piani

C:\Users\Lucia\Desktop\108NIKON\DSCN9487.JPG 3. Corso Vittorio Emanuele
Picture 8 4. Piazza Ferrarese
C:\Users\Lucia\Desktop\108NIKON\DSCN9528.JPG 5. Piazza Mercantile
C:\Users\Lucia\Desktop\108NIKON\DSCN9515.JPG 6. Via Venezia/la Muraglia Barese
Immagine5

7. Basilica di San Nicola

ACCESSIBILITÀ: rampa esterna laterale

BARI ITINERARIO 3

Immagine 11

1.Stazione ferroviaria

ACCESSIBILITÀ: percorso senza barriere (in piano, con rampa, con ascensore), percorso tattile dall’ingresso della stazione ai binari

FRUIBILITÀ: sistemi di informazioni al pubblico sonori e visivi

G:\materiale polysemi gennaio\mincuzzi palazzo.png

2. Palazzo Mincuzzi

ACCESSIBILITÀ: assenza di barriere per la mobilità

FRUIBILITÀ: ascensore interno per accedere ai piani superiori

C:\Users\Lucia\Desktop\108NIKON\DSCN9491.JPG

3. Teatro Piccinni

ACCESSIBILITÀ: assenza di barriere per la mobilità

FRUIBILITÀ: pannello multisensoriale con informazioni di tipo audio, visivo e tattile

C:\Users\Lucia\Desktop\108NIKON\DSCN9495.JPG

4. Castello Svevo

ACCESSIBILITÀ: assenza di barriere per la mobilità (piano terra e primo piano)

FRUIBILITÀ: audioguide; ascensore per accedere al piano superiore

Picture 2

5. Cattedrale S. Sabino

ACCESSIBILITÀ: rampa esterna laterale

FRUIBILITÀ: possibilità di accedere al piano seminterrato

ITINERARIO POLIGNANO-CASTELLANA GROTTE-ALBEROBELLO

POLIGNANO

C:\Users\Lucia\Desktop\108NIKON\DSCN9374.JPG

1.Fondazione Pino Pascali

ACCESSIBILITÀ: assenza di barriere per la mobilità

FRUIBILITÀ: ascensore interno per accedere al piano inferiore

C:\Users\Lucia\Desktop\108NIKON\DSCN9380.JPG 2. Lungomare
C:\Users\Lucia\Desktop\108NIKON\DSCN9397.JPG 3.Vista Panoramica (Largo Ardito)
CASTELLANA/ALBEROBELLO
C:\Users\Lucia\Desktop\108NIKON\DSCN9359.JPG Picture 10

1.Grotte di Castellana

ACCESSIBILITÀ: presenza di ascensore

FRUIBILITÀ: il percorso è garantito per carrozzine di larghezza pari a 65 cm. Audioguide, visite tattili, videoguida LIS

Immagine10 2.Alberobello


TARANTO

C:\Users\Lucia\Desktop\108NIKON\DSCN9419.JPG

1.Museo Marta

ACCESSIBILITÀ: rampa esterna

FRUIBILITÀ: ascensore interno per accedere ai piani superiori; possibilità di accesso con cane guida personale munito di guinzaglio e museruola o animale domestico con certificazione di supporto per cure terapeutiche (previa comunicazione)

C:\Users\Lucia\Desktop\108NIKON\DSCN9429.JPG 2.Lungomare


CORFU

Immagine11 1.Corfu
Picture 1 2.Benitses

L’isola Degli Scrittori

Corfù: Benitses, Kanoni, Kassiopi, Paleocastrizza, Kalami.

[Tedesco] 

[Spagnolo] 

L’isola di Corfù, che da sempre attira numerosi viaggiatori per le sue bellezze paesaggistiche e artistiche, è anche una delle isole più amate e descritte dagli scrittori. Fiumi d’inchiostro sono stati versati su questa bella isola greca, da Omero, a prestar fede all’identificazione di Corfù con la Scheria dei Feaci, passando per Boccaccio e Shakespeare – che pare immaginò qui svolgersi la Tempesta – sino ai novecenteschi Cecchi, Romano e Mario Praz, per citarne solo alcuni. In particolare, si innamorarono di Corfù i fratelli Gerald e Lawrence Durrell, che vi si erano trasferiti dall’Inghilterra nel 1935. Il più giovane dei due, Gerald, destinato a diventare un famoso naturalista, ambientò sull’isola un suo libro di grande successo: La mia famiglia e altri animali, da cui recentemente è stata tratta anche una serie televisiva molto apprezzata da pubblico e critica; Lawrence, il fratello maggiore, scrittore e poeta di fama internazionale, fece di Corfù la protagonista di alcuni dei suoi più noti capolavori letterari, come La grotta di Prospero: una guida al paesaggio e ai costumi dell’isola di Corfù e The Greek Islands. Non rimase indenne alla bellezza di Corfù neanche il famoso scrittore statunitense Henry Miller che, ospite proprio di Lawrence Durrell nel 1939, soggiorno sull’isola. Dal ricordo di quell’esperienza, che portò lo scrittore in giro per la Grecia per nove mesi, nacque il suo libro, quasi un diario di viaggio, Il Colosso di Marussi.

Corfù, veduta

In questo breve itinerario proponiamo al viaggiatore di scoprire il fascino di Corfù che incantò questi scrittori, ripercorrendo i luoghi descritti nei loro libri.

Mettiamo però in guardia il viaggiatore, quel fascino e quelle atmosfere di cui andremo alla ricerca sono – come scritto da Gerald Durrell – riassumibili in quanto riportato in alcune mappe inglesi dell’epoca dell’Ammiragliato in cui si mostrava «in grande l’isola e la costa limitrofa. Infondo c’era una piccola leggenda che diceva: AVVISO: poiché le boe che segnalano le secche sono spesso fuori posto, si raccomanda ai naviganti di stare in guardia quando si rasentano queste coste» (G. Durrell, La mia famiglia e altri animali)

La scoperta della bellezza di Corfù comincia per molti viaggiatori, compresi i nostri scrittori, dal mare, quando si sta per approdare sull’isola e dal ponte della nave o dal finestrino della propria cabina se ne cominciano ad intravedere i contorni.

Gerald Durrell descrisse questo momento, questa epifania, con parole che ben si adattano a descrivere ciò che vedrà il viaggiatore che, seguendo questo itinerario, arriverà a Corfù via mare e, all’alba, si affaccerà sul ponte del traghetto:

[…] Il mare gonfiava i suoi azzurri e levigati muscoli ondosi mentre fremeva nella luce dell’alba, e la schiuma della nostra scia si allargava delicatamente dietro di noi come la coda di un pavone bianco, tutta scintillante di bollicine. Il cielo era pallido, con qualche pennellata gialla a oriente. Davanti a noi si allungava uno sgorbio di terra color cioccolata, una massa confusa nella nebbia, con una gala di spuma alla base. Era Corfù, e noi aguzzammo gli occhi per distinguere la forma delle sue montagne, per scoprirne le valli, le cime, i burroni e le spiagge, ma non ne vedemmo che i contorni. Poi, tutt’a un tratto, il sole spuntò sull’orizzonte e il cielo prese il colore azzurro smalto dell’occhio della ghiandaia. Le infinite e meticolose curve del mare si incendiarono per un istante, poi si fecero d’un intenso color porpora screziato di verde. La nebbia si alzò in rapidi e flessibili nastri, ed ecco l’isola davanti a noi, le montagne come se dormissero sotto una gualcita coperta scura, macchiata in ogni sua piega dal verde degli ulivi. Lungo la riva le spiagge si arcuavano candide come zanne tra precipiti città di vivide rocce dorate, rosse e bianche. Doppiammo il promontorio, le montagne scomparvero e l’isola si trasformò in un declivio dolce, macchiato dall’argentea e verde iridescenza degli ulivi, interrotta qua e là dal dito ammonitore di un cipresso stagliato contro il cielo. (G. Durrell, La mia famiglia e altri animali)

Al viaggiatore che invece decida di raggiungere Corfù in aereo, lo spettacolo dell’arrivo sull’isola non apparirà meno bello, così lo descrisse negli anni ‘30 del Novecento Mario Praz, famoso anglista e critico d’arte, nel corso di un suo viaggio in Grecia:

Nuvole dai riflessi di piombo strisciano sopra Corfù. I biancastri promontori dell’isola sfilano in basso, a sinistra. Oltre la plumbea nube si scopre un promontorio azzurro nel sole. Giochi d’ombre e di luce sulla bella isola verde, un lembo di sabbie fulve a occidente, sul mare aperto; e infine la città con le sue fortezze, i suoi grigi tetti antichi e i suoi cipressi, e, di fronte alla rada, un’isoletta simile a una distesa pelle di toro. Tra noi e la terraferma passano veli irridescenti; in uno strappo si mostra un quieto laghetto tra i monti.

Ci abbassiamo; il motore tambureggia, l’idrovolante si tuffa sotto ondate di nuvole, tra i monti dell’isola. Per un momento tutto è opaco intorno; poi uno squarcio di turchino intenso, e questa terra che mi lascio alle spalle, con queste isolette che ne sono la fuggente retroguardia, è l’ultimo lembo di suolo greco. Ma non è un saluto da dio che mi viene alle labbra. Perché la Grecia è più grande; noi occidentali la portiamo nell’anima anche sotto le più inospiti latitudini. (M. Praz, Viaggio in Grecia)

Sia che si arrivi in traghetto o in aereo la città di Corfù è lì che attende il viaggiatore con le sue «case ammucchiate a casaccio, persiane verdi spalancate come ali di mille farfalle» (G. Durrell, La mia famiglia e altri animali)

L’architettura della città – ci racconta Lawrence Durrell – è di impronta veneziana:

Le case sopra il vecchio porto sono elegantemente disposte in sottili file attraversate da vicoli stretti e colonnati; rosso, giallo, rosa, terra d’ombra: un miscuglio di sfumature pastello che alla luce della luna conferiscono alla città un aspetto bianco abbagliante come quello di una torta nuziale (L. Durrell, Prospero’s Cell. A Guide to the Landscape and Manners of the Island of Corcyra)

The houses above the old port are built up elegantly into slim tiers with narrows alleys and colonnades running between them; red, yellow, pink, umber – a jumble of pastel shades which the moonlight transforms into a dazzling white city built for a wedding cake. (L. Durrell, Prospero’s Cell. A Guide to the Landscape and Manners of the Island of Corcyra)

L’elegante e insieme colorato centro storico di Corfù non potrà lasciare indifferente il viaggiatore a cui consigliamo di percorrerne i vicoli e, inseguito, di fermarsi in uno dei tanti cafè che si trovano sul Liston, la lunga strada porticata costruita dai Francesi ad immagine della Rue de Rivoli di Parigi sull’ampia e verdeggiante piazza della Spianada. In questi bar e locali aveva l’abitudine di fermarsi anche il famoso scrittore newyorkese Henry Miller che, in compagnia dell’amico Lawrence Durrell, vi passava interminabili serate «seduto a bere qualcosa che non hai voglia di bere» (H. Miller, Il Colosso di Marussi).

Corfù, Liston
word-image
Corfù, centro storico, veduta della torre della chiesa di San Spiridione

Tra i vicoli del centro storico si distingue chiaramente il campanile, con la sua cupola rossa che ricorda san Giorgio a Venezia, della chiesa di San Spiridione, il patrono di Corfù.

Un santo molto venerato dai corfioti, cui dedicano ben quattro processioni nel corso dell’anno, durante le quali la città si riempie di devoti o semplici curiosi: le strade si colorano delle tinte sfolgoranti dei sontuosi abiti dei monaci e preti ortodossi e tutta l’isola risplende nella luce dei fuochi d’artificio. Non è facile spiegare al viaggiatore i rituali e l’atmosfera bizantina con cui è vissuta la devozione per questo santo, lasciamo allora che sia Gerald Durrell, che il giorno di San Spiridione si ritrovò, con la sua bizzarra famiglia, nel bel mezzo della città festante, a raccontarci con quanto trasporto la popolazione ne venera le reliquie che si conservano nella chiesa a lui dedicata.

Scrive il giovane Durrell:

La città era più affollata e più chiassosa del solito, ma non avevano alcun sospetto che stesse accadendo qualcosa di speciale […]. Domandai a una vecchia contadina che mi stava accanto che cosa stesse succedendo, e lei mi guardò tutta raggiante d’orgoglio.

«È Santo Spiridone, kyria» mi spiegò. «Oggi possiamo entrare in chiesa a baciargli i piedi». Santo Spiridione era il patrono dell’isola. Il suo corpo mummificato era chiuso in una bara d’argento nella chiesa […]. Era un santo molto potente e in grado di esaudire le preghiere, di curare le malattie e di fare per la gente un mucchio di altre cose prodigiose, se uno aveva la fortuna di trovarlo nello stato d’animo giusto quando gliele chiedeva. Gli isolani lo venerano, e metà degli abitanti maschi dell’isola si chiamano Spiro in suo onore. Quel giorno era un giorno speciale, evidentemente avrebbero aperto la bara e consentito ai fedeli di baciare i piedi della mummia, chiusi nelle loro babbucce, e di chiedere al santo tutto ciò che volevano. La varietà della folla dimostrava quanto i Corfioti amassero il loro santo […]. Questo cupo e multicolore cuneo di umanità si muoveva lentamente verso la porta oscura della chiesa, e noi fummo sospinti avanti, travolti come una colata di lava. […] L’interno era buio come un pozzo, illuminato soltanto da una serie di candele che baluginavano come crochi gialli lungo la parete. Un prete barbuto, con l’alto cappello e le vesti nere, aleggiava come un corvo nella penombra, facendo disporre la folla in una sola fila che attraversava la chiesa, passava davanti alla grande bara d’argento e usciva in strada da un’altra porta. […] Non appena raggiungeva la bara, ognuno si chinava, baciava i piedi e mormorava una preghiera, mentre in cima al sarcofago la faccia nera e disseccata del santo spiava attraverso un pannello di vetro con un’espressione di profondo disgusto. Era sempre più chiaro che, lo volessimo o no, avremmo baciato i piedi di Santo Spiridione. (G. Durrell, La mia famiglia e altri animali )

Con la benedizione di Spiridione proseguiamo il nostro itinerario alla scoperta dell’isola tanto amata da scrittori e poeti.

Scrive Lawrence Durrell:

Corcyra è blu e oro veneziano, completamente sbiadita dal sole. […] Le valli meridionali sono dipinte in modo audace da pennellate di giallo e rosso, mentre gli alberi di Giuda punteggiano le strade con le loro polverose esplosioni di viola. Ovunque tu vada puoi sdraiarti sull’erba; e anche le nude sponde settentrionali dell’isola sono ricche di alberi di ulivo e sorgenti minerali. (L. Durrell, Prospero’s Cell. A Guide to the Landscape and Manners of the Island of Corcyra)

Corcyra is all Venetian blue and gold – and utterly spoilt by the sun. […] The southern valleys are painted out boldly in heavy brush-strokes of yellow and red while the Judas trees punctuate the roads with their dusty purple explosions. Everywhere you go you can lie down on grass; and even the bare northern reaches of the island are rich in olives and mineral springs. (L. Durrell, Prospero’s Cell. A Guide to the Landscape and Manners of the Island of Corcyra)

Circondati da questo paesaggio viaggiamo lungo la costa meridionale, seguendo la strada che collega Perama al bel villaggio di Benitses. Qui, in posizione panoramica, a soli 4 km a sud di Corfù città, si trova la villa dove inizialmente la famiglia Durrell andò a vivere quando arrivò in Grecia dall’Inghilterra nel 1935. L’abitazione, che Gerald Durrell chiama nel suo libro «la villa color rosa fragola» (The Strawberry Pink Villa), sebbene conservi poco dell’aspetto originale, può essere oggi affittata dal viaggiatore tramite Airbnb.

Il paesaggio circostante conserva ancora molto del fascino descritto da Gerald Durrell:

La collina e le valli tutt’intorno erano un piumino di uliveti che balenavano come pesci guizzanti nei punti dove la brezza sfiorava le foglie. A metà pendio, protetta da un gruppo di cipressi alti e sottili, era annidata una piccola villa color rosa fragola, come un frutto esotico che ammicchi tra il verde. I cipressi ondeggiavano gentilmente nella brezza, come se per il nostro arrivo fossero intenti a dipingere il cielo di un azzurro ancora più vivido. (G. Durrell, La mia famiglia e altri animali)

La zona di Benitses è famosa anche per le sue belle spiagge di sabbia e ciottoli, consigliamo al viaggiatore di addentrarsi nelle radure e nei boschetti delle colline che degradano dolcemente sino al mare, alla ricerca di qualche baia o insenatura naturale, proprio come aveva l’abitudine di fare il giovane Gerald in compagnia del suo fidato cane Roger:

Un pomeriggio, in una calura languida in cui sembrava che tutto dormisse all’infuori delle cicale, Roger e io ci incamminammo per vedere fin dove riuscivamo ad arrampicarci sulle colline prima che facesse buio. Attraversammo gli uliveti, striati e chiazzati di un sole abbagliante, dove l’aria era afosa e immobile, e finalmente, usciti dai boschi, ci inerpicammo su un nudo picco roccioso dove ci sedemmo a riposare. L’isola sonnecchiava sotto di noi, scintillante come un acquerello appena dipinto, nella foschia dell’afa: ulivi grigioverdi, cipressi neri, rocce multicolori lungo la costa, e il mare levigato e opalescente d’un azzurro martin pescatore, verde giada, con qualche lieve increspatura sulla sua superficie liscia dove si incurva intorno a un promontorio roccioso e fitto di ulivi. Proprio sotto di noi c’era una piccola baia lunata col suo bordo di sabbia bianca, una baia così bassa e con fondo di sabbia così abbagliante che l’acqua era di un azzurro pallido, quasi bianco. (G. Durrell, La mia famiglia e altri animali)

Sempre nei pressi di Benitses, su una collina che domina il paesaggio, il viaggiatore potrà visitare l’Achilleion, la dimora dalle forme ostentatamente neo-classicheggianti pompeiane, dove amavano soggiornare l’imperatrice Elisabetta d’Austria, più nota come Sissi, e, in seguito, anche il Kaiser Gugliemo II di Germania. Questo luogo, sebbene ancora oggi apprezzato da molti turisti, non piacque per niente allo scrittore Henry Miller che ne colse appieno l’atmosfera insieme decadente e pacchiana. Così scrive:

Corfù è un tipico luogo di esilio. Il kaiser soggiornava qui prima di perdere la corona. Una volta feci il giro del palazzo per vedere com’era. A me tutti i palazzi sembrano una lugubre tetraggine, ma questo manicomaniale del Kaiser era la peggior cianfrusaglia su cui mi sia mai capitato di posare gli occhi. Sarebbe un ottimo museo di arte surrealista. (H. Miller, Il Colosso di Marussi)

Achilleion
(CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=142739)
L’isolotto di Pontikonissi
(Di: Sascha Askani – photo taken by Sascha Askani, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=204175)
Arnold Böcklin, L’isola dei morti (terza versione)

Non sappiamo se il viaggiatore in visita all’Achilleion condividerà il giudizio di Miller, ma siamo certi che, come il romanziere statunitense, resterà incantato dalla vista che si gode dai suoi terrazzi e giardini sulla baia di Kanoni, scrive Miller: «[…] di fronte al palazzo abbandonato c’è una località chiamata Kanoni, da dove si ha la veduta sulla magica Toten Insel».

La Toten Insel, a cui si riferisce Miller, è l’isolotto di Pontikonissi, secondo molti il luogo a cui si ispirò il pittore simbolista Böcklin per il suo celebre quadro Toten Insel cioè l’isola l’Isola dei morti.

Questo luogo, indiscutibilmente suggestivo, è poco più di un’alta scogliera sul mare circondata da un boschetto di cipressi, raggiungibile in barca dal molo su cui sorge il bianco Monastero della Vlacherna, che visto da lontano, sembra anch’esso un’isola circondata dal mare. I greci, molto meno romanticamente, chiamano Pontikonissi l’Isola dei Topi e, secondo una tenace tradizione, sarebbe uno dei luoghi cantati nell’Odissea.

Ci racconta qualcosa di più su questa leggenda Lawrence Durrell:

Nel bagliore della baia si erge l’Isola dei Topi, di un tale romanticismo di linee e forme (monastero bianco, monaci, cipressi) che sfida la pittura e l’obiettivo, così come la parola più debole. Questa roccia pietrificata è la barca [dei Feaci], dicono, trasformata in pietra come punizione per aver portato Ulisse a casa. (L. Durrell, Prospero’s Cell. A Guide to the Landscape and Manners of the Island of Corcyra)

In the dazzle of the bay stands Mouse Island whose romance of line and form (white monastery, monks, cypresses) defies paint and lens, as well as the feebler word. This petrified rock is the boat, they say, turned to stone as a punishment for taking Ulysses home. (L. Durrell, Prospero’s Cell. A Guide to the Landscape and Manners of the Island of Corcyra)

Gran parte del fascino di Corfù, che ci siamo ripromessi di far scoprire al viaggiatore nel corso di questo itinerario, è legato in vario modo alle suggestioni omeriche di molti luoghi dell’isola, non solo di Pontikonissi, che come anticipato da Durrell altro non sarebbe che la nave dei Feaci pietrificata da Poseidone nell’Odissea. Lasciamoci introdurre in questi siti leggendari dallo scrittore inglese:

In questo paesaggio gli oggetti osservati conservano ancora una sorta di forma mitologica – e nonostante cronologicamente ci separino da Ulisse centinaia di anni, viviamo ancora nella sua ombra. […], gli archeologi vanno e vengono, ognuno con la loro Odissea tascabile e l’ignoranza del greco moderno. (L. Durrell, Prospero’s Cell. A Guide to the Landscape and Manners of the Island of Corcyra)

In this landscape observed objects still retain a kind of mythological form – so that through chronologically we are separated from Ulysses by hundreds of years in time, yet we dwell in his shadow. […] the archeologist come and go, each with his pocket Odyssey and his lack of modern Greek. (L. Durrell, Prospero’s Cell. A Guide to the Landscape and Manners of the Island of Corcyra)

Corfù è da sempre identificata con l’omerica Scheria, l’isola dei Feaci, nella quale «l’eroe dal multiforme ingegno» approdò dopo aver lasciato Ogigia e la ninfa Calipso. Nel libro VI dell’Odissea, si racconta che Ulisse, naufragato sulle coste dell’isola, incontrò la bella Nausicaa, che si era recata con le sue ancelle sulla spiaggia per giocare a palla. La bella principessa condusse l’eroe presso la reggia del padre, Alcinoo, il re dei Feaci. «A sud della città di Corfù, – scrive Durrell – la penisola di Paleopolis, dovrebbe essere il sito dove sorgeva l’antica città; ma non è rimasto nulla dei portici, delle fontane e delle colonne della favolosa capitale».(L. Durrell, Prospero’s Cell. A guide to the landscape and manners of the island of Corfu)

«South of Corfu town, the peninsula of Paleopolis is supposed to be the site of the ancient town; but there is nothing left of the arcades and the fountains and columns of the fabulous capital».(L. Durrell, Prospero’s Cell. A guide to the landscape and manners of the island of Corfu)

«Tre città – continua lo scrittore – si contendono Ulisse e Nausicaa; Kassiopi a nord, con il suo gigantesco platano e il suo buon porto, la sua fortezza cresciuta tra i lecci dove le capre pascolano tutto il giorno, avrebbe potuto benissimo essere il luogo per una tale fantasia», la già citata Isola dei Topi, e in fine il luogo più probabile «è Paleocastrizza, intrisa dell’argento degli olivi, sulla costa nord-occidentale. La piccola baia giace come in uno stato di sospensione, esaltata dalla sua straordinaria perfezione a cui concorrono la luce, l’aria, il mare blu e i cipressi ». (L. Durrell, Prospero’s Cell. A guide to the landscape and manners of the island of Corfu)

Three towns contend for Ulysses and Nausicaa; Kassiopi in the north, with is gigantic plane-tree and good harbour, its bluff ilexgrown fortress where the goats graze all day, might have well been a site for such a fantasy, la già citata Isola dei Topi e «Last and most likely is Paleocastrizza, drenched in the silver of olives on the north-western coast. The little bay lies in a trance, drugged with its own extraordinary perfection – a cospiracy of light, air, blue sea, and cypresses». (L. Durrell, Prospero’s Cell. A guide to the landscape and manners of the island of Corfu)

L’Isola dei Topi, veduta
https://3.bp.blogspot.com/-JMiIsbabEL8/WfCun10GlqI/AAAAAAAAnOE/VROkR-9uhqAgOsBOHKDAosCVKSUlTWwxwCLcBGAs/s1600/odisseo-nausicaa.jpg
Jean Veber, Ulisse e Nausicaa
Corfu, Kassiopi bay
Kassiopi, Chapel of the Virgin Kassopitra, interior

Invitiamo dunque il viaggiatore a recarsi in questi luoghi magici dell’isola: iniziamo da Kassiopi, ancora oggi un ameno villaggio di pescatori che si trova nella parte settentrionale di Corfù.

Le origini di questo borgo risalgono ai tempi romani e grazie alla sua posizione, in un’insenatura riparata dalle correnti dello stretto di Butrinto, era diventato un porto molto frequentato dai naviganti del passato e dai pellegrini medievali che si dirigevano a Oriente. Sono molte le leggende e le storie che si racconto su Kassiopi e non tutte legate ad Ulisse e Nausicaa. I diari di viaggio medievali raccontano che un tempo qui fioriva una potente città distrutta a causa delle esalazioni mortifere di un drago che si era accanito contro la popolazione, dedita anticamente a pratiche sodomitiche. I marinai e i pellegrini avevano l’abitudine, quando riparavano nella baia, di pregare in una piccola cappella dedicata alla Vergine, perennemente illuminata da una lampada da cui si credeva stillasse un olio prodigioso in grado di guarire ogni febbre. Con il tempo si diffuse anche la leggenda della presenza, in questa cappella, di un’icona miracolosa dipinta dall’evangelista San Luca, icona nota come la Vergine di Casopoli.

La cappella, così famosa nel passato, è ancora visitabile, anche se poco rimane del suo aspetto originario, poiché l’edificio subì gravi danneggiamenti nel corso del XVI secolo, a causa delle incursioni berbere. La devozione per la chiesetta era tale che fu prontamente ricostruita dai Veneziani nel 1590. Dell’icona considerata miracola non resta che il ricordo, ma il viaggiatore potrà indovinarne l’aspetto grazie a una copia realizzata tavola nel XVII secolo che è diventata un oggetto di culto molto caro alla popolazione.

Le rovine di un castello, probabilmente di origine bizantina, dominano dall’alto la baia di Kassiopi conferendo al luogo un aspetto romantico e pittoresco. Dalla via principale del villaggio parte una strada che s’inerpica su un’altura, in cima alla quale, in parte avvolte dalla vegetazione, il viaggiatore potrà visitare questa rocca che nel corso dei secoli è stata un importante presidio difensivo normanno, angioino e veneziano.

Anche Lawrence Durell subì il fascino del posto e così scrisse:

Kassiopi, tra gli altri candidati, ha uno stile interamente suo. […] Il villaggio trova il suo asse in un albero gigante la cui ombra cade ugualmente sulla taverna e sulla chiesa. Un buon porto, Kassiopi è l’approdo delle lampare dei pescatori, e sotto l’antica fortezza le onde si infrangono su sporgenze di candido granito e archi di ciottoli abbaglianti. Spiagge vuote a nord e sud ti stordiscono per il loro silenzio e il loro vuoto e per la forma a uovo perfetta dei ciottoli. Qua e là, nelle chiazze di sabbia, si possono vedere gli strani ideogrammi lasciati dai piedi dei gabbiani, i soli visitatori.

Visitatori, in passato, giunsero qui da Roma per estati di indolenza e solitudine. […] E qui il folle flaccido Nerone (che si era trasformato da debole essere umano in un simbolo di regalità e di tutti i suoi mali) cantava e danzava orribilmente ai piedi dell’antico altare di Zeus. […] (L. Durrell, Prospero’s Cell. A Guide to the Landscape and Manners of the Island of Corcyra)

Kassopi among the other candidates, has a style entirely its own. […]. The village finds its axis in a giant tree whose shadow falls equally upon the tavern and the church. A good harbour, Kassiopi is the port of call for the carbide fishers, and under the ancient fortress the waves shatter themselves upon ledges of clean granite and arcs of dazzling pebbles. Empty beaches to the north and south stun you by their silence and emptiness, and the egg-like perfection of pebbles. Here and there, in patches of sand, you may see the weird ideograms left by the feet of herring-gulls, the only visitors.

Visitors from Rome came here in the past for summers of indolence and solitude. […] and here the mad flabby Nero (who had translated himself from a weak human being into a symbol of kingship and all its evils) sang and danced horribly at the ancient altar to Zeus. […] (L. Durrell, Prospero’s Cell. A Guide to the Landscape and Manners of the Island of Corcyra)

Un ultimo consiglio di Durrell:

“Kassiopi deve essere visto in un giorno di festa”, when it is possible to see the folkloric dances of women, dressed in traditional clothes, who tread hypnotically in a circle and whose songs mingle with the sound of the bagpipes and fiddles or the drum beat.

“Kassopi must be seen on a festival day”, when it is possible to see the folkloric dances of women, dressed in traditional clothes, who tread hypnotically in a circle and whose songs mingle with the sound of the bagpipes and fiddles or the drum beat.

Kassiopi, Castle
Remains of Kassiopi Castle
By Dr.K., CC BY 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=68635379

Da Kassiopi l’itinerario procede in direzione di Paleocastrizza, sul versante occidentale dell’isola, uno dei luoghi più belli di Corfù.

Oltre alle sue bellissime spiagge e al panorama che si gode in cima alle sue colline, che permettono allo sguardo di spaziare sui due mare di Corfù, Adriatico e Ionio, il viaggiatore può visitare l’antico monastero, risalente al XIII secolo, ma fortemente ristrutturato nei secoli successivi, che si trova in vetta a uno scosceso promontorio collegato all’isola da una sottile striscia di terra. Si tratta del monastero di Palaiokastrìtsa che significa «Quella (la madre di Dio) dell’antico castello», in riferimento al kastron bizantino che sorge poco lontano: Angelokastron, il bastione più occidentale dell’isola.

Il monastero è un complesso di piccole costruzioni antiche, strette l’una all’altra, tutte rivestite di intonaco bianco. All’interno si apre un cortiletto che conduce alla chiesa al cui interno si trova un’iconostasi ricca di pregevoli icone bizantine.

Vorremmo concludere questo itinerario nel meraviglioso villaggio di Kalami, posizionato in una scenografica baia che guarda l’Albania poco distante da Paleokastrizza, qui si trova la casa dove Lawrence Durrell ospitò l’amico Henry Miller.

La villa chiamata «The White House» oggi ospita un romantico ristorantino sul mare e può essere affittata al piano superiore. Così la descriveva nel 1937 lo scrittore inglese:

È aprile e abbiamo preso una vecchia casa di pescatori nell’estremo nord dell’isola – Kalami – A dieci miglia marine dalla città, e a una trentina di chilometri di strada, offre tutto il fascino della solitudine. Una casa bianca, incastonata come un dado su una roccia già nobilitata da segni simili a cicatrici causati dal vento e dall’acqua. La collina corre verso il cielo dietro di essa, cosicché i cipressi e gli alberi di ulivo sovrastano questa stanza in cui mi siedo e scrivo. Siamo su un promontorio spoglio con la sua bella superficie pulita di pietra metamorfica ricoperta di ulivi e lecci: a forma di monte di Venere – Questa è diventata senza rammarico la nostra casa. Un mondo. Corcyra.

[…] Casa bianca, roccia bianca, amici e un piccolo tipo di amore: e forse un libro che crescerà da questi scarti, come tra i rifiuti di queste vecchie tombe veneziane il cipresso rompe infine le lastre e si alza fresco e verde. (L. Durrell, Prospero’s Cell. A Guide to the Landscape and Manners of the Island of Corcyra)

It is April and we have taken an old fisherman’s house in the extreme north of the island –Kalamai – Ten sea miles from the town, and some thirty kilometres by road, it offers all the charms of seclusion. A white house set like dice on a rock already venerable with the scars of wind and water. The hill runs clear up into the sky behind it, so that the cypresses and olives overhang this room in which I sit and write. We are upon a bare promontory with its beautiful clean surface of metamorphic stone covered in olive and ilex: in the shape of a mons pubis. This is become our unregretted home. A world. Corcyra.

[…] White house, white rock, friends, and a narrow style of loving: and perhaps a book which will grow out of these scraps, as from the rubbish of these old Venetian tombs the cypress cracks the slabs at last and rises up fresh and green. (L. Durrell, Prospero’s Cell. A Guide to the Landscape and Manners of the Island of Corcyra)

Tra gli amici che animavano la casa bianca di Durrell doveva senz’altro esserci Miller che giunge a Kalami inseguito all’insistenza dell’amico. Dice Miller:

Ricevevo dalla Grecia lettere del mio amico Lawrence Durrell, che di Corfù aveva praticamente fatto casa. Anche le sue lettere erano meravigliose, ma per me un po’ irreali. Durrell è un poeta e le sue lettere erano poetiche: producevano in me una certa confusione, per via che sogno e realtà si mescolavano sapientemente. In seguito avrei scoperto che questa confusione è reale e non tutta dovuta alla facoltà poetica. Ma allora pensavo che egli caricasse le tinte, che questo fosse un modo di indurmi ad accettare i suoi ripetuti inviti ad andarlo a trovare. […]

Pensavo, quando questi messaggi araldici arrivavano a Villa Seurat in una fredda giornata estiva parigina, che egli si fosse fatto di coca prima di ungere la penna. (H. Miller, Il Colosso di Marussi)

Le lettere di Durrell sortirono l’effetto sperato e, nel 1939, qualche mese prima dello scoppio della seconda guerra mondiale, Miller raggiunse l’amico a Corfù. Da quel viaggio, che portò lo scrittore anche in altri luoghi della Grecia, nacque uno dei suoi libri più belli, Il Colosso di Marussi, che ci ha accompagnato durante alcune tappe di questo itinerario che qui, nella bella baia Kalami, si conclude. Vogliamo congedarci dal viaggiatore condividendo la riflessione e l’augurio dello scrittore statunitense in chiusura del suo libro di viaggio. Scrive Miller:

Quando parlo dell’effetto che questo viaggio in Grecia ha prodotto su di me la gente sembra stupefatta e ammaliata. Dicono di invidiarmi, si augurano di poterci andare un giorno anche loro. Perché non lo fanno? Perché nessuno può godere l’esperienza che desidera finché non è pronto ad accoglierla […] La luce della Grecia mi ha aperto gli occhi, mi è penetrata nei pori, ha ampliato tutto il mio essere. […]. Pace a tutti gli uomini, dico, e vita più copiosa! (H. Miller, Il Colosso di Marussi)

Baia di Paleokastrizza
(CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=1488567)
Baia di Kalami
(author: Ardfern) [CC BY-SA 3.0 (https://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0)]
La baia di Kalami e la White House di Durrell oggi

Itinerario Dei Miti E Degli Eroi

Canosa, Ruvo, Bari, Egnazia, Gravina, Altamura, Taranto, Corfù, Lefkada, Itaca

[Tedesco] 

[Spagnolo] 

L’itinerario dei miti e degli eroi è un percorso che, tra racconto mitologico e storia, guiderà il viaggiatore o il lettore attraverso le aree archeologiche della Puglia, lungo la via Appia e le sue deviationes, seguendo gli scritti odeporici di celebri scrittori del passato, come Orazio, e prestigiose firme contemporanee, come Paolo Rumiz, viaggiatori che quella strada hanno percorso e descritto. Le principali tappe saranno Canosa, Ruvo, Bari, Egnazia, Gravina, Altamura e infine Taranto, centro tra i più importanti della Magna Grecia, che vanta uno dei più bei musei archeologici al mondo: il Marta. Seguendo questo itinerario, il viaggiatore sarà invitato infine ad attraversare l’Adriatico per raggiungere le Isole Ionie, che godono di una posizione unica nell’immaginario mitico ed epico occidentale. I poemi omerici, ambientati in questo fascinoso e fantastico mondo insulare, hanno portato nel corso del tempo a sovrapporre all’immagine reale di Corfù quella letteraria dell’isola dei Feaci, e a riconoscere in Itaca la patria del più celebre viaggiatore di ogni tempo: Ulisse. Intere generazioni sono state ammaliate da un viaggio forse mai avvenuto e nonostante le evidenze storico-archeologiche non siano tali da permettere una sicura identificazione delle Isole Ionie come l’effettivo teatro delle peregrinazioni descritte nell’Odissea, «il turista che, appressandosi per mare alla Grecia, oggi vede da lontano Itaca – fa notare Umberto Eco – prova un’emozione omerica». Proponiamo al viaggiatore che seguirà questo itinerario di andare alla ricerca proprio di quelle emozioni omeriche percorrendo queste isole con in mano l’Odissea e guidati da un colto scrittore-viaggiatore settecentesco, Saverio Scrofani, che di questi luoghi ci ha lasciato intense descrizioni, cariche di suggestioni mitologiche e classiche, nel suo libro Viaggio in Grecia.

itinerario mi.png
Itinerario pugliese
Schermata 2019-08-28 alle 08.51.08.pdf
Itinerario Isole Ionie
Tempio_italico_canosa.png
Canosa, Basilica di San Leucio,
(foto di Habemusluigi Luigi Carlo Capozzi – Opera propria, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=3989167)

Il nostro itinerario ha inizio in Puglia in compagnia del poeta Orazio, che all’età di 28 anni, nel 37 a.C., insieme a Mecenate, Cocceo e Virgilio, si recò in viaggio da Roma a Brindisi. Anni dopo, il ricordo di quell’esperienza divenne il tema della V satira del primo libro di Saturae del poeta latino. Conosciuta come Iter Brundisinum, proponiamo al viaggiatore di seguirne il tragitto. Orazio e i suoi compagni di viaggio raggiungono la Puglia da Benevento e invece di seguire la strada maestra, cioè l’Appia antica, chiamata anche regina viarum, scelgono una via all’epoca ancora secondaria. Con il passare del tempo, questo percorso alternativo, sarebbe diventato una delle strade più importanti del Meridione: l’Appia-Traiana, l’asse viario fatto costruire tra il 108 e il 110 d. C, per volere dell’imperatore romano Traiano.

La nostra prima tappa pugliese è Canosa, a dire di Orazio, una città dove il pane è più duro della pietra e «che è stata fondata un tempo dal valoroso Diomede». («qui locus a forti Diomede est conditus olim»). La figura dell’eroe acheo è legata alla nascita di molti centri pugliesi. La leggenda vuole che al ritorno dalla guerra di Troia approdò su questi lidi e fondò numerose città, tra cui Canosa. I rapporti tra la Puglia e la civiltà greca sono antichissimi, come dimostrano le fondazioni di numerosi insediamenti legati all’universo minoico, miceneo e acheo già a partire dal II millennio a.C. Ciò contribuì alla diffusione di racconti leggendari e mitologici in vario modo legati agli eroi della guerra di Troia. Tra tutti, Diomede è uno dei personaggi più amati, protagonista di romantiche leggende. L’eroe, compagno di Ulisse, dopo essere scampato a una congiura orchestrata dalla moglie per volere di Afrodite, approdò in Daunia e scelse questa terra, che gli dei vollero che chiamasse ‘Terra Felice’ per fondare numerose città. I confini furono tracciati con delle pietre gigantesche che Diomede aveva portato con sé dalla Tracia e, avanzatene tre, le scagliò in mare. Queste divennero altrettanti isolotti, le isole Diomedee, oggi note come isole Tremiti.

Non è solo il mito e la leggenda della sua fondazione ad attestare l’antichità di Canosa, ma anche i numerosi reperti archeologici emersi dal sottosuolo e alcuni dei suoi monumenti più belli. A soli venti minuti dal centro, il viaggiatore potrà visitare, nel Parco Archeologico di San Leucio, i resti di una Basilica paleocristiana immersa in una verdeggiante campagna di ulivi e viti, sorta su un preesistente tempio italico del III secolo a. C., secondo gli studiosi dedicato alla dea Minerva. Tra alte colonne in marmo bianco, sormontate da capitelli ionici e da pulvini bizantini, sono ancora visibili lacerti musivi policromi di pregiata fattura. Dell’antico tempio si può ammirare il capitello corinzio, di rara bellezza, con protome femminile, i rocchi di numerose colonne scanalate e i piedi di un gigantesco telamone.

Basilica_di_San_Leucio_8.JPG
Canosa, Capitello figurato nell’area della Basilica di San Leucio
(Foto di Paola Liliana Buttiglione – own work, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=37652236)

Dopo aver visitato l’annesso Antiquarium, proseguiamo il nostro itinerario, in direzione di Ruvo di Puglia, dove giungono anche Orazio e i suoi illustri compagni di viaggio «stanchi, come chi ha percorso un lungo tratto e reso più difficile dalla pioggia».

A Ruvo, l’antica Rubi, importante centro di sosta lungo la via Appia-Traiana, nuovamente storia antica e mito, i due assi portanti di questo itinerario, si incontrano. La cittadina è un importante centro agricolo della Murgia pugliese e la sua origine risale al tempo dei Peuceti, antica popolazione italica, che si era stanziata in queste terre già a partire dal VII secolo a.C.

Fu municipio romano e la sua importanza è legata alla posizione strategica lungo la via che collegava le zone interne della regione con le città portuali della costa adriatica. Il viaggiatore, giunto fin qui seguendo il viaggio di Orazio, non può lasciare Ruvo senza aver prima visitato il Museo Jatta, non solo per il ricco patrimonio di vasi apuli che ospita, ma anche per la cornice museografica entro cui sono esposti: il neo-classicheggiante Palazzo Jatta. Il Museo è uno dei pochissimi esempi in Italia di una raccolta privata, formatasi tra il 1820 e il 1935, rimasta intatta e allestita secondo il gusto tardo ottocentesco.

Contiene una pregevole collezione di oltre 2000 vasi, rinvenuti nel territorio di Ruvo grazie all’impegno e alle appassionate ricerche archeologiche di Giovanni Jatta e della sua famiglia. Gli Jatta volevano porre fine alla pratica, largamente diffusa nel XIX secolo, di saccheggiare tombe e sepolcreti antichi a fini commerciali e speculativi, per questo iniziarono ad acquistare manufatti sul mercato antiquario e a presiedere campagne di scavo, salvando da tombaroli e contrabbandieri gran parte del patrimonio storico-archeologico del territorio. La preziosa raccolta di famiglia costituisce la collezione del Museo Jatta. Uno dei pezzi più pregevoli del museo si trova nella stanza IV: si tratta di un cratere attico risalente probabilmente al V secolo a.C. Vi è rappresentata una scena delle Argonautiche di Apollonio Rodio, la Morte di Talos. Ed ecco riaffacciarsi il mito. Talos era un gigantesco demone, custode di Creta, che venne ucciso dai Dioscuri, Castore e Polluce, con l’aiuto di Medea, per permettere a Giasone di sbarcare sull’isola, dopo aver conquistato il vello d’oro.

Picture 1
Ruvo, Museo Jatta, vaso di Talos
(foto di julianna.lees is licensed under CC BY-NC-SA 2.0 )
Miliario_via_Traiana_Bari_2015.jpg
Bari, Lungomare Imperatore Augusto, colonna miliare

Il vaso, dal punto di vista artistico eccezionale, anche a dispetto di alcune ridipinture ottocentesche, presenta in primo piano la figura del gigante, ferito a morte, che si accascia sostenuto dai Dioscuri. Il Dio del mare Poseidone e la compagna Anfitrite assistono alla scena, mentre una figura femminile, personificazione di Creta, fugge spaventata per aver perso la protezione del suo custode.

Lasciamo Ruvo, i suoi miti e i suoi tesori archeologici, e proseguiamo il nostro viaggio lungo la via Appia-Traiana per raggiungere Bari, definita sinteticamente da Orazio come città «pescosa».

Il viaggiatore che giunge oggi nel capoluogo pugliese è più facilmente catturato dall’aspetto medievale della città, che invece custodisce i suoi tesori archeologici nel recentemente restaurato Museo archeologico di Santa Scolastica, sul Lungomare Imperatore Augusto, che corre sotto l’antica muraglia cittadina. Qui sono ancora allineati i resti di antiche colonne romane, probabilmente appartenenti ad edifici oggi scomparsi. Tra queste, il viaggiatore potrà imbattersi in una delle colonne miliari proprio della via Traiana, rinvenuta nelle immediate vicinanze. Su di essa è ancora leggibile la scritta dedicatoria in onore dell’imperatore Traiano e l’indicazione della distanza di CXXVIII miglia da Bari e Benevento.

Nel cuore dei vicoli del centro storico, del quale consigliamo comunque di visitare la Cattedrale di San Sabino e la Basilica di San Nicola, il viaggiatore potrà compiere un suggestivo percorso a ritroso nel tempo, visitando le esposizioni allestite nel bel Palazzo Simi – Centro Operativo per l’Archeologia –, in strada Lamberti 1. All’interno di questa dimora rinascimentale si può apprezzare una fitta e serrata stratificazione archeologica sia verticale che orizzontale che mostra, attraverso reperti, utensili e manufatti ceramici, la lunga storia di Bari e delle sue preesistenze archeologiche che ne contraddistinguono il sottosuolo.

Da Bari, il nostro itinerario alla scoperta del patrimonio archeologico e delle storie mitologiche delle città e dei paesi pugliesi ci conduce nei pressi di Monopoli, sulla costa adriatica, dove si trovano i resti di un antico insediamento, risalente all’Età del Bronzo: Egnazia.

Il poeta latino, arrivato in quella che all’epoca era già diventata una fiorente città romana, ironizza sulle leggende del luogo e scrive:

Egnazia, costruita in ira alle Ninfe, ci offrì motivi di risa e di scherzi, giacché desiderava convincerci che l’incenso sulla soglia del tempio si consuma senza fiamma. Ci creda Apella il giudeo, non io: io infatti ho imparato che gli dei conducono vita tranquilla e, se qualche prodigio la natura produce, non sono gli dei irati a mandarlo giù dall’alto tetto del cielo. (Orazio, Satire, I, V)

Egnazia, l’antica Gnathia dei Messapi, conserva ancora oggi i resti delle sue antiche mura, che attirarono l’attenzione anche di un altro illustre viaggiatore, come noi, alla ricerca dell’antico. Passò da questo luogo, sul finire del XVIII secolo, il barone Von Riedesel corrispondente del famoso archeologo Winckelmann, a cui descrisse il sito con queste parole:

[…] si veggono, ancora, le sue antiche mura, che si elevano di qualche palmo dal suolo, e son di pietra da taglio, posto a crudo, ossia senza calce e cemento; inoltre, una tomba antica, una conserva di acqua sotterranea, che può aver servito a dei bagni, e che si riconosce essere stata decorata di stucco; ed infine, un altro edificio sotterraneo, di forma quadrata, con un’apertura in ogni angolo, probabilmente, per dargli luce ed aria. Io lo credo, del pari, una conserva d’acqua, essendo necessarii simili edificii in un paese di pianura come questo, nel quale mancano buone sorgenti, e nel quale bisogna ricorrere all’acqua piovana. (H. Von Riedesel, Viaggio attraverso la Sicilia e la Magna Grecia)

Ancora oggi il viaggiatore potrà apprezzare le rovine di Egnazia, un tempo importante civitas foederata romana, poi municipium, situato lungo la via Traiana, entro la sua scenografica posizione difronte al mare. La città romana conobbe il suo massimo sviluppo a cavallo tra il II e III secolo d. C.

È ancora perfettamente leggibile l’asse viario lastricato della via imperiale, ai cui lati sorgevano le botteghe, il foro, le basiliche civili e una vasta aria santuariale di epoca augustea.

La zona è stata oggetto di numerose campagne di studio e scavi archeologici e, dal 2016, sono stati aperti al pubblico numerosi percorsi, che permettono di visitare la città supportati da moderne tecnologie multimediali. I reperti provenienti dagli scavi di Egnazia sono oggi conservati nel vicino Museo Nazionale Giuseppe Andreassi.

Il viaggiatore, dopo questa passeggiata archeologica, potrebbe, se la stagione lo permette, concedersi un tuffo nelle limpide acque dell’Adriatico che lambiscono, a volte pericolosamente, l’area archeologica ‘invisa alle Ninfe’. Molti stabilimenti balneari attrezzati si susseguono lungo questo tratto di costa.

Picture 2
Scavi di Egnazia
(foto di SilviaS75 is licensed under CC BY-SA 3.0)
via traiana ad egnazia.jpg
Il tratto della via Traiana che passa da Egnazia
(foto di Steve Jay from Amberley, West Sussex, England – Remains of the Roman Road at Egnazia, CC BY-SA 2.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=3903019)

A questo punto del nostro itinerario, lasciamo il poeta e la sua comitiva procedere verso Brindisi, mentre noi devieremo il nostro percorso verso le zone interne della regione per raggiungere Taranto, riallacciandoci al tracciato originario della via Appia.

Se Orazio può essere considerato, tra gli scrittori antichi, uno dei più illustri viaggiatori di Puglia, in tempi molto più recenti, nel 2015, un altro famoso scrittore e affermato giornalista, Paolo Rumiz ne ha idealmente raccolto il testimone. Questi ha percorso a piedi, insieme a un gruppo di amici, la via Appia antica da Roma a Brindisi, in parte ricalcando l’iter brundisinum oraziano, ma, diversamente dal poeta, restando fedele al tracciato stradale più antico. Il racconto di questo incredibile viaggio è diventato un libro, intitolo Appia, che, accogliendo l’augurio del suo scrittore, abbiamo scelto di utilizzare come guida durante le ultime tappe pugliesi di questo viaggio sulle strade dei miti e degli eroi.

Il tragitto che proponiamo al viaggiatore è quello che da Gravina porta a Taranto, ripercorrendo esattamente il tracciato di una delle strade più importanti dell’antichità, un cammino che può ambire a diventare il Cammino di Santiago italiano e che Rumiz «come un pifferaio magico» ci invita a seguire sia con le gambe che con l’immaginazione.

Lo scrittore arriva in Puglia, dopo aver attraversato il Lazio e la Campania, dal confine con la Basilicata e così scrive:

Dalla Basilicata alla Puglia un lungo andare nel silenzio, fra panorami e infinite e nude distese a seminativo. […] Scampoli di tratturo Tarantino-Appia Antica conducono su e giù verso Gravina, gioiello che prende il nome dal canyon inserito nel Parco nazionale dell’Alta Murgia. Sul lato del burrone opposto a quello dell’attuale città, nel sito di Botromagno, che fu colonizzato dai Peuceti, i Romani avrebbero costruito la stazione di Silvum. (P. Rumiz, Appia)

Consigliamo al viaggiatore di fare tappa in questo paese, costruito sui versanti di un profondo burrone, dalle caratteristiche paesaggistiche uniche, per scoprirne le numerose cripte, chiese rupestri e i suoi monumenti.

Lasciamo a Paolo Rumiz il compito di descriverci questo luogo così suggestivo:

Sull’orlo del precipizio che le dà il nome, Gravina emerge in fondo a una lunga spianata stepposa tipo Arizona. Il contrasto fra la luce calcinata della città e l’ombra smisurata del burrone è impressionante. […] Ma quello che fa la vera differenza è che Gravina è una città in negativo: scavata nella pancia del tufo più che costruita attraverso muri maestri. […]

Il solido tufo di Gravina fa sì che il segno dell’Appia si perda in un labirinto di tracce di carriaggi e antichi marciapiedi. […]

Sulle mappe antiche il nome attuale della città non esiste. Al suo posto, nell’itinerario dell’Appia è segnata Sylvium. Ma Gravina, secondo alcuni, non ha nulla a che fare con questa. E allora Sylvium dov’è? (P. Rumiz, Appia)

Per rispondere a questa domanda il nostro giornalista-viaggiatore interpella esperti di archeologia che gli rivelano che, con ogni probabilità, il paese odierno è il dirimpettaio dell’antica Sylvium, a sua volta erede di un centro greco chiamato Sidinon, termine che deriva dalla parola greca «Side» che significa melagrana. Su alcune monete, rinvenute nella collina ad ovest della profonda gravina che taglia in due l’abitato, è leggibile proprio questo toponimo. Conviene allora dirigersi, in compagnia di Rumiz, su questa altura, chiamata Botromagno. Sebbene l’area archeologica sia rimasta fortunosamente intatta, poiché l’abitato medievale e moderno di Gravina si è sviluppato sull’opposto versante del burrone, il sito è difficilmente raggiungibile e visitabile.

«Gravina – ci dice Rumiz – è una città verticale, un condominio rupestre con le case dei ricchi in alto e quelle dei poveri in basso. Ma ecco che proprio questa città termitaio ha la particolarità unica di avere le sue stratificazioni storiche in orizzontale. Una di fronte all’altra, anziché una sopra l’altra, come normalmente succede». E continua:

Botromagno, oltre la gola, sembra impersonare il “doppio” sepolcrale della città dei vivi. “Botros” per i Greci era nient’altro che il canyon, per cui il toponimo – per dirla con il Signore degli Anelli – può essere efficacemente tradotto con “Gran Burrone”. Ma “burrone” è esattamente come dire “gravina”, parola antichissima derivante dall’accadico “Grab” – fossa, tomba –, tuttora usata nel tedesco, ma con in più una connotazione sacra legata alle acque. (P. Rumiz, Appia)

Il viaggiatore in visita a Gravina non potrà fare a meno di notare come il territorio circostante sia avvolto da un’aura vagamente sepolcrale, conferitagli dalle numerose grotte adibite a necropoli e dai sepolcreti antichi presenti lungo i fianchi del burrone. E, se sarà fortunato, potrà imbattersi in qualche abitante del paese pronto a raccontargli le storie e le leggende che popolano queste rocce. Paolo Rumiz incontrò Pino che gli narrò di come gli anziani del paese credessero che in quel luogo abitassero ancora demoni antichi. Scrive Rumiz:

Quando passo lì accanto la sera, sento voci, vedo fiaccole alle finestre, dice Pino, ricordando che Gravina è luogo di abitazione e di culto da tempo immemorabile. Mio nonno disse che una notte aveva udito urla umane e un rombo di carri e cavalli al galoppo. Era corso dal parroco a raccontare la visione e quello gli aveva dato alcune effigi benedette per proteggersi dai demoni. Ebbene pochi giorni dopo, proprio in quel luogo, furono trovate due tombe greche, e nessuno tolse dalla testa al nonno l’idea che le grida fossero uscite da quella finestra sull’Ade. (P. Rumiz, Appia)

Lasciamo Gravina, le sue grotte e le sue storie, per proseguire il nostro itinerario lungo la via Appia sui passi di Rumiz che, attraversando la Murgia, passa da Altamura, secondo alcuni studiosi l’antica città di Blera, prossima tappa del nostro percorso. Il giornalista mette in guardia il viaggiatore su quanto sia difficile percorrere questo tratto di strada a piedi:

Se c’è un luogo dove sul tracciato dell’Appia non ci sono dubbi, ce lo abbiamo davanti. Lo dicono gli itinerari romani, la Tabula Peutigeriana, le carte IGM del secondo dopoguerra. […] Scavalchiamo le recinzioni, rimontiamo i terrapieni e camminiamo contromano tra i guardrail come lagunari, sfiorati da automobilisti allibiti. […] Ecco dove l’archeologia diventa intralcio per l’italico potere cementizio. Per questo, anche in Apulia, l’Appia è apertamente ignorata dai sindaci e dai loro tirapiedi. Più comodo far finta che non ci sia. (P. Rumiz, Appia)

TabulaPeutingeriana.jpg
Tavola Peutigeriana, probabilmente la più antica mappa stradale del mondo, è una copia medievale di un’antica carta romana che mostrava le vie dell’Impero. È attualmente conservata presso la Hofbibliothek di Vienna in Austria.
(Nel particolare riprodotto in immagine, vediamo la Puglia, la Calabria e la Sicilia)
Picture 3
Altamura, Cattedrale
(Foto di: Untalented Guy – https://www.flickr.com/photos/129044258@N06/34134875561/, CC BY 2.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=58996479)

Il viaggiatore, che sta seguendo questo itinerario a piedi, in treno o con altro mezzo, una volta arrivato ad Altamura resterà affascinato da questo centro popolato sin dalla Preistoria. Proprio nell’agro di questa ricca cittadina agricola è stato rinvenuto il primo e unico scheletro di ominide preistorico integro e completo, conosciuto come l’Uomo di Altamura. 

Consigliamo una visita del centro storico del paese con la sua maestosa Cattedrale e infine una passeggiata tra le strette vie e i suoi claustri che così descrive Rumiz:

Altamura vecchia è acustica del labirinto allo stato puro. Trillo biforcuto di rondoni, solitario canto greco di donna, fruscio di panni stesi. Luce violenta, che ti spinge a parlare sottovoce anziché a gridare più forte. Passeri che tacciono, aspettando la sera. Enormi nubi immobili nonostante il vento. […] Il genius loci aborre il rombo dei rettilinei e si rintana nei “claustri”, piazzette nascoste, dove regna un borbottio claustrale, da accademia talmudica. Diverticoli che ripetono il motivo del grembo femminile. Altamura è una “polis” in miniatura, che si rintana in mille viottoli. Non guarda all’esterno, ma verso il proprio centro. (P. Rumiz, Appia)

Dalla labirintica Altamura, con i suoi claustri, piccoli cortili in cui spesso vengono ancora allestite edicole votive, e che si aprono improvvisamente tra gli stretti vicoli, riprendiamo il cammino in direzione di Taranto.

Il nostro percorso che segue quello dello scrittore, che è diventato la nostra guida sulla via Appia, prosegue tra le terre a cavallo tra Puglia e Basilicata. Dopo aver attraversato i comuni di Laterza e Castellaneta, si comincia finalmente a intravedere il mare Jonio e purtroppo anche l’Ilva, l’enorme stabilimento siderurgico che sorge alle porte di Taranto.

Così racconta il suo arrivo nella città Paolo Rumiz:

[…] oltre una distesa di agrumeti, al termine di un lungo piano inclinato, appare la striscia cobalto dello Jonio, il più greco dei mari. E, poco a sinistra, sotto una massa di nubi portatrici di pioggia, un’altra visione. Inquietante. Una cresta dentata che fuma, come quella di uno stegosauro, trapassata dai fulmini, immensa eppur lontanissima. L’Ilva.

Ci aspetta sornione, a fauci spalancate, in fondo alla nostra strada. Si è disteso apposta sul cammino dell’Appia Antica col corpo smisurato e la pancia abitata dal fuoco perenne. Tra noi e Taranto è l’ultimo ostacolo. Un passaggio obbligato, come la Sfinge dei Greci, come il Maligno appostato sui ponti delle fiabe. (P. Rumiz, Appia)

Anche il viaggiatore che sta seguendo questo itinerario, prima di poter apprezzare le bellezze del capoluogo jonico, dovrà superare la «Sfinge», oltrepassare la coltre di fumi che avvolge la città, che un tempo era il capolinea della via Appia, prima che Brindisi ne diventasse il terminale. Con ogni probabilità dovrà aggirare le palazzine rossicce abbandonate del rione Tamburi, dove alloggiavano gli operai dello stabilimento siderurgico che, da miraggio di sviluppo e benessere, si è presto rivelato un pericolosissimo incubo per la popolazione e per l’ambiente. Ma Taranto non è solo l’Ilva. La città, con la sua scenografica posizione su un’insenatura naturale di acque ancora cristalline, potrà stupire il viaggiatore, come stupì Rumiz che scrive:

Ma ecco Taranto Vecchia, aggrappata all’isolotto che fa da intercapedine tra il Mar Grande e il Mar Piccolo. Reti colorate alla greca, odore di pescheria di una volta, vicoli più autentici che a Sorrento, popolane sfrontate, case che il tempo ha lasciato invecchiare in pace. […] Sul lato della città nuova, due poderose colonne doriche, di gran lunga anteriori alla tracciatura dell’Appia, snobbano il presente voltando le spalle all’acciaieria e dicono che la storia di Taranto che conta è tutta anteriore al dominio romano. Taranto significa una grande epopea ignorata. (P. Rumiz, Appia)

Questa epopea tarantina, secondo la leggenda e il mito, ebbe inizio intorno al 2000 a. C., quando Taras, figlio di Poseidone, sarebbe giunto in città a dorso di un delfino. Secondo Strabone, geografo e storico greco vissuto alla fine del I secolo a.C., fu un gruppo di Spartani guidati da Falanto a fondare Taranto nel 708 a.C.

Negli ultimi decenni del IV secolo, la città era una delle più potenti e floride colonie della Magna Grecia, come testimoniano le esportazioni di vasi e ceramiche in tutto il Mediterraneo e i numerosi capitali che vennero mobilitati per erigere incredibili opere d’arte e raffinati prodotti di oreficeria, oggi esposti al Marta , una delle eccellenze museali italiane ed europee.

Entriamo tra le sue sale seguendo il racconto di Rumiz:

[…] è vietato andarsene da Taranto senza aver visto il museo archeologico. All’ex-convento dei frati alcantarini si deve andare semplicemente perché ce lo ordina la bellezza, e la bellezza se ne frega se Roma è distratta e lontana, se a Taranto non arriva nessun Frecciarossa e non c’è aeroporto. […]

In quelle sale venerabili abita una delle meraviglie d’Europa. Un’antichità che non è marmo freddo ma scintillio di ori e argenti, gioielleria greca sepolta e riemersa dalle necropoli del IV e III secolo avanti Cristo. Taranto delle grandi botteghe degli orafi, Taranto trionfo di un universo femminile che Roma è ancora lontana dal concepire. Taranto dagli orecchini a navicella tintinnanti di pendagli, dalle foglie d’alloro e dai petali rosa in lamina d’oro zecchino. Taranto degli anelli, dei monili, delle teste di leone, fucina di smalti favolosi, cristalli di rocca, granulati d’oro, anelli, cammei e raffinati sigilli. (P. Rumiz, Appia)

Picture 4
Stabilimento dell’Ilva di Taranto
(foto di Jacopo Werther is licensed under CC BY-SA 2.0 )
Colonne_Doriche.JPG
Taranto, Colonne doriche del Tempio di Poseidone
(Di Livioandronico2013 – Opera propria, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=30324726)
Moneta_Taranto.jpg
Antica moneta tarantina, recante il toponimo Taras
(GFDL con disclaimer, https://it.wikipedia.org/w/index.php?curid=1211605)
Museo_Archeologico_di_Taranto.jpg
Taranto, Marta, Diadema in oro
( foto di Francesco Giusto photography – Flickr, CC BY-SA 2.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=20018732)
800px-Testa_di_donna_(Taranto).jpg
Taranto, Marta, testa femminile
(foto di Maria – Flickr, CC BY-SA 2.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=20263809)
01_2_cfu.jpg
Corfù, Vecchio Forte Veneziano
Picture 6
Corfù, Paleokastrizza
“DSC_6083” by almekri01 is licensed under CC BY-NC-ND 2.0

Al viaggiatore adesso, dopo aver ammirato gli splendori del passato di Taranto custoditi al Marta, non resta che proseguire il suo cammino lungo la via Appia per raggiungere Brindisi che con il suo porto è ancora oggi, come in passato, uno dei punti d’imbarco per eccellenza verso l’Oriente e la Grecia. Su uno dei traghetti, che collegano la città dell’Alto Salento alla Grecia, lasciamo la Puglia per approdare nelle Isole Ionie. La traversata non durerà che una notte e, all’alba, il viaggiatore potrà scorgere da lontano l’isola da sempre identificata come la Scheria dei Feaci: Corfù. Non una notte ci mise invece Ulisse per raggiungerla, ma 18 giorni, dopo aver lasciato la bella Calipso ad Ogigia.

Con in mano l’Odissea, nella poetica traduzione di Ippolito Pindemonte, letterato e poeta dalle solide basi classiciste, ma vicino alla sensibilità pre-romantica, vissuto a cavallo tra XVIII e il XIX secolo, l’arrivo a Corfù di Ulisse ci introdurrà nella dimensione omerica di questa ultima parte dell’itinerario.

Lieto l’eroe dell’innocente vento,

La vela dispiegò. Quindi al timone

Sedendo, il corso dirigea con arte,

Né gli cadea su le palpèbre il sonno

Mentre attento le Pleiadi mirava,

E il tardo a tramontar Boòte e l’Orsa

Che detta è pure il Carro, e là si gira,

Guardando sempre in Orïone, e sola

Nel liquido Oceàn sdegna lavarsi

L’Orsa, che Ulisse, navigando, a manca

Lasciar dovea, come la diva ingiunse.

Dieci pellegrinava e sette giorni

Su i campi d’Anfitrite. Il dì novello

Gli sorse incontro co’ suoi monti ombrosi

L’isola de’ Feaci, a cui la strada

Conducealo più corta, e che apparìa

Quasi uno scudo alle fosche onde sopra.

(Odissea, V, 346-361.)

In questi versi possiamo seguire Odisseo felice al timone della sua zattera che si orienta attraverso le stelle, come consigliato dalla bella Calipso, tenendo sempre a sinistra il Carro, l’unica stella che non cambia mai posizione. Il diciottesimo giorno, ecco apparire i monti ombrosi dell’isola dei Feaci.

L’arrivo sulle coste greche ha sempre suscitato un’incredibile emozione negli scrittori di ogni epoca, che soprattutto a cavallo tra illuminismo e romanticismo, elessero la Grecia a ideale patria della cultura occidentale. Leggiamo ad esempio l’emozione del prolifico intellettuale siciliano Saverio Scrofani, quando intravide all’orizzonte le Isole Ione, nel corso di un viaggio del 1794, nato sulla scia del Grand Tour illuminista, ma con uno sguardo alla Grecia antica che «anticipa l’adesione lirica che il mito dell’Ellade conoscerà nei grandi romantici europei». (R. Nicolì, Introduzione a Viaggio in Grecia di Saverio Scrofani, Biblioteca digitale di Polysemi)

Così scrisse:

Finalmente, dopo otto giorni di navigazione, ecco le Montagne dell’Epiro, ecco gli scogli Acrocerauni, ecco Corfù. A questi nomi mille idee mi si affollarono in mente: Alessandro, Pirro, Nausica, Alcinoo, Ulisse occuparono ad un tratto la mia fantasia: io non mi stancava di riguardare da lontano quelle rocche e quei monti così famosi. (S. Scrofani, Viaggio in Grecia, Lettera V)

Ancora oggi il viaggiatore potrà, arrivando a Corfù in nave, osservare il profilarsi delle montagne albanesi all’orizzonte – che emozionarono Scrofani e che ci piace immagine siano gli stessi ombrosi monti che intravide Ulisse– e, entrando nel porto, lo sguardo sarà catturato dalla mole del Vecchio Forte veneziano con i suoi bastioni sul mare.

Quando approdò su questi lidi, Ulisse incontrò la bella Nausicaa che lo condusse in città nella reggia del padre Alcinoo, re dell’isola. Sono molti i luoghi qui che si contendono il primato di essere stati il teatro di questo primo incontro, tra tutti segnaliamo al viaggiatore, sulla costa occidentale, a circa una trentina di chilometri dalla città di Corfù, Paleocastrizza e, sulla costa orientale, la baia di Kanoni.

Una volta sbarcato a Corfù, al viaggiatore non rimane che cominciare ad aggirarsi per Kerkyra, centro principale dell’isola, nel tentativo di riconoscervi la città dei Feaci.

Così è descritta nell’Odissea:

È la città da un alto

Muro cerchiata, e due bei porti vanta

D’angusta foce, un quinci e l’altro quindi,

Su le cui rive tutti in lunga fila

Posan dal mare i naviganti legni.

Tra un porto e l’altro si distende il foro

Di pietre quadre, e da vicina cava

Condotte, lastricato; e al fôro in mezzo

L’antico tempio di Nettun si leva.

(Odissea, VI, 366-373)

Nulla rimane, né a Kerkyra né nelle altre cittadine dell’isola, delle alte mura cantate in questi versi o del foro lastricato e tantomeno del tempio di Nettuno, al punto che il colto viaggiatore siciliano Scrofani fece fatica a nascondere la delusione e scrisse:

[…] dove son dunque i resti della reggia e de’ giardini d’Alcinoo? Non si vede più nulla. Il tempo distrugge, è vero, le fabbriche e le coltivazioni; ma le fonti, ma i fiumi che le irrigavano dove sono? Temo che tutte le bellezze e le magnificenze d’Alcinoo, le porte d’oro, le mura d’argento, i chiodi di gemme, non siano un effetto della fantasia d’Omero come le statue ch’ei fa lavorare per lo scudo d’Achille. Se si vuole prestar fede al racconto del poeta, qui presso era il luogo dove Ulisse fu rigettato dalla tempesta; qui ha dovuto nascondersi e qui mostrarsi nudo alla figlia del re. Ecco la fonte dove Nausica lavava i panni quando il re d’Itaca le si scoperse, quando ella se ne innamorò, quando le sue ancelle lo rivestirono dopo aver in un segreto abboccamento ottenuta la protezione della padrona. Ma come è possibile che Ulisse, giunto in Feacia, non sapesse riconoscere le montagne dell’Epiro che le stanno in faccia, né la stessa Leucade che doveva quasi scoprire co’ propri occhi? Di più: Ulisse, un re, un viaggiatore, un eroe che ritorna dopo aver distrutto il regno di Priamo, ignora poi qual popolo abiti in quell’Isola e quali sieno i Feacesi? Eppure Corfù non è distante che 100 miglia da Itaca. Misero colui, che ardisse oggigiorno scrivere un poema su questo gusto. Che dico? Felice chi potesse solamente imitarlo. (S. Scrofani, Viaggio in Grecia, Lettera X)

Poco importa forse se il viaggiatore giunto a Corfù non vi scorgerà, come accadde a Scrofani, le tracce della reggia di Alcinoo, l’isola e la città riusciranno comunque ad incantarlo con il loro fascino veneziano e orientale, con gli incredibili scorci paesaggistici e le belle spiagge.

Esiste un altro luogo strettamente legato al racconto omerico: l’isolotto di Pontikonissi, pochi chilometri a sud del centro di Kerkyra. Secondo una tenace tradizione si tratterebbe della nave con cui i Feaci riportarono Ulisse ad Itaca. Si racconta che, per vendetta, Poseidone pietrificò e affondò qui l’imbarcazione, quando questi fecero ritorno in patria.

Nei versi del libro XIII dell’Odissea, qui di seguito riportati, è descritto il momento in cui il Dio del mare, dopo essersi consultato con Zeus, opera il prodigio e, avvicinandosi alla nave, con un solo tocco di mano la trasformò in pietra, tramutandola in quella che la leggenda vuole sia oggi proprio lo scoglio di Pontikonissi:

“[…] quando

I Feacesi scorgeran dal lido

Venir la nave a tutto corso, e poco

Sarà lontana, convertirla in sasso

Che di naviglio abbia sembianza, e oggetto

Si mostri a ognun di maraviglia; e in oltre

Grande alla lor città montagna imporre”.

Lo Scuotiterra, udito questo appena,

Si portò a Scheria in fretta, e qui fermossi.

Ed ecco spinta dagl’illustri remi

Su per l’onde venir l’agile nave.

Egli appressolla, e convertilla in sasso,

E d’un sol tocco della man divina

La radicò nel fondo. Indi scomparve.

(Odissea, XIII, 188-201)

-Odisseo-e-Nausicaa.jpg
Guido Reni, Ulisse e Nausicaa, Napoli, Museo Nazionale di Capodimonte
Pontikonisi_Island_05-06-06.jpg
Corfù, isolotto di Pontikonissi
(foto di Sascha Askani, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=204175)
DSC03061.JPG
Pontikonissi e il Monastero della Vlacherna veduta

Il viaggiatore deciderà se credere o meno a questa leggenda, tuttavia è un’esperienza assolutamente consigliabile visitare questa alta scogliera sul mare, circondata da un boschetto di cipressi, raggiungibile in barca dal molo su cui sorge il bianco Monastero della Vlacherna del XVII secolo.

Prima di lasciare Corfù e proseguire l’itinerario in direzione dell’isola di Lefkada e infine verso la ‘petrosa’ Itaca, consigliamo al viaggiatore di visitare la Villa Mon Repos che ospita un’interessante collezione archeologica con i reperti provenienti dall’antica area di Paleopolis e il Museo Archeologico situato in via Vraila Armeni n.1. Qui, tra gli altri interessanti ritrovamenti, è conservato ed esposto il frontone di un tempio arcaico, dedicato alla dea Artemide, che reca scolpita un’impressionante figura mitologica, quella di una delle Gorgoni, secondo il poeta e scrittore britannico Lawrence Durrell, la celebre Medusa.

Qui a Corfù, si racconta di un’altra terrificante donna della mitologia classica, Medea che sull’isola convolò a nozze con Giasone, l’eroe viaggiatore che insieme agli Argonauti peregrinò lungo tutto il Mediterraneo alla ricerca del vello d’oro. Secondo la mitologia fu proprio Alcinoo, il re dei Feaci, ad accogliere sull’isola Medea e Giasone e a far sì che si sposassero regolarmente. Alle nozze seguì un’intensa notte d’amore. Ed è proprio durante quella notte che inizia il celebre film di Pasolini, interpretato da Maria Callas, intitolato: Medea.

IMG-20190929-WA0016.jpg
Kerkyra, Museo archeologico, frontone del tempio di Artemide
800px-Moreau_-_Jason_et_Médée.jpg
Gustave Moreau, Medea e Giasone, Parigi Museo d’Orsay
800px-Antoine-Jean_Gros_-_Sappho_at_Leucate_-_WGA10704.jpg
A-J. Gros, Saffo a Leucade
(di Antoine-Jean Gros – Web Gallery of Art: Image Info about artwork, Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=15462031)

Al viaggiatore adesso non resta che seguire l’esempio di Ulisse e proseguire il viaggio. Nonostante le bellezze di Corfù invitino trattenersi, è giunto il momento di salpare e proseguire il nostro itinerario dei miti e degli eroi in direzione di Lefkada, approfittando dei collegamenti via mare che collegano le Isole Ionie. Lungo la nostra rotta ci imbatteremo nei due piccoli isolotti di Paxos e Antipaxos. Non è neanche necessario toccare terra per imbatterci nuovamente in miti e storia. Proprio poco lontano dalle acque che stiamo navigando si è combattuta una delle battaglie più famose del mondo antico, la battaglia di Azio, dove si infransero i sogni d’amore e di potere di Antonio e Cleopatra. Leggenda narra che i due amanti banchettarono a largo di questi isolotti, proprio alla vigilia dello scontro fatale. Questo tratto di mare Ionio è anche un gioiello di biodiversità, dove è possibile ammirare alcune rare specie marine come la tartaruga embricata e la foca monaca.

Arriviamo a Lefkada, chiamata dai Veneziani Santa Maura. Oggi l’isola è famosa per le sue spiagge incontaminate e per essere una delle mete preferite da camminatori ed escursionisti.

Oltre che per le sue bellezze naturali Lefkada è celebre, nell’immaginario classico e romantico, per le bianche scogliere, immortalate da pittori e cantate da molti poeti, da dove la poetessa Saffo decise di gettarsi in mare per porre fine al suo tormentato amore con Faone.

Ne scrive, chiaramente emozionato, Saverio Scrofani nella relazione del suo viaggio in Grecia del 1794, composta sotto forma di resoconto epistolare e pubblicata nel 1799:

Al far del giorno ci trovammo in faccia a’ famosi regni d’Ulisse: questa è Leucade, quella è Itaca, quella è Ceffalonia, quello è il Zante. Ecco il capo Colonna e le ruine del tremendo tempio d’Apollo. […] dall’alto di quello scoglio che sto osservando co’ propri occhi, che biancheggia da lontano e spaventa, in quel mare profondo che si frange a’ suoi piedi, funesto sempre a’ nocchieri e sempre agitato, si precipitò e perì ebria d’amore, di dispetto, di noia la divina, la sensibile, l’appassionata Saffo. E i Sacerdoti, gl’interpreti, i ministri de’ numi avevano inventato quest’assassinio? E i numi che amavano l’umanità e l’innocenza, i numi che punivano le altrui sceleraggini lasciarono sussistere per più secoli quest’esempio della lor tirannia e della loro impotenza? O come ti vedrei volentieri, Faone, in mezzo a Tizio ed a Sisifo pagar la pena della tua durezza: ti vedrei rodere… Ma questo rimprovero è sicuramente un’ingiustizia, un effetto della mia fantasia riscaldata. Qual colpa ebbero Faone, i preti, i numi? L’uno non poté amar Saffo, e quando non si può non v’ha colpa; gli altri la tolsero dagli affanni che soffriva amando chi non l’amava: in effetto la morte è il solo efficace rimedio per un amore non corrisposto. Alle porte d’ogni città, si dovrebbe trovare un salto di Leucade: gli amanti disperati ritornerebbero saggi o finirebbero di penare, e i governi sarebbero più tranquilli. (S. Scrofani, Viaggio in Grecia, Lettera XI)

Si racconta che gli antichi credevano che si potessero raggiungere direttamente gli Inferi saltando da queste scogliere o almeno il fiume Acheronte. In realtà, stando a Strabone, pare che il tuffo dalla rupe di Lefkada fosse una pratica abbastanza comune nell’antichità classica e che i sacerdoti di Apollo lo eseguissero regolarmente. Il salto, che probabilmente aveva anche una qualche funzione propiziatoria, veniva chiamato Katapontismos.

Picture 5
Rupe di Leucade
(foto di almekri01 is licensed under CC BY-NC-ND 2.0)
vathi_ithaka.jpg
Itaca, Vathy, foto partner
anemodouri-arethousa-krini-06.jpg
Itaca, sentiero per la fonte Aretusa
PICT0754.jpg
Itaca, spiaggia di Dexa

Lasciamo le sue romantiche scogliere di Saffo per raggiungere la sospirata meta del viaggio di Ulisse e l’ultima tappa del nostro itinerario.

Itaca, nei versi 26-33 del canto IX dell’Odissea, è sinteticamente descritta: domina il paesaggio l’alto monte Nerito, su cui si infrangono i venti, è circondata dalle isole vicine più spostate ad Oriente, come la rigogliosa Zacinto. La terra è aspra e montuosa, ma buona nutrice di giovani:

[…] dove

Lo scotifronde Nérito si leva

Superbo in vista, ed a cui giaccion molte

Non lontane tra loro isole intorno,

Dulichio, Same, e la di selve bruna

Zacinto. All’orto e al mezzogiorno queste,

Itaca al polo si rivolge, e meno

Dal continente fugge: aspra di scogli,

Ma di gagliarda gioventù nutrice.

(Odissea, IX, 26-33)

Non ci resta che consigliare al viaggiatore che voglia immergersi nella dimensione omerica dell’isola alcune escursioni. Spostandosi di circa 10 km a sud di Vathy, il centro principale di Itaca, nei pressi del villaggio di Anemothouri, ci si può imbattere nella vera o presunta fonte Aretusa, cioè dove nell’Odissea si racconta che Ulisse incontrò il fidato servo Eumeo, che era solito andare lì a far abbeverare i maiali.

Il percorso, sebbene non sempre agevole, riserva panorami e scorci molto suggestivi. Un semplice cartello blu indica il sito dove si trova la fonte.

Un altro luogo che suggeriamo di visitare è l’anfratto naturale, vicino alla rinomata spiaggia di Dexa, noto come la grotta delle Ninfe, «la convessa spelonca», dove l’eroe compiva sacrifici in onore delle divine creature. Qui ci si può anche improvvisare novelli Indiana Jones alla ricerca dei tesori che si dice Ulisse abbia nascosto nei pressi della grotta. Il viaggiatore, se vorrà, leggendo i versi dell’Odissea che cantano questo luogo, potrà riconoscerne il paesaggio, caratterizzato dalle fronde degli ulivi che ancora oggi impreziosiscono questo tratto della costa itacese sacro alle Ninfe dette Naiaidi che qui, tra anfore e vasi dove le api producono il miele, tessevano su telai di marmo drappi color porpora di incredibile bellezza.

Così cantò Omero:

[…] Spande sovra la cima i larghi rami

Vivace oliva, e presso a questa un antro

S’apre amabile, opaco, ed alle ninfe

Nàiadi sacro. Anfore ed urne, in cui

Forman le industri pecchie il mel soave,

Vi son di marmo tutte, e pur di marmo

Lunghi telai, dove purpurei drappi,

Maraviglia a veder, tesson le ninfe.

(Odissea, XIII, 126-132)

In fine, non rimane che dirigerci sul monte Aetos, nei pressi del piccolo villaggio di Alalkomenés. Su questa cima, il celebre archeologo Heinrich Schliemann, colui che con in mano l’Iliade riuscì a ritrovare la città di Troia, si persuase di essere riuscito a trovare anche i resti della reggia di Ulisse. Non esistono ancora evidenze archeologiche tali da confermare questa ipotesi, ma sulla base di recenti scavi, un’altra località di Itaca si è candidata ad essere il sito dove si troverebbe il palazzo dell’eroe greco.

Nei pressi del piccolo villaggio di Stavròs, sulla collinetta di Pelikata, nella parte settentrionale dell’isola, tra colline coperte di ulivi e coltivate a viti, vicino a un piccolo museo archeologico, sono stati identificati i resti di un palazzo dalle mura ciclopiche di epoca micenea che, ci piace immaginare, abbia, un tempo lontano, potuto ospitare, se non Ulisse e la fedele Penelope, sicuramente qualche nobile guerriero o aristocratico.

Come probabilmente starà facendo il viaggiatore, anche il colto scrittore siciliano settecentesco, di cui stiamo seguendo in parte l’itinerario, Saverio Scrofani, davanti alle rovine di Itaca, non può fare a meno di porsi questi interrogativi:

Qui dunque visse, quell’uomo eloquente, e in conseguenza artificioso, che dopo aver fatto il pirata fra questi scogli infecondi, fu poi cagione in Asia della strage e del pianto di migliaia d’uomini e di cui Omero ha fatto un eroe? Qui i Proci assediavano Penelope, qui visse Telemaco, qui Mentore filosofava, qui scese Minerva a proteggere Ulisse, a conversare con lui? (S. Scrofani, Viaggio in Grecia, Lettera XI)

 

Lasciamo a conclusione di questo nostro itinerario, come suggerisce Scrofani, che «I geografi, e gl’istorici ne disbrighino la questione fra loro», poiché, parafrasando alcuni versi del poeta greco Kostandinos Kavafis, siamo certi che pur senza avere le risposte ai nostri dubbi omerici:

[…] non per questo Itaca ti avrà deluso

Fatto ormai savio, con tutta la tua esperienza addosso

già tu avrai capito ciò che Itaca vuole significare.

(K. Kavafis, Itaca)

Le Isole Ionie Secondo Lawrence Durrell

Alberobello, Brindisi, Corfù, Lefkada, Itaca, Cefalonia, Zante

[Tedesco] 

[Spagnolo] 

Negli anni Settanta del Novecento, il poeta e scrittore inglese Lawrence Durrell scrisse The Greek Islands, libro alla base di questo itinerario. Mai tradotto integralmente in italiano, nonostante i premi vinti e il successo editoriale, non è quella che comunemente si definisce una guida turistica, ma, come scritto al tempo dai recensori del «The Times», si tratta di un volume prezioso, quasi come uno dei codici miniati presenti nel monastero di Patmos. Un libro di viaggio scritto da un viaggiatore che proprio sulle isole greche aveva vissuto e tratto ispirazione per alcuni dei suoi capolavori letterari, Gli amari limoni di Cipro e La grotta di Prospero. Entrambi questi testi sono alla base del libro The Greek Islands, in cui gli approfondimenti storici, artistici, mitologi e sociologici sul mondo greco antico e sulla realtà moderna, insieme ad una scrittura che non rinuncia mai alla chiarezza e all’ironia, concorrono a renderlo lo strumento ideale per permettere al viaggiatore contemporaneo di accedere ad una conoscenza privilegiata delle isole greche. Un libro pensato e scritto, come dichiara l’autore, per rispondere alle principali domane che potrebbero porsi i viaggiatori navigando da un’isola greca all’altra: che cosa dovrei sapere dell’isola su cui sono giunto? e che cosa non dovrei assolutamente perdere l’opportunità di vedere, una volta approdato?

Trulli di Alberobello,
foto di Liguria Pics – Opera propria, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=63793995

Seguendo questo itinerario, il viaggiatore, guidato dalle parole di Lawrence Durell, dai suoi ricordi personali, dalle sue evocative descrizioni, dalla sua ironia affatto britannica, e dai suoi studi sulla cultura greca, potrà non solo soddisfare gli interrogativi che hanno guidato la stesura di questo libro, ma conoscere le Isole Ionie attraverso gli occhi e la sensibilità di uno dei grandi scrittori del Novecento, che di queste terre si innamorò al punto da eleggerle come propria casa per molti anni.

Come sa ogni viaggiatore, il viaggio inizia ben prima della partenza, e anche il nostro itinerario, accogliendo l’invio della nostra guida d’eccellenza, Lawrence Durrell, inizia con l’invito a cogliere i segnali che vengono dal percorso, dal tragitto, da quella strada che, passando per la Puglia, da sempre terra di passaggio verso l’Oriente, ci porterà su un traghetto alla volta delle Isole Ionie. Scrive Durrell:

Il viaggiatore, scivolando verso sud lungo il tallone d’Italia, come dentro una calza natalizia piena di piccole città del tesoro e di monumenti inaspettati, avverte che la frontiera si sta avvicinando ben prima dell’arrivo nella piccola città portuale di Brindisi. (L. Durrell, The Greek Islands.)

The traveller, slipping southward along the heel of Italy, as if down a Christmas stocking full of small treasure-towns and unexpected monuments, first feels the intimations of a frontier coming to meet him a good way before he reaches the little terminal town of Brindisi. (L. Durrell, The Greek Islands.)

Il sud Italia è agli occhi di Durrell, ancora negli anni Settanta, una zona selvaggia, puntellata da affascinanti villaggi immersi nel verde, come la Valle d’Itria, quella «strana e pittoresca terra dei trulli, come vengono chiamate queste costruzioni bizzarre e elaborate, che stanno su non si capisce bene come. (questi bizzarri ma elaborati mucchi di pietre attaccate non si sa come)». «a strange and picturesque land of trulli, as they call those funny yet quite elaborate conglomerations of clay pots stuck together anyhow […]».

Bisognerà dunque infilare tutta l’Italia, quella strana «calza natalizia», in treno o in auto non fa differenza, per raggiungere Brindisi. La cittadina pugliese, dove un tempo terminava la via Appia, segna la frontiera tra l’Italia e la Grecia. Non una frontiera tradizionale, non un confine terrestre, ma una frontiera fatta di acqua. È il mar Adriatico, che poi diventa Ionio, a separare la Puglia dalla Grecia. Al di là di quel tratto di mare, il viaggiatore non sa ancora bene cosa aspettarsi dalle isole greche che sono proprio là fuori ad attenderlo, da qualche parte, nascoste nell’oscurità della notte dell’imbarco sul traghetto che collega la Puglia a Corfù. Si chiede il viaggiatore e con lui lo scrittore:

Come saranno? Cos’è che dà a una frontiera la sua magia? Non il fatto che sia un confine territoriale o politico, perché questi sono artificiali, dettati dalla storia. Un improvviso cambio di paesaggio ne può essere in parte la causa, ma spesso il cambiamento da un paese all’altro non è accompagnato da alcun cambiamento di flora e fauna (dall’Italia alla Grecia, ad esempio, dalla Francia alla Spagna). Forse è la lingua che conferisce all’attraversamento di una frontiera quel decisivo sapore di viaggio. Qualunque sia la risposta, la magia è lì. Il cuore del viaggiatore batte a un nuovo ritmo, il suo orecchio raccoglie le tonalità di una nuova lingua; egli esaminerà con curiosità le nuove strane parole. Tutto sembrerà cambiato, compresa l’aria che respira. (L. Durrell, The Greek Islands.)

What is that gives a frontier its magic? Not the fact that it is a territorial or political boundary, for these are artificial, dictated by history. A sudden change of scenery may be sometimes partly responsible, but often the change from one country to another is not accompanied by any change of flora and fauna (Italy to Greece, for example, France to Spain). Perhaps it is language that gives to the crossing of a frontier its definitive flavour of voyage. Whatever the answer, the magic is there. The traveller’s heart will beat to a new rhythm, his ear pick up the tonalities of a new tongue; he will examine the strange new coinage with curiosity. Everything will seem changed, including the air he breathes. L. Durrell, The Greek Islands.)

Riflettendo sul passaggio dall’Italia alla Grecia, Durrell ci ricorda che stiamo lasciando la terra di Giulio Cesare per quella di Alessandro Magno, due figure che probabilmente sintetizzano le enormi differenze che separano questi due paesi che a Brindisi, almeno virtualmente, confinano. Dice Durrell:

Esiste una formidabile differenza tra Roma e Atene, tra un italiano e un greco; e chiunque abbia una qualsiasi conoscenza della cultura classica si stupisce di scoprire quanto sia viva ancora oggi. Da un lato l’Italia della raffinatezza e spesso della sofisticatezza, – curata e piegata dai suoi abitanti in dolcezza formale. E dall’altra parte la Grecia, un giardino selvaggio, dove tutto sembra andare in rovina – una caduta violenta, verticale che tuona giù dal cielo … non addomesticabile. Si pensi all’Italia romana per cui la natura è sempre stata moglie, nutrice e musa; mentre per la Grecia la natura era qualcosa di selvaggio, di terribile e infinito – padrona e dea senza pietà allo stesso tempo. Anche i loro eroi sono sempre stati diversi da tempo immemorabile. (L. Durrell, The Greek Islands.)

There is a formidable difference between Rome and Athens, between Italian and Greek; and those with any classical knowledge are astonished to find how constant it is even today. On one side the Italy of finesse and often of finickyness – cherished and tamed by its natives into a formal sweetness. And on the other side Greece, a wild garden with everything running to ruin – violent, vertical and sky-thrusting… undomesticated. One thinks of Roman Italy for whom Nature was always wife, nurse and muse; whereas for Greece she was something wilder, something terrible and unbroken – mistress and goddess without mercy all in one. And their heroes have been different from time immemorial. The traveller watches a tanker come in and make fast, while with half of his mind he wonders if in modern Greece he will come upon traces of Odysseus, the ancient hero. (It is nearly time to go.) (L. Durrell, The Greek Islands.)

Il viaggiatore, preso da questi pensieri, vede le navi che entrano ed escono dal porto di Brindisi dal quale sta per imbarcarsi «mentre con metà della sua mente si chiede già se nella Grecia moderna si imbatterà nelle tracce di Odisseo, l’antico eroe. (È quasi ora di partire)».

Durrell mette in guardia il viaggiatore sulle insidie dell’atteggiamento mentale di chi tende a sovrapporre l’immaginario mitico e mitologico classico ai paesi che si stanno per visitare, insidia particolarmente pericolosa quando si tratta del mondo greco. Invitiamo il viaggiatore che sta seguendo questo itinerario a non incorrere in questo ingenuo errore e facciamo nostro il monito di Durrell:

La passione per la mitologia e il folklore può diventare un handicap quando si visitano siti classici. Non è saggio passare troppo tempo a confrontare il presente con il passato, poiché inevitabilmente ci si troverà insoddisfatti del presente, troppo poco romantico. (L. Durrell, The Greek Islands.)

A fondness for mythology and folklore is perhaps a handicap when one visit classical sites. It is unwise to spend too much time contrasting the present with the past, since leads inevitably to dissatisfaction with the present for not being romantic enough. (L. Durrell, The Greek Islands.)

Lo scrittore, con le sue parole, ci accompagna anche sul traghetto pronto a salpare con il sopraggiungere della sera:

La traversata dura il tempo di una notte e al risveglio, all’alba, il viaggiatore sarà quasi giunto a destinazione. Durrell con le sue parole sembra seguire il tragitto della nave, miglio marino per miglio marino, e come in un cortometraggio possiamo vedere la terra greca apparire davanti ai nostri occhi, l’isola di Corfù è rannicchiata alla destra della nave, e le montagne albanesi sembrano dipinte dal sole che tenta faticosamente di sorgere alle loro spalle.

Il traghetto procede semplicemente dritto, apparentemente, andando a schiantarsi contro la catena di montagne dorate davanti alle isole. A poco a poco s’intravede il canale principale e il vecchio forte veneziano con i suoi bastioni sul mare.

È a questo punto che la nave gira bruscamente, e si dirige verso sud, lasciando l’Albania alla sua sinistra. Lo scenario è dominato dalla grande montagna a forma di cupola chiamata Pantokrator dalla cui cima, il viaggiatore che deciderà di salirci, potrà con lo sguardo spaziare sui due mari, Adriatico e Ionio, che bagnano Corfù e le isolette vicine.

Corfù, vista dal mare (foto partner)
Corfù, Vecchio Forte Veneziano (foto partner)
Corfù, Liston
(foto di Lao Loong – World66, CC BY-SA 1.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=22949302)

Impossibile, secondo lo scrittore, non riconoscere nello spettacolo dell’alba che tinge dolcemente il mare e le isole della sua tenue luce, la descrizione omerica dell’arrivo di Eos, la dea dell’aurora dalle dita rosate, che precede sulla sua biga l’arrivo del giorno e di Apollo.

Guido Reni, Aurora, Casino Pallavicini, Roma –pubblico dominio-

Appena sbarcato sul molo, il viaggiatore non può fare a meno di ammirare la bellezza della cittadina. «È avvertito – chiarisce Durrell – non ne troverà di più carine in Grecia e col passare del tempo ciò diventerà sempre più evidente».

L’arrivo dei traghetti a Corfù provenienti da Brindisi avviene solitamente alle prime ore della mattina, quando già gli eleganti caffè del centro storico sono aperti e pronti a servire la prima colazione di questo nostro itinerario in compagnia del poeta che ci racconta:

Il centro storico è adagiato con grazia sulla larga spianata alberata, i cui portici sono di origine francese e avevano l’intento (lo fanno) di fare eco a Rue de Rivoli.

I migliori caffè sono qui come anche i camerieri più cordiali di tutta la cristianità. (L. Durrell, The Greek Islands.)

The old town is set down gracefully upon the wide tree-lined esplanade, whose arcades are of French provenance and were intended (they do) to echo the Rue de Rivoli.

The best cafés are here and the friendliest waiters in all Christendom. L. Durrell, The Greek Islands.)

Il viaggiatore si trova adesso sul Liston, la lunga strada porticata costruita dai francesi ad immagine della Rue de Rivoli di Parigi sull’ampia e verdeggiante piazza della Spianada. In questa piazza, fino a qualche tempo fa si poteva assistere all’inaspettato spettacolo delle gare di cricket, uno degli sport più popolari e praticati a Corfù ancora oggi e introdotto sull’isola dagli inglesi. Spiega Durrell:

Non c’è posto al mondo in cui gli Inglesi siano più apprezzati e ammirati che sull’isola di Prospero.

Per quanto riguarda ciò che si sono lasciati alle spalle, il cricket si presenta come uno shock: la nobile distesa della Spianada, con i suoi alti e placidi alberi, è trasformata in un campo di cricket inglese […]. Sotto l’occhio incantato e sbalordito del visitatore si alza un tendone e due squadre vestite di bianco prendono possesso del terreno. […] Ciò che è singolare è l’apprezzamento profondo e convinto del gioco da parte di un pubblico composto essenzialmente da contadini greci che non hanno mai avuto la possibilità di giocarci. Presumibilmente sono venuti in città dai villaggi vicini per fare acquisti, e ora eccoli qui, apparentemente profondamente assorti in questo gioco straniero, mentre i loro muli infastiditi sono legati agli alberi della Spianada.

(L. Durrell, The Greek Islands.)

There is no place in the world where English are more enjoyed and admired than on the island of Prospero.

As for what they left behind, the cricket comes upon one as rather a shock – the noble sweep of the main Esplanade with its all tall calm trees is suddenly transformed into an English cricket field […].

Under the charmed and astonished eye of the visitor a marquee is run up and two teams dressed in white take possession of the ground. […]

What is singular is the deep and pensive appreciation of the game in an audience very largely consisting of Greek peasants who have never had the chance to play it. They have presumably come in to town to shop from some nearby village, and now here they are, apparently deeply engrossed in this foreign game while their fidgeting mules are tied to trees on Esplanade.

(L. Durrell, The Greek Islands.)

Lasciamo la Spinada per concederci una lunga passeggiata tra le strette vie del centro storico di Corfù che si aprono proprio alle spalle di questa elegante piazza cittadina. Ci guida alla loro scoperta lo scrittore:

Le alte, essenziali case veneziane con le loro evidenti modanature sono state lasciate non tinteggiate per secoli, così almeno sembra. Gli antichi strati di pittura e imbiancatura si sono macchiati e sfocati nel corso degli inverni che si sono succeduti, fino ad ottenere l’attuale risultato: un glorioso disegno slavato come dipinto su carta bagnata: tutto corre, si fonde e esplode. Invece più precise, anche se altrettanto particolari, sono le strade tra le case, ciascuna un profondo passaggio reso brillante dal bucato steso ad asciugare da ogni balcone – vivace come un festone. Questa grande profusione di colori si muove e ondeggia nella leggera brezza dell’alba in un modo che ricorda un’alga tropicale. La cupola rossa della chiesa di San Spiridione brilla in alto con il suo vecchio orologio; la chiesa che ospita la mummia del santo patrono dell’isola. È saggio per il viaggiatore previdente andare in pellegrinaggio in questo scuro tempio, la cui barbara decorazione orientale si distende tra le ombre come i luccichii di un opale di fuoco. Bacerà la sacra pantofola [del santo] o un’icona appropriata e accenderà un cero da collocare nell’alto candeliere mentre pronuncia una preghiera, il cui contenuto non confiderà a nessuno. In questo modo il suo viaggio procederà sotto i migliori auspici e tutta la Grecia bizantina, moderna e antica, lo attenderà a braccia aperte. (L. Durrell, The Greek Islands)

The tall, spare Venetian houses with their eloquent mouldings have been left unpainted for centuries, so it seems. Ancient coats of paint and whitewash have been blotched and blurred by successive winters, until now the overall result is a glorious wash-drawing thrown down upon a wet paper – everything running and fusing and exploding. But more precise, though just as eloquent, are the streets between the houses, each a deep gully made brilliant with washing hung out to dry from every balcony – bright as bunting. The great spread of colour moves and sways in the light dawn breeze in a way that reminds one of tropical seaweed. The red dome of the Church of St Spridion shines aloft with its scarred old clock face; the church which houses the mummy of the island’s patron saint. If he knows what is good for him, the traveller will make an indispensable pilgrimage to this dark fane, whose barbaric oriental decoration smoulders among the shadows like the glintings of a fire opal. He will kiss the sacred slipper or a suitable icon and light a candle to place in the tall sconce as he utters a prayer – the subject of which he will confide to nobody. In this way his journey will be under good auspices and the whole of Byzantine, modern and ancient Greece will be waiting with open arms. (L. Durrell, The Greek Islands)

Corfù, palazzi del centro storico
(foto di lewishamdreamer is licensed under CC BY-NC 2.0 )
Corfù, centro storico
(foto di kamshots is licensed under CC BY 2.0)
Corfù, centro storico, veduta della torre della chiesa di San Spiridione
(foto di Lao Loong CC BY-SA 1.0 https://creativecommons.org/licenses/by-sa/1.0)

Invitiamo dunque il viaggiatore a visitare la chiesa di San Spiridione, popolare meta di pellegrinaggio in tutto il mondo ortodosso. Il santo è così importante per i corfioti che arriva quasi a identificarsi con l’isola. Lawrence Durrell si dilunga, con la sua ironia, nel raccontarci la storia e le forme di devozione nei confronti di Spiridione che animano la vita di Corfù almeno quattro volte l’anno:

E che dire della storia del santo dell’isola? Il suo enorme prestigio e influenza ancora oggi sull’isola giustificano che se ne discuta qui. La reliquia – ed è una vera mummia, un simpatico vecchietto come Babbo Natale – giace in una bara argentea cesellata nella chiesa a lui intitolata, che fu costruita nel 1589. […] Chiunque abbia visto San Spiridione incedere per la città, difficilmente dimenticherà lo sfarzo e la magnificenza della strana e barocca processione – monaci e preti come un letto di fiori in movimento con i loro brillanti gonfaloni sollevati in alto. La piccola figura del santo giace di fianco sulla sua portantina, pallido e ritirato come se fosse in preghiera. Ci sono quattro di queste processioni all’anno; si svolgono la domenica delle Palme e il sabato di Pasqua, l’11 agosto e la prima domenica di novembre. Naturalmente la processione estiva beneficia della luce – quella di agosto è la più sontuosa e colorata.

[…] Per molto tempo Spiridione non aveva fatto molto se non prestare cure di routine per epilessia o dubbi religiosi. […] questo stesso vecchio santo una volta aveva disperso flotte, cavalcando il maestrale pomeridiano, e perfino respinto ripetutamente la peste […]. (L. Durrell, The Greek Islands)

What about the history of the island saint? His enormous prestige and influence in the island to this day would justify discussing him here. The relic – and he is a real mummy, a funny little old man like Father Christmas – lies in a chased silver casket in the church of his name which was built in 1589. […] Whoever has seen St Spiridion make a progress round the town is not likely to forget the pomp and magnificence of the strange and baroque procession – the monks and priests like a moving flower-bed with their brilliant gonfalons raised on high. The little figure of the saint lies sideways in his sedan chair, pale and withdrawn, as if in prayer. There are four such processions a year; they take place on Palm Sunday and Easter Saturday, on 11 August and on the first Sunday in November. Naturally the summer appearances benefit from the light – that of August being most sumptuous and colorful.

[…] For a long time Spiridion had not done very much except make routine cures for epilepsy or religious doubts. […] this same old saint had once dispersed fleets, riding upon the afternoon mistral to do so, and even repulsed the plague more than once […] (L. Durrell, The Greek Islands)

Quando il viaggiatore esce dalla chiesa di San Spiridione, il cui buio interno è illuminato solo dalle lampade votive e dalle flebili fiamme delle candele dei fedeli che riverberano sugli stucchi dorati del soffitto e dei sontuosi arredi liturgici, si sente di colpo avvolto della calda luce meridiana della città ed è in questo momento, secondo la nostra guida, che il viaggiatore potrà cogliere la maglia delle luce greca. Così scrive:

Uscendo dalla scura chiesa verso il mercato [il viaggiatore] sarà quasi accecato dalla luce, poiché il sole è alto; ed è ora che l’impatto di questo straordinario fenomeno inizierà a incuriosirlo. La domanda diventa assillante,‘che cosa rende diversa la Grecia dall’Italia e dalla Spagna?’ La risposta viene da sé. La luce! Si sente ovunque la parola ‘To Phos’ […].

Questa riveste gli oggetti materiali con una sorta di brillante pelle di luce bianca, collegando vicino e lontano e immergendo oggetti semplici in una sorta di celestiale bagliore. È il nudo bulbo oculare di Dio, per così dire, e acceca. […].

Ogni cipresso è l’unico esistente. Ogni barca, casa, asino, è il primo – il prototipo platonico di un’invenzione improvvisa;

(L. Durrell, The Greek Islands)

Coming out of the dark church in to the market he will be almost blinded by the light, for the sun is up; and it is now that impact of this extraordinary phenomenon will begin to intrigue him. The nagging question, ‘In what way does Greece differ from Italy and Spain?’ will answer itself. The light! One hears the word everywhere ‘To Phos’ […].

This confers a sort of brilliant skin of white light on material objects, linking near and far, and bathing simple objects in a sort of celestial glow-worm hue. It is the naked eyeball of God, so to speak, and it blinds one. […].

Each cypress is the only one in existence. Each boat, house, donkey, is prime – a Platonic prototype of a sudden invention;

(L. Durrell, The Greek Islands)

William Hamilton, Prospero and Ariel, Berlin, Alte Nationalgalerie.

La nostra guida – Lawrence Durrell – mette in guardia il viaggiatore che già al tramonto del primo giorno passato a Corfù, potrebbe cadere nella tentazione di voler prolungare il proprio soggiorno, proprio come è capitato a molti altri viaggiatori. Non è raro, nelle taverne o nei bar, ascoltare le storie di gente che era arrivata sull’isola per passarvi appena un piacevole pomeriggio o solo qualche giornata, e inseguito, ha deciso di fermarcisi a vivere, una di queste persone e una di queste storie è proprio quella dello scrittore che ci sta guidando alla scoperta dell’isola di Ulisse, o secondo altri, l’isola del vecchio Prospero, il protagonista de La Tempesta di William Shakespeare.

Corfù, infatti, oltre ad essere stata da tempo identificata, a torto o a ragione, come l’isola omerica dei Feaci, è stata anche “riconosciuta” come il magico scenario del dramma shakespeariano. Racconta Durrell:

Un’altra, non meno speculativa, bizzarra corrente di pensiero suggerisce che Corfù sia il sito che (forse per semplice sentito dire) Shakespeare avesse scelto per ambientare la sua ultima opera teatrale, La tempesta. Viene voglia di piangere leggendo ciò. Come se non fosse abbastanza avere il cervello attraversato e confuso dai riferimenti alla più grande personalità della Grecia? Gli inglesi devono per forza ficcare il loro alchemico Prospero sull’isola? […].

Una delle cose magiche nella Tempesta è il modo in cui l’atmosfera dell’isola viene vissuta e trasmessa alle anime naufragate quando arrivano a riva. Il sonno – l’enorme incantesimo del sonno che la terra lancia su di loro. Diventano tutti sognatori e sonnambuli, in preda a visioni e amori del tutto fuori dai confini ordinari delle loro anguste vite milanesi. […]

Ti renderai conto che questo è esattamente ciò che accadde ai conquistatori che sono approdati qui: si sono addormenti. I francesi iniziarono a costruire la Rue de Rivoli, ma si addormentarono prima che fosse terminata. Gli Inglesi, che avevano un contratto di locazione di quasi cento anni sul posto, decisero che avevano bisogno di una sede del governo e costruirono la più elegante sede di tutte con pietra importata da Malta, […]. Ma si addormentarono e l’isola scivolò dalle loro deboli dita nella libertà che aveva sempre desiderato. Libertà di sognare. (L. Durrell, The Greek Islands)

Another, not less speculative, line of mad reasoning has suggested that Corfu is the site which (perhaps by mere hearsay) Shakespeare chose for his last play The Tempest. You may groan as you read this. Is it not enough to have one’s brain criss-crossed and fuddled with the attributes of Greece’s great ace-personality? Must the British shove their alchemical Prospero into the island? […]

One of the magical things in The Tempest is the way the atmosphere of the island is experienced and conveyed by shipwrecked souls when they come ashore. The sleep – the enormous spell of sleep which the land casts upon them. They become dreamers, and somnambulists, a prey to visions and to loves quite outside the ordinary boundaries of their narrow Milanese lives. […]

You will realize that this is exactly what happened to the conquerors who landed here – they fell asleep. The French started to build the Rue de Rivoli but fell asleep before it was finished. The British, who had almost a hundred-year lease on the place, decided that it need a seat of Government and built a most elegant one with imported Malta stone, […]. But they fell asleep and the island slipped from their nerveless fingers into the freedom it had always desired. Freedom to dream. (L. Durrell, The Greek Islands)

 

Il bel palazzo voluto dagli Inglesi, come sede per il Governatore, a cui si riferisce Durrell è la Villa Mon Repos che si trova nelle vicinanze del porto vecchio. Circondata da un lussureggiante giardino, tra viottoli e sentieri alberati ci sono alcune antiche rovine di santuari dedicati alle divinità olimpiche, e al suo interno ospita un museo che espone i reperti provenienti dall’antica aerea di Paléopolis.

Spostandoci in via Vraila 1, nel centro di Kerkyra, raggiungiamo il Museo Archeologico di Corfù, rimasto chiuso per molti anni e, da poco, nuovamente aperto al pubblico. Qui è esposto il frontone di un tempio arcaico, probabilmente dedicato ad Artemide. Il reperto, di forte impatto, reca scolpita l’immagine terrificante di una Gorgone, quasi certamente Medusa.

Corfù, Museo archeologico, frontone di un tempio dorico, particolare della Medusa (foto di Di Dr.K. – – Opera propria, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=16832867)

Durrell ci racconta la storia di questo affascinante personaggio mitologico:

Lei, la madre delle Gorgoni, era ovviamente la guardiana del mondo greco ctonio, proprio come San Spiridione era il guardiano del mondo bizantino e moderno. La Medusa, di dimensioni maggiori della grandezza naturale, è qualcosa che mette completamente a tacere la mente e il cuore dell’osservatore che non può rimanere indifferente al mito rappresentato da quella scultura. Il sorriso folle, gli occhi sporgenti, il ricciolo sibilante di capelli simili a serpenti, la lingua spatolata che fuoriesce il più possibile – non c’è da meravigliarsi che trasformasse gli uomini in pietra se avessero osato guardarla! Ha una strana storia, che non è resa più facile da comprendere per il fatto che ne esistono diverse versioni. È in qualche modo doveroso, nel raccontare la sua storia fare il nome di Perseo, che l’ha uccisa commettendo un omicidio rituale, mozzandole la testa con una scimitarra donatagli da Hermes. Fu, infatti, un omicidio compiuto con la piena complicità degli dei olimpici; l’attrezzatura per un compito così pericoloso (uno sguardo e sarebbe stato marmorizzato) consisteva in un elmetto dell’invisibilità (per gentile concessione di Ade), sandali alati per la velocità (le figlie della Graiae) e un sacco per la testa mozzata […].

Ci sono altre cose buone nel piccolo museo ma niente che dia vibrazioni così forti; Medusa è davvero il secondo guardiano di Corfù, e la sua esistenza fornisce uno spaccato sulla natura dell’antico mondo greco che si continuerà a incontrare mentre si viaggia tra le isole. (L. Durrell, The Greek Islands)

For she, the mother of the Gorgons, was obviously the warden to the chthonic Greek world just as St Spiridion was the warden of the Byzantine world and the modern. The Medusa, more than life-size, is something which profoundly hushes the mind and heart of the observer who is not insensitive to myth embodied in sculpture. The insane grin, the bulging eyes, the hissing ringlets of snake-like hair, the spatulate tongue stuck out as far as it will go – no wonder she turned men to stone if they dared to gaze on her! She has a strange history, which is not made easier to understand by the fact that several versions of it exist. It is somehow appropriate that in her story we should come upon the name of Perseus, who performed a ritual murder on her, shearing off her head with a scimitar provided by Hermes. It was, in fact, a murder performed with full complicity of the Olympians; the equipment for such a dangerous task (one glance and he would have been marmorealized) consisted of a helmet of invisibility (courtesy of Hades), winged sandals for speed (the Graiae daughters) and a sack for the severed head […]

[…] There are other good things in the little museum but nothing which has such strong vibration; Medusa is indeed the second warden of Corfu, and her existence provides an insight into the nature of the ancient Greek world which one continues to encounter as one journeys among the islands. (L. Durrell, The Greek Islands)

Baldassare Peruzzi, Perseo e Medusa, Roma, Villa Farnesina

Lasciamo l’enigmatica Medusa a guardia della città di Corfù e proseguiamo il nostro itinerario nei villaggi circostanti che si trovano lungo le coste frastagliate dell’isola e sulle sue alture.

Spostandoci dalla costa orientale alla costa occidentale, a circa una trentina di chilometri dalla città di Corfù, merita assolutamente di essere visitata la località di Paleocastrizza dove, secono una delle tante leggende omeriche, Ulisse incontrò la bella Nausicaa.

Sono diversi i luoghi a Corfù che si contendono la fama di essere stati il teatro di questo primo incontro, tra cui, l’altrettanto suggestiva, baia di Kanoni, sul versante orientale.

Né la bella principessa, né Alcinoo riuscirono però a trattenere l’eroe sull’isola, nonostante le lusinghe e la proposta di nozze, e così Ulisse, con la veloce nave che gli fu data in dono, decise di partire per raggiungere la sua Itaca. Anche per il viggiatore, nonostante le bellezze di Corfù invitino a restare ancora, è giunto il momento di salpare e proseguire l’itinerario nelle altre Isole Ionie.

G. B. Tiepolo, Banchetto di Antonio e Cleopatra, 1746-1747, Venezia, Palazzo Labia.
Rupe di Leucade
(foto di almekri01 is licensed under CC BY-NC-ND 2.0)

Seguendo il consiglio del nostro Cicerone, con un binocolo si potrà godere a pieno del paesaggio marino che si incontra navigando in direzione nord verso Lefkada. Lungo questa rotta ci si imbatte nei due piccoli isolotti di Paxi e Antipaxos.

Le acque che il viaggiatore sta solcando, sono acque ricche di storie, acque sulle quali forse si è già navigato in passato con la fantasia o sui libri di scuola. Scrive Durrell:

Anche ora, in piedi vicino al parapetto, puoi volgere gli occhi verso le lontane lagune in cui è stata combattuta la battaglia di Azio e vedere gli aironi che svolazzano, o la stella bianca di un pellicano in volo, o la figura disegnata da una famiglia di aquile reali che si muove in lenti giri sopra l’azzurro. Dall’altra parte ci sono due isole di poca importanza – Paxos e Antipaxos. […] L’unico altro avvenimento di storia interessante che riguarda questo luogo minuscolo è probabilmente frutto di invenzione, sebbene sia piacevole pensare che potrebbe essere vero. Si dice che Antonio e Cleopatra abbiano banchettato qui alla vigilia di Azio, dove molte delle loro speranze furono distrutte. (L. Durrell, The Greek Islands)

Even now, standing at the rail, you can turn your eyes on the far lagoons where the Battle of Actium was fought, and see herons flapping about, or the white star of a rising pelican, or the shape of a family of golden eagles moving in slow gyres on the blue. On the other side of you there are two islands of little note – Paxos and Antipaxos. […] The only other interesting piece of history concerning this tiny spot is probably fiction – though it is pleasant to think it might have been true. Antony e Cleopatra are said to have had a dinner party here on the eve of Actium – where so many of their hopes were destroyed. (L. Durrell, The Greek Islands)

Questo tratto di mare Ionio non è solo legato al mito e alla storia, ma è anche un gioiello di biodiversità dove è possibile ammirare alcune rare specie marine come la tartaruga embricata e la foca monaca. Uno spettacolo, oggi, a causa dell’inquinamento, più raro, ma a cui il nostro scrittore ebbe la fortuna di assistere.

È in questo canale che ho visto, in più di un’occasione, l’enorme piastriforme tartaruga embricata che gironzola languidamente attorno alla scia della nave. Può raggiungere un metro di lunghezza, questo strano animale, ed è sorprendentemente agile nell’acqua. È solo una delle diverse creature marine che potresti avere la fortuna di intravedere mentre la barca si dirige verso il Canale di Lefkada. […]

Sarebbe opportuno menzionare anche un altro visitatore non raro tra le grotte e insenature di queste isole deserte; una volta era abbastanza normale, ma ora è diventato sempre più raro. La piccola foca monaca – un mammifero brunastro (monachus monachus) la cui pelliccia non è particolarmente fine, ma che ha, o ha avuto, un’esistenza deliziosamente priva di costrizioni, presumibilmente perché ha sempre trovato insenature segrete in cui riprodursi e in cui pescare. (L. Durrell, The Greek Islands)

It is in this channel that I have seen, on more than one occasion, the huge plate-like form of the hawksbill turtle spinning languidly about in the wake of the vessel. It can reach a metre in length, this strange animal, and is astonishingly agile in the water. It is only one variety of sea-creatures which you may be lucky enough to glimpse as the boat furrows its path on down towards the Lefkas Channel […]

One should recall another not infrequent visitor to these caves and quarries among the deserted islands; it was once quite a usual sight, but has now become increasingly rarer. The little monk seal – a brownish mammal (monachus monachus) whose fur is not particularly fine but which has, or had, a delightfully unconstrained manner, presumably because it always found secret coves to breed in and to fish from […]. (L. Durrell, The Greek Islands)

Facciamo finalmente tappa nella «piccola triste isola di Lefkada (o Santa Maura)» come l’apostofa Durrell. L’isola, che in realtà è collegata alla terraferma da una strada rialzata, in passato era una vera e propria penisola. Oggi è famosa per le sue spiagge incontaminate e per essere una delle mete preferite da camminatori ed escursionisti. Lo scrittore avverte: «the visitor who really wants to explore it must be preapred for long and stony trugdes and longish, bumpy drives».

Oltre che per le sue bellezze naturali Lefkada è celebre, nell’immaginario classico e romantico, per le bianche scogliere, immortalate da pittori e cantate da molti poeti, da dove la poetessa Saffo decise di gettarsi in mare per porre fine al suo tormentato amore con Faone.

Con la sua ironia anglossassone Durrell ripercorre a beneficio del viaggiatore la storia dell’infelice poetessa, così scrive:

Qualunque siano i limiti di Lefkada, ha una caratteristica che attira l’attenzione del mondo: le Bianche Scogliere da cui la poetessa Saffo fece il suo sfortunato salto nell’eternità. È stato un incidente o un suicidio? […] Confuse leggende suggeriscono che gli antichi credevano che da qui si potesse saltare direttamente negli Inferi – o almeno raggiungere il Fiume dei Morti, l’Acheronte. Altre tradizioni narrano che, facendo quel tuffo, si sarebbero potute curare le ferite di un amore non corrisposto e che questo Saffo aveva in mente. […]

Per quanto riguarda Saffo, sembra che qualcosa sia andato storto. Perché ai tempi di Cicerone e Strabone ci si tuffava spesso e in maniera abbastanza sicura. I sacerdoti di Apollo lo eseguivano regolarmente senza ferirsi, e venivano organizzate delle barche per recuperare i tuffatori. A volte pennacchi e ali erano attaccati alle spalle di coloro che sceglievano di tuffarsi. Il salto stesso si chiamava Katapontismos e ci si chiede se non avesse qualche antica funzione propiziatoria. (L. Durrell, The Greek Islands)

Whatever the limitations of Lefkas, it has one feature which commands the attention of the world – the White Cliffs from which the poetess Sappho made her ill-fated leap into eternity. Was it an accident or intent? […] Confused legends suggest that the ancients believed that one could leap straight down into Underworld from here – or at least link up with the River of the Dead, the Acheron. Other traditions say that one could cure oneself of the pangs of disprized love by making the leap, and that this is what Sappho had in mind. […]

As far as Sappho is concerned, it seems that something went wrong. For in the time of Cicero and Strabo the jump was often, and quite safely, accomplished. The priests of Apollo performed it regularly without hurting themselves, and boats were organized to recuperate jumpers. Sometimes plumes and wings were attached to the shoulders of those who chose to leap. The jump itself was called Katapontismos, and one wonders if it did not have some ancient propitiatory function. (L. Durrell, The Greek Islands)

Il viaggiatore, se dotato di un’adeguata preparazione sportiva e di una certa resistenza fisica, potrà avventurarsi per il sentiero che si inerpica sino al faro di Capo Lefkas, dove sorgeva il tempio di Apollo e dove si trovano le bianche scogliere di Saffo. Sebbene paragonate a quelle di Dover possano essere sicuramente meno caratteristiche, ci ricorda lo scrittore inglese, nessuno, altrettanto famoso, ha mai pensato di tuffarsi giù nel Canale della Manica.

Foca monaca nelle acque delle Isole Ionie
Gustave Moreau, Sapho à Leucade, collezione privata
Ignoto, dipinto pompeiano, Saffo.
Itaca, Vathy.
Cefalonia, Myrtos, foto partner

Il nostro itinerario prosegue, come suggerito da Durrell, in direzione di Itaca e Cefalonia. Da Nydri, località che un tempo era un caratteristico villaggio di pescatori – oggi più simile a un bazar a uso e consumo dei turisti – partono escursioni in barca che, prima di raggiungere le isole maggiori, fanno tappa negli isolotti meno conosciuti dell’arcipelago e che costellano il tragitto marittimo.

Giunti ad Itaca il viaggiatore potrà scoprire la più omerica di tutte le Isole Ionie, seguendo le parole di Durrel che scrive:

Itaca, che riverbera nella leggenda omerica, è un posticino deliziosamente spoglio e ossuto, con colline bitorzolute, coperte di lecci, che digradano dolcemente sino al mare, nelle acque profonde che sono ricche di pesci. […] L’ingresso nel porto di Vathy preparerà l’atmosfera per una prima visita – è davvero straordinariamente bello. La nuda insenatura di pietra gira e rigira – è come viaggiare lungo i canali interni dell’orecchio di un gigante. Si è presi da un senso di vertigine. […]

Il porto di Vathy è ovviamente il vecchio Phorkys, dove i Feaci lasciarono Ulisse al suo ritorno a casa […]. (L. Durrell, The Greek Islands)

Ithaca, which reverberates with the Homeric legend, is a delightfully bare and bony little place, with knobbly hills, covered in holm-oak, which come smoothly down into the sea, into deep water which is rich in fish. […] The entry into Vathy harbour will set the atmosphere for a first visit – it is most remarkable as well as beautiful. The bare stone sinus curves round and round – it is like travelling down the canals of the inner ear of a giant. One is sized with a sense of vertigo. […]

The harbour of Vathy is obviously the old Phorkys, where the Phaeacians deposited Odysseus on his return home […] (L. Durrell, The Greek Islands)

A chi vuole immergersi nella dimensione mitologica dell’isola, Durrell consiglia alcune escursioni ‘omeriche’: la prima alla ricerca della vera o presunta fonte Aretusa, successivamente, nella bella grotta delle Ninfe, poco distante dalla spiaggia di Dexa, dove si dice che Ulisse abbia nascosto i tesori ricevuti in dono dai Feaci e in fine sul monte Aetos. Su questa cima il celebre archeologo Schliemann, colui che con in mano l’Iliade, riuscì a ritrovare Troia, si persuase di essere riuscito a trovare anche i resti della reggia di Ulisse.

Lo scrittore avvisa:

I siti omerici non sono tutti soddisfacenti al cento per cento dal punto di vista dell’identificazione; ma, senza essere troppo indulgenti o troppo creduloni, si può credere con certezza nella fonte di Aretusa […]. Si può anche combinare un po’ di pirateria fatta in casa con la devozione e frugare nella grotta delle Ninfe, nella speranza di trovare ciò che è rimasto del tesoro che Ulisse ha sepolto lì su ordine di Atena. (L. Durrell, The Greek Islands)

The Homeric sites are not all a hundred-per-cent satisfactory from the point of view of identification; but, without being too indulgent or too gullible, one can certainly believe in the fountain of Arethusa […]. One can also combine a bit of home-made piracy with piety and scrabble about in the grotto of Nymphs, in the hope of finding something left over from the treasure Odysseus buried there under the direction of Athena. (L. Durrell, The Greek Islands)

Quella che oggi a Itaca è conosciuta come la fonte Aretusa è una sorgente naturale, a circa dieci chilometri da Vathy, dove, secondo la leggenda Eumeo, il porcaro di Ulisse, portando i maiali ad abbeverarsi, incontrò l’eroe poco dopo essere finalmente sbarcato sull’isola. Ma ciò che, a detta di Durrell, rimane la questione più «fastidiosa» da dirimere è l’identificazione del luogo dove sarebbe sorta la città e il palazzo di Ulisse. Sulle diverse ipotesi si dividono gli archeologici o presunti tali.

Nei pressi del piccolo villaggio di Stavròs, sulla collinetta di Pelikata, nella parte settentrionale dell’isola, tra colline coperte di ulivi e coltivate a viti, si trova un piccolo museo archeologico e i resti di un palazzo dalle mura ciclopiche. Oggi, sulla base di recenti scavi archeologici, è stato identificato come la possibile reggia di Ulisse; quella stessa reggia che invece l’archeologo Heinrich Schliemann aveva precedentemente collocato nei pressi di Alalkomenés, vicino il monte Aetós.

Poco più a nord di Stavrós, a circa mezz’ora di cammino si trovano le rovine di una torre del VI secolo a.C., chiamata la scuola di Omero.

Ironizza Durrell:

Meno si dice meglio è del sito che il folklore popolare locale descrive come l’antica scuola in cui Omero ha imparato il suo alfabeto … almeno la vista è abbastanza piacevole. Questa volta sono i folcloristi del villaggio a essere noiosi. Eppure, è così esasperante tutta questa faccenda che un giorno non ci si stupirebbe di scoprire che l’ostinata tradizione del villaggio abbia un pizzico di verità. (L. Durrell, The Greek Islands)

The less said the better about the site which popular local folklore describes as being the ancient schoolhouse where Homer learned his alphabet…though the view is pleasant enough. This time it is the village folklorists who are being tedious. And yet, so vexing is this whole business that one would not be surprised one day to find out that the obstinate village tradition has a glimpse of truth in it. (L. Durrell, The Greek Islands)

Lasciamo agli studiosi i loro interrogativi sui siti omerici, e godiamoci il panorama che si gode sulle dolci colline di Itaca.

Dopo un’ultima passeggiata nel bel villaggio di Vathy, purtroppo fortemente danneggiato dal terremoto del 1953, il viaggiatore può prepararsi per raggiungere la prossima tappa dell’itinerario: Cefalonia.

Tra le molte bellissime spiagge dell’isola, segnaliamo quella di Myrtos, una lunghissima e banchissima distesa di sabbia che si trova a una decina di km dall’istmo centrale di Cefalonia. Una sola strada panoramica che parte dal centro di Divarata conduce in questo angolo di paradiso.

Purtroppo oggi poco rimane dei centri storici delle sue cittadine o dei palazzi in stile veneziano che un tempo caratterizzavano l’isola. Sono stati distrutti dal terremoto del 1953. È a causa di questa calamità, che affligge periodicamente le isole greche, che secondo Lawrence Durrell, Cefalonia sembra priva del suo cuore pulsante, di un “centro di gravità”.

Ciò nonostante, seguendo i suggerimenti dello scrittore inviatiamo il viaggiatore a recarsi ad Assos, un pittoresco villaggio sulla costa nord-est dell’isola, situato in una posizione unica a ridosso di una collina di cipressi e di un promontorio ancora dominato da un forte veneziano cinquecentesco.

L’altro luogo che merita di essere visto è la Grotta di Melissani. Dimenticato per secoli, secondo la mitologia, qui, la Ninfa Melissani si suicidò per l’amore non corrisposto con il Dio Pan. Oltre al mito, questa grotta carsica è particolarmente suggestiva, perché al suo interno ospita una laguna dai colori scintillanti.

Il viaggiatore a Cefalonia potrà inoltre concedersi numerose escursioni lungo le lussureggianti catene montuose dell’entroterra, punteggiate dai vigneti dai quali nascono i pregiati vini per cui l’isola è famosa.

Sandro Botticelli, La Nascita di Venere, Firenze, Galleria degli Uffizi, (1483-1485).

Dopo aver degustato un calice di Robola, una delle eccellenze enologiche della zona, non ci resta che raggiungere l’ultima tappa del nostro itinerario: Zacinto. L’isola, cantata da Ugo Foscolo e Dionysios Solomos, e bagnata da quel mare da cui nacque, secondo una delle tante versioni del mito, la dea della bellezza e dell’amore Venere.

Zacinto offre al viaggiatore un paesaggio straordinario caratterizzato da bianche scogliere a picco su acque cristalline.

Conosciamo meglio l’isola lasciandoci guidare da Lawrence Durrell:

Soggetto al vento e al tempo metereologico, il viaggiatore arriva a Zante (Zacinto), la più giovane sorella di Corfù. Zante, in passato, godeva di una considerazione ancora maggiore di quella di Corfù, per le sue bellezze naturali e per gli splendori della sua architettura veneziana, che, nonostante le frequenti scosse di terremoto, erano riuscite a mantenere quella omogeneità di stile che ha reso la capitale una delle più splendide piccole città del Mediterraneo. Solo nella stessa Italia si può trovare questo tipo di stile barocco, frutto della mente seicentesca e settecentesca. Poi, nel 1953, arrivò il definitivo terremoto che inghiottì l’intero passato veneziano e lasciò la città in frantumi a lottare e nuovamente in ginocchio. Questo è ciò che è accaduto, per così dire; ma la città è come una bella donna il cui viso è stato spruzzato di vetriolo. Qua e là, un arco, un pennacchio, resti di un portico in frantumi, è tutto ciò che resta della sua rinomata bellezza. La città moderna è … beh, una città moderna. (L. Durrell, The Greek Islands)

Subject to wind and weather, the traveller comes at Zante (Zacynthos), the younger sister of Corfu. Zante, in the past, enjoyed a reputation for even greater natural beauties than Corfu and for the splendours of her Venetian architecture which, despite the frequent earthquake tremors, manage to keep a homogeneousness of style that made the capital one of the most splendid of the smaller towns in the Mediterranean. Only in Italy itself could one find this sort of baroque style, fruit of the seventeenth-and eighteenth-century mind. Then, in 1953, came the definitive earthquake which engulfed the whole of the Venetian past and left the shattered town to struggle to its knees once more. This it has done, in a manner of speaking; but it is like a beautiful woman whose face has been splashed with vitriol. Here and there, an arch, a pendent, a shattered remains of arcade, is all that is left of her renowned beauty. The modern town is… well, a modern town. (L. Durrell, The Greek Islands)

La città di Zacinto, sebbene abbia perso il suo volto antico, di cui rimangono appena frammenti e i resti della fortezza veneziana, fu ricostruita quasi integralmente secondo un elegante gusto vagamente neoclassicheggiante che le conferisce un’atmosfera decisamente romantica.

Il patrono dell’isola è San Dionisio, di cui si venerano alcune reliquie nella cattedrale della capitale. La chiesa originaria è andata distrutta durante uno dei frequenti terremoti che hanno colpito Zante. Il nuovo edificio, costruito nella metà nel Novecento a ridosso del molo da cui partono i traghetti, all’esterno ha perso tutto il fascino antico, ma all’interno conserva ancora pregevoli opere d’arte e numerose icone sacre.

Lawrence Durrell ci racconta di come il Santo, nella devozione popolare, sembri aver ingaggiato una divina competizione, a “suon di miracoli” con il patrono di Corfù, Spiridione.

Scrive:

Il santo patrono di Zante è San Dionisio: tutto ciò che Spiridione può fare per Corfù, lui può farlo meglio per Zante. Bisognerebbe visitarlo e accendere una candela con rispetto – non si scherza con il tempo primaverile nello Ionio. […] Ha la fama di sollevare da altre preoccupazioni i pescatori dell’isola, e ogni anno, nel giorno della sua festa, viene omaggiato con un paio di scarpe nuove. (L. Durrell, The Greek Islands)

The patron saint of Zante is St Dionysios – anything Spiridion can do for Corfu, he can do better for Zante. He should be visited and candle-primed with respect – one should not play about with the spring weather in the Ionian. […]. By reputation he occupies himself to the exclusion of other preoccupations with fishermen of the island, and every year he is presented with a pair of new shoes on his feast days. (L. Durrell, The Greek Islands)

Dopo esserci congedati anche da questo Santo, non rimane che salutare il viaggiatore che è giunto a Zante seguendo l’itinerario concepito e scritto da Lawrence Durrell, uno scrittore dalle cui parole emerge chiarmente quanto conoscesse profondamente e intimamente queste isole, sua patria elettiva per molti anni. Vorremmo dunque concludere con l’augurio, che facciamo anche nostro, espresso dallo scrittore, immaginando il viaggiatore con in mano un libro, forse proprio il suo libro sulle Isole Ionie, anni dopo essere tornato a casa:

«Anni dopo, tra le pagine di un libro, il viaggiatore troverà un granello di sabbia proveniente da questo luogo, e forse un fiore secco o una foglia che gli ricordino ciò che non ha mai dimenticato».

«Years later, in the pages of a book, the traveller will find a grain sand from this spot, and perhaps a pressed flower or leaf to remind him of somentihng he has never forgotten».

Zante – pubblico dominio.
Zante- Naviglio- foto partner

Reportages d’autore

Bari, Polignano, Taranto, Gravina, Massafra, Alberobello, Martina Franca

[Tedesco] 

[Spagnolo] 

L’itinerario reportages d’autore si snoda tra alcuni dei più bei luoghi della Puglia, che proponiamo al viaggiatore di scoprire grazie alle parole e ai testi di alcuni grandi scrittori, poeti e documentaristi del Novecento. Documentari e reportages d’autore accompagneranno il turista o il lettore attraverso i paesi della Terra di Bari e Taranto, quando la regione non era ancora una meta turistica nota al grande pubblico, quando in pochi ne conoscevano i segreti della sua bellezza e della sua storia. Un viaggio, a tratti, anche a ritroso nel tempo per conoscere quelle realtà della campagna pugliese dove, ancora fino a un cinquantennio fa, contadini e braccianti versavano in condizioni di miseria estrema, e dove borghi e paesi dell’entroterra erano rimasti totalmente esclusi dai processi di modernizzazione e crescita economica.

Autori del calibro di Tommaso Fiore, Raffaele Carrieri, Alfonso Gatto, Mario Praz e Folco Quilici documentarono queste realtà, restituendocele con immagini e parole che costituiranno il filo conduttore dell’itinerario. Il percorso che proponiamo è dunque un viaggio nei luoghi e nel tempo per conoscere a fondo la Puglia e che non correrà il rischio di sembrare anacronistico, grazie all’aggancio alla contemporaneità, che ci garantiranno i testi di Alessandro Leogrande, l’intellettuale tarantino, precocemente scomparso, che con i suoi libri su Taranto può essere considerato il legittimo erede dei grandi scrittori d’inchiesta meridionalisti.

Puglia, stretch of olive trees, public domain

Negli anni Sessanta del Novecento la Esso Italiana affidò al documentarista Folco Quilici il compito di realizzare, in volo da un elicottero, una serie di film-documentari sulle regioni italiane. Da questo progetto –L’Italia vista dal cielo–, un’iniziativa che incontrò un grande successo di pubblico e critica, nacquero le pubblicazioni di vari volumi, ognuno dedicato a una regione, realizzati con la collaborazione di importanti scrittori e studiosi italiani.

Nel 1974 fu realizzato il docu-film sulla Puglia, i cui testi furono scritti dall’anglista, critico letterario e d’arte, Mario Praz; quello stesso anno venne edito un libro cartaceo intitolato Puglia, firmato a quattro mani dallo stesso Praz, a cui fu affidata l’introduzione, e da Quilici per i testi a commento delle foto. Saliamo dunque idealmente a bordo del loro elicottero e iniziamo il nostro itinerario che farà brevi tappe a Bari, Polignano, Taranto, Massafra e Gravina, Alberobello e Martina Franca, augurandoci che per il viaggiatore la Puglia possa diventare un’incantevole scoperta, come lo fu per Folco Quilici che, a conclusione dei suoi voli sulla regione, scrisse:

La Puglia è stata, per me, un momento di scoperta […] appena s’entrava in Puglia e s’andava verso Taranto le strade si tendevano, a sottolineare la profondità d’una pianura di cui anche se si vola alti non si riusciva ad intravedere la fine, se non sull’alto del mare, scintillante limite a tutti i nostri spostamenti. Campi, campagne, strade e sentieri, elementi d’un mondo reale, punti di riferimento preciso, concreto, abitudinario. (F. Quilici, Puglia)

La ‘scoperta’ del fascino della regione, oggi apprezzata meta turistica, fu relativamente tarda e furono i viaggiatori stranieri – ci ricorda Praz – i primi a divulgarne le bellezze e sfatarne pregiudizi e falsi miti.

[…] il primo a capire la magia della regione fu […] un giornalista tedesco, Paul Schubring, che sulla «Frankfurter Zeitung» del 1908 pubblicò una serie di articoli in cui offrì la chiave del segreto con queste memorabili frasi: «Si crede generalmente che la Puglia sia un deserto monotono, un paese privo d’attrattive speciali e proprie della terra italiana. Ma chi crede a questo cartello, non mangia vitello. […] L’immenso piano della campagna, leggermente ondulato, il mare così maestoso, il cielo così infinito e sereno costituiscono una trinità grandiosa e singolare» […] La Puglia per l’uomo di poco fantasia è una piatta e monotona pianura, e a lui pare, ignaro dell’etimologia, che la parola Tavoliere rispecchi esattamente la cosa (e deriva invece dalle tabulae censuariae ossia il libro dove erano registrati i terreni posseduti dal fisco in quei territori che i re aragonesi destinarono prevalentemente al pascolo. (M. Praz, Puglia)

Il viaggiatore attento oggi non farà fatica a riconoscere, come fecero negli anni Settanta del secolo scorso, Folco Quilici e Mario Praz, e prima ancora Cesare Brandi, quanto ‘sorprendente’ sia la parola che più si addice a descrivere la regione, la sua storia millenaria e la sua fioritura storico-artistica. Scrive Praz:

Invero che c’è di più sorprendente dell’associazione della Puglia con le Crociate, dell’insediamento in Puglia d’un imperatore germanico che sognava la restaurazione dell’impero Romano, della creazione d’uno stile decorativo «sui generis» che si designa come barocco pugliese? E sorprendente ancora che sui campi di Puglia, a Canne, parve per un momento decidersi la sorte della potenza romana. […] si può talora dubitare se la regione che è sotto di noi sia proprio italiana, perché non richiamano queste distese di ulivi la Tunisia? E a quale terra lontana appartiene questa steppa? E queste bianche ripe o «falaises», non fanno pensare alle bianche ripe di Dover? E le fungaie di trulli: non abbiamo visto simili abitazioni in Cappadocia? Alvei di torrenti, le «lame» dalle pareti verticali in cui sono scavate grotte trogloditiche: non è questo il paesaggio che i pittori primitivi, come Starnina, immaginavano fosse la tebaide degli eremiti? […] Questa laguna (vicino a Taranto) ha la luce degli atolli del Pacifico. (M. Praz, Puglia)

Attraverso le parole di Quilici e Praz scorrono davanti agli occhi del viaggiatore i diversi paesaggi della Puglia e la sua storia millenaria, dall’antichità al medioevo bizantino, crociato e svevo, introducendo e lasciando pregustare quello che si potrà scoprire nel corso di questo itinerario.

Puglia, habitat rupestre
(foto di Pietro D’Ambrosio – Opera propria, CC BY 2.5, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=1141611)
Gherardo Starnina [o Beato Angelico], Tebaide
Bari, Cattedrale di San Sabino
(Di Berthold Werner, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=61448663)

Prima di atterrare idealmente a Bari, il viaggiatore percorrendo la litoranea adriatica potrà ammirare i centri storici medievali delle città marittime che si susseguono lungo la costa, ognuno con la sua candida cattedrale dalle belle forme romaniche che si specchiano nel mare.

Mario Praz ce ne racconta la storia:

Si risvegliavano nel fervore dei traffici le città marittime, si consolidavano le istituzioni comunali, e una rivolta, capeggiata da Melo da Bari (1009-12) contro i catapani bizantini provocò in suo aiuto l’intervento dei Normanni, che in pochi decenni s’impadronirono di tutta l’Italia Meridionale. Gli ambiziosi disegni dei sovrani normanni […] e quel generale movimento dei popoli europei sulle vie del Levante che furono le crociate, riportarono la Puglia a una prosperità quale aveva conosciuto ai tempi della Magna Grecia; e sorsero a partire dal secolo undicesimo le grandi cattedrali, quella di Troia con la grandiosa porta di bronzo di Oderisio da Benevento, la basica di San Nicola di Bari, circondata da quattro cortili un tempo limitati da muri e torri, la cattedrale di Trani, la cattedrale di Bitonto, la più matura espressione del romanico pugliese, la cattedrale di Siponto, il Duomo Vecchio di Molfetta che specchia nel mare le sue cupole simili a tende tartariche; a cui seguirono, anch’essa sulla riva del mare, la cattedrale di Giovinazzo, purtroppo manomessa, e quella di Altamura. (M. Praz, Puglia)

Arriviamo a Bari, prima tappa dell’itinerario, dove nel cuore del centro storico andiamo a visitare la Cattedrale dedicata a San Sabino.

Scrive Praz:

[…] l’importante monumento è il perno attorno al quale ruota la capitale della regione, qui l’intraprendenza, il carattere vivacissimo della città è trasparente […]. All’opposto dei suoi quartieri storici, la città nuova presenta, […], un piano tipico dell’urbanistica del razionalismo, iniziato per decreto di Murat. (M. Praz, Puglia)

Il centro storico di Bari ha una planimetria che evoca l’Oriente mediterraneo, sembra un labirinto di stretti vicoli e case, l’una a ridosso dell’altra, racchiuse entro i due poli architettonici e simbolici della città medievale: il Castello e la Basilica. Tra l’uno e l’altro polo si snoda un racconto urbano lungo quasi 3000 anni, fatto di strade, mosaici, chiese, edicole, confraternite, palazzi nobiliari, archi e corti che si aprono all’improvviso, dietro angoli che al viaggiatore potevano sembrare ciechi.

A ridosso di questa “Bari Vecchia” si giustappone quasi una seconda città, quella conosciuta come il “centro murattiano” a cui faceva riferimento Mario Praz.

Non vi è un vero confine, quando furono demolite le mura medievali, le due Bari si sono incontrate, senza però mai confondersi o mescolarsi. Un’unica larga strada – corso Vittorio Emanuele – separa queste due realtà urbane; attraversandola si lascia alle proprie spalle la quasba e il Medioevo e ci si ritrova a passeggiare nel borgo murattiano, caratterizzato da raffinate planimetrie ottocentesche. Questa seconda Bari ha una semplice forma a parallelepipedo, entro il quale sono disegnate a scacchiera tutte le strade. Il mare, a Nord, segna il limite della città, per questo percorrendo il centro si ha l’impressione che tutte le strade si allunghino sino a scomparire lungo la linea dell’orizzonte, dove il blu dell’Adriatico incontra il cielo.

La città, con entrambe le sue anime così nettamente distinte, quella antica del centro storico e quella moderna del centro murattiano, si ritrova unita e si riconosce nella fortissima devozione per il santo patrono venuto dal mare: San Nicola, a cui è intitolata, non la Cattedrale, ma una delle più belle basiliche romaniche dell’Italia meridionale: la basilica nicolaiana.

All’interno di questo monumento, popolare meta di pellegrinaggi sin dal Medioevo, sono conservate le reliquie del Santo, venerato sia dai cattolici che dagli ortodossi; dai resti del suo corpo, trafugato da un gruppo di marinai baresi nel 1087 dalla città di Myra, si crede che stilli ancora un liquido miracoloso con poteri curativi, chiamato manna. Mario Praz, nell’introduzione del libro dedicato alla Puglia, redatto a quattro mani con Folco Quilici, ci racconta quanto San Nicola sia, a tutti gli effetti, un santo che conserva un legame privilegiato con il mare Adriatico, al quale i pescatori pugliesi offrono ogni anno, durante la festa patronale, un’ampolla con la sacra manna, una sorta di fecondazione nuziale. Così scrive:

Oggi il ruolo taumaturgico del santo sembra essere passato in sottordine, e quasi divenuto un pretesto per uno degli spettacoli pirotecnici di cui van pazze le moltitudini meridionali, pericoloso scialo d’un paese povero, che fa pensare alla «porzione maledetta» che certe tribù d’indiani del Nord America sacrificavano ogni anno per malintesa munificenza. Tra il saettare di centinaia di bengala in pieno giorno la statua d’argento di San Nicola, circondata di mazzi di fiori bianchi, garofani e calle, montati su lunghe aste pure d’argento, va in mare, mentre il vescovo che apre la processione di barche gitta in mare un’ampolla con la manna di san Nicola. Questa fecondazione nuziale a beneficio degl’industriosi abitanti di Bari è ancora più trasparente, da un punto di vista freudiano, dello sposalizio di Venezia col mare simboleggiato nell’anello che il Doge gittava dal Bucintoro nell’Adriatico. La cerimonia di Bari è accompagnata dall’urlo lacerante delle sirene delle imbarcazioni raccolte intorno al motopeschereccio che reca la statua del santo: trasparente e strepitosa allusione, anche questa, a quell’orgasmo a cui si potrebbero applicare certe parole di d’Annunzio: «urlò come se in lui si compiesse lo strappo atrocissimo», e: «Di lontano, di lontano veniva quel torbido ardore, dalle più remote origini, dalle primitive bestialità delle mescolanze subitanee, dall’antico mistero delle libidini sacre». (M. Praz, Puglia)

Invitiamo il viaggiatore a visitare, durante il suo soggiorno a Bari, la bella Basilica, essa stessa una testimonianza del rapporto strettissimo tra la città e l’Adriatico. Costruita a ridosso del mare, che spesso arrivava in passato ad allagarne i locali, divenne il punto di riferimento ‘sacro’ per tutti quei viaggiatori che partivano o approdavano in questi lidi. Anche Luigi Fallacara, poeta e scrittore italiano, vicino ai movimenti dell’avanguardia fiorentina, originario di Bari, ne enfatizzò questa caratteristica:

[…] oggi, ove una vita febbrile tende a trasformare tutto in città di pietre e di verde, ove il mare s’allontana sempre più, respinto dai palazzi e dalle gettate, ancora il calore e la vibrazione dell’aria indicano un mare che non si vede, si sente.

Ma la basilica di san Nicola leva sempre la sua bianchezza triangolare, come una vela latina, sulle umili case della città vecchia, e nella sua cripta, l’altare d’argento che custodisce le ossa del Santo ha verdezze e cilestri di onda marina. Le colonne antiche sono corrose, come fossero piantate nel fondo del mare e sembra che tutte, come quella miracolosa che è difesa dalla cancellata di ferro, siano state divelte da misteriosi templi subacquei e rotolate dalla tempesta, per alzare questa grotta ove il mormorio della preghiera sussulta, simile a un flutto veemente. (L. Fallacara, Il paese nato dal mare)

Bari, Basilica di San Nicola
(Di Berthold Werner, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=61405024)
Polignano a Mare
(Di vic15 – https://www.flickr.com/photos/vic15/439585992/, CC BY 2.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=2166631)

Da Bari l’itinerario procede verso sud, lungo la nostra rotta incontreremo numerosi paesi costruiti sui colli e sulla costa che ci sembreranno tutti bianchi, resi ancora più brillanti dalla luce del sole. Facciamo tappa a Polignano.

Consigliamo al viaggiatore di trascorrere qualche giorno in questa rinomata meta turistica e balneare, costruita a picco sul mare su una profonda gravina punteggiata di fichi d’india, non solo per approfittare delle sue acque cristalline, ma per perdersi nei candidi vicoli del suo centro storico, famoso anche per aver dato i natali al cantante Domenico Modugno. La cittadina pugliese, non solo d’estate, ma durante tutto l’anno, è animata da una fervida vita culturale che ruota attorno alle iniziative promosse dal Museo di arte contemporanea Pino Pascali e da un ricco cartellone di eventi che si organizzano nel borgo medievale. Anche l’elicottero di Quilici sorvolò Polignano, il documentarista ne colse immediatamente i caratteri che ancora lo rendono un paese unico. Scrisse:

Difficilmente si potrebbe immaginare un habitat che in sé riassuma più di questo un’immagine archetipa di un paese del sud, le case candide, il cielo azzurro, il mare blu. È nello stesso tempo difficile immaginare un habitat fuso con altrettanto vigore, ma al contempo con altrettanto rispetto, nella natura del luogo. (F. Quilici, Puglia)

Non è necessario tuttavia planare su Polignano in elicottero per apprezzarne il fascino e coglierne le caratteristiche, anche arrivando in treno, la cittadina adriatica non delude il viaggiatore.

Scrive Fallacara:

Appena scesi dalla stazione, vi sorprende questa terra luminosa di mandorli in fiore. Le case bianche e rosa hanno un non so che di provvisorio e d’inattuale, come se gli uomini, ogni alba, le costruissero per una festa marina che debba durare un sol giorno.

A Polignano, l’ora è soltanto mattutina. Arrivati ai Pizziglioni, scoglio alto sul mare, compatto e frastagliato alla superficie da buche circolari, da rilievi aspri e duri come coltelli, di calcare giallastro, sembra di camminare sulla luna. […] Il mare è glauco e lontano, la brezza vi posa su velo cinereo che l’appanna. Ogni suono è attutito, ogni aspetto vivente appare inconcepibile, […]. Ma, scendendo la buia scalinata della grotta Palazzese, la potenza del mare v’investe. Vi appare dapprima ai piedi della scala, azzurro, profondo, freschissimo. E quando vi si scopre la roccia alzata delle grotte sovrapposte, sentite di essere in presenza d’un mistero marino che vi si svela. […] Parlare di bellezza qui è vano; la bellezza rapisce un sol senso. Qui bisogna parlare di immersione nell’elemento, di qualcosa che investe tutto l’essere e lo getta, con un balzo repentino, aldilà dalla storia degli uomini e dei tempi. Vi sentite affacciati ai primordi della terra, alle soglie dei mondi che tremarono di luce, dapprima, sotto le acque verdi, agli stupori degli esseri che videro, per la prima volta, emerse dai ciechi fondi marini, le scogliere curvarsi aeree, dentro l’azzurro dei cieli. (L. Fallacara, Polignano)

Muretti a secco pugliesi
(CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=612392)

Lasciamo lo scenografico borgo di Polignano per dirigerci verso la prossima tappa del nostro itinerario: Taranto. Per raggiungerla, consigliamo al viaggiatore di non imboccare l’autostrada, ma di optare per quelle strade secondarie che tagliano la regione al suo interno in direzione sud, avendo così la possibilità di scoprire una zona della Puglia, fino a qualche decennio fa, fuori da ogni circuito turistico e, solo recentemente, riscoperta in tutta la sua bellezza: la Murgia.

Tommaso Fiore, originario di Altamura, uno degli intellettuali e scrittori pugliesi di maggior spicco del Novecento, dedicò alle campagne pugliesi alcuni dei suoi lavori più importanti, tra cui Un popolo di formiche. È la cronaca di un viaggio dal Tavoliere alle Murge, un viaggio attraverso i luoghi e la storia dei ‘cafoni’ meridionali. Si tratta di un reportage in forma epistolare, composto dalla serie delle Lettere pugliesi che Fiore aveva scritto nel ’25 ed inviato alla rivista «Rivoluzione liberale» di Gobetti e alla rivista «Coscientia». Quasi un nuovo genere letterario a metà tra saggio, inchiesta e racconto per narrare il Sud dimenticato, come dirà Carlo Levi, alla scoperta di un mondo «serrato nel dolore e negli usi, senza conforto, senza dolcezza». Nel volume, edito nel 1952, Fiore, che ci guiderà in questo tratto del nostro itinerario, scrive:

[…] Non occorre dirti che c’è anche una Puglia non letteraria, non retorica, del tutto ignorata, desolata, tetra, respingente, disperata, da tutti per calcolo e per viltà trascurata, quella della Murgia di nord-ovest e dei suoi anche più rozzi contadini. […] Se scendi da Bari per la Bari-Taranto, prendendo la Gioia-Rocchetta, puoi percorrere tutta questa zona dalla Sella di Gioia, […] sino alla Sella di Minervino. Per tutta la sua larghezza di una cinquantina di chilometri s’innalza a terrazze sempre più elevate sino ad un massimo di 686 metri, con isoipse parallele al mare, talché chi ascende questa gradinata per la Bari-Taranto o la Bari-Altamura, può, nei vari punti cui raggiunge la linea di displuvio, godere il doppio spettacolo dei due versanti, di quello dell’Adriatico, intensamente alberato di ulivi e mandorli, con in fondo le forti tinte azzurrine e viola del mare e qua e là gl’innumerevoli borghi distesi come strisce bianche, e quello poi della brulla solitudine murgiana. […] Il paesaggio, nella sua desolata sconfinatezza, nella sua assenza di linee forti, suggestiona ed invita l’occhio a frugare con uno struggimento di morte. […] Ma dall’orizzonte, invano spiato, ci richiamano qualche lembo di strada e le innumerevoli indicazioni dei solchi, dei muretti di pietra a divisione dei poderi, che s’innalzano, si arrampicano, discendono su per le Murge, dovunque s’intersecano e si arruffano come una capellatura. […] A primavera i terreni meno magri diventano enormi riquadri di verde, fra cui arde qualche fiammata della senape in fiore, e il piano si raccende tutto del giallo di narcisi, del rosso di papaveri selvatici, del bianco di ombrelline. (T. Fiore, Un popolo di formiche)

E ancora in un’altra delle Lettere pugliesi, confluita in Un popolo di formiche, Fiore parla di uno degli aspetti caratterizzanti il paesaggio murgiano, nel quale il viaggiatore s’imbatterà sicuramente: i muretti a secco, recentemente inseriti nella lista degli elementi immateriali dichiarati Patrimonio dell’umanità dall’Unesco. I muretti a secco, considerati una delle più armoniose espressioni di relazione tra l’uomo e l’ambiente, nascono soprattutto dalla fatica contadina, che per dissodare i terreni e renderli più facilmente coltivabili, dovevano liberarli dalle molte pietre calcaree presenti, e così impilavano pietre una sull’altra senza utilizzare altro materiale se non terra asciutta.

Ancora oggi questi muretti disegnano la campagna murgiana, quasi come dei ricami biancastri sul terreno scuro.

Continua Fiore:

Ora, dopo Putignano, sempre tra folta vegetazione, e dove si stende qualche straccio di vecchia boscaglia comitale di querce, spuntano trulli innumerevoli dal terreno, […] e dovunque muri e muretti, non dieci, non venti, ma più, molti di più, allineati sui fianchi di ogni rilievo, orizzontalmente, a distanza anche di pochi metri, per contenere il terreno, per raccoglierne e reggerne un po’ fra tanto calcare. Mi chiederai come ha fatto questa gente a scavare ed allineare tanta pietra. Io penso che la cosa avrebbe spaventato un popolo di giganti. Questa è la murgia più aspra e sassosa; per ridurla a coltivazione, facendo le terrazze, come mi dicono si sia fatto nel Genovesato, sulle colline di S. Giuliano fra Pisa e Lucca, sul lago di Garda, nelle cinque Terre oltre la Spezia e di qualche altro luogo, non ci voleva meno della laboriosità di un popolo di formiche. (T. Fiore, Un popolo di formiche)

 

Atolli sulla costa jonica tarantina

Lasciamo la campagna murgiana che si è spalancata davanti a noi lungo una delle strade provinciali che collegano Bari a Taranto e riprendiamo idealmente a seguire il volo dell’elicottero di Folco Quilici per godere, grazie alle sue parole, di una prospettiva aerea sul paesaggio dove sorge il capoluogo jonico. Scrive Quilici:

[…] Sulla costa ionica, oltre Taranto ci apparvero – come se d’un tratto fossimo nel Pacifico del Sud – lagune e atolli delle Taumatu; non magia né allucinazione: ma reale sovrapposizione di due realtà geografiche, un esotismo subito smentito da quel mediterraneo vero, quasi da iconografia che s’affrettò a riapparire davanti ai nostri occhi quando – poco dopo – sorvolammo il vecchio quartiere dei pescatori di Taranto. (F. Quilici, Puglia)

Taranto sorge nel punto più interno di un golfo estremamente scenografico, una parte del centro urbano si sviluppa sulla terraferma –Taranto nuova –, mentre la parte più antica –Taranto vecchia, con il tipico quartiere dei pescatori a cui faceva riferimento Quilici – su un isolotto, che a sud-ovest guarda verso il mare aperto, Mare Grande, mentre a nord est si specchia nell’insenatura naturale di un mare interno, chiamato Mar Piccolo. Il viaggiatore, giunto fin qui, potrà perdersi nel centro storico della città, caratterizzato da un disordinato ordito medievale di vicoli e viuzze dal sapore medio-orientale e dominato dal bel Castello aragonese, costruito in eleganti forme rinascimentali e oggi prestigiosa sede della Marina Militare Italiana.

Taranto, Colonne doriche del Tempio di Poseidone
(Di Livioandronico2013 – Own work, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=30324726)

Raffaele Carrieri, scrittore, poeta e affermato critico d’arte tarantino, raccontò e documentò la maniera affatto particolare in cui la città viveva, e in parte vive ancora, il suo rapporto con l’antico. Ne scrisse nell’inserto, relativo alla Puglia, pubblicato nel 1974 sul settimanale «Epoca», che aveva commissionato una serie di monografie su alcune regioni italiane a grandi autori, giornalisti e scrittori.

Così scriveva Carrieri:

L’antichità dalle mie parti non può essere riassunta in un manuale di archeologia. I muratori che costruiscono le case trovano punti d’appoggio sui fusti delle colonne doriche che spuntano dal terreno. Nell’oratorio della chiesa della Trinità, a Taranto, su una colonna del tempio di Artemis, hanno costruito il castelletto delle campane. Con i pezzi di anfiteatro si sono alzati muri maestri, torri e torrioni, e anche un teatro dove cinquant’anni fa ho assistito a un’opera, “Nina pazza per amore” del concittadino Giovanni Paisiello. Quando ero ragazzo giocavo a nascondino nelle necropoli disseminate fra orti e giardini. C’erano gruppi di piccole tombe coi posti puliti: i greci si tenevano assieme nella morte scegliendo luoghi ameni e ventilati, il più vicino possibile alla costa, al mare. Mi sono sempre meravigliato della esiguità delle loro tombe, come se i pugliesi dei primi secoli fossero tutti fanciulli e fanciulle. Le suppellettili rintracciate nelle minuscole necropoli sono delicate anforette, lacrimatoi, lucerne, piccoli anelli e piccolissimi orecchini. E corone d’ulivo di una sottile e tremula foglia d’oro da mettere in testa nelle danze campestri. Quante volte mi sono riconosciuto fra le piccole Tanagre esposte nelle bacheche del Museo di Taranto. Non certo fra gli Dei barbuti e le ninfe con gli amorini a cavalcioni, e nemmeno fra satiri e fauni. Cercavo la mia origine fra le figurette minori: venditori di stoviglie, piccoli acrobati virtuosi del salto mortale e giocolieri imberbi, molto maliziosi sia nelle mani che negli occhi. (R. Carrieri, Puglia)

Non solo l’incontro con l’antico è un’esperienza comune a Taranto, ma, percorrendo i bei lungomari cittadini, il viaggiatore potrà apprezzare meravigliosi panorami sui due mari che bagnano la città, ancora più suggestivi all’ora del tramonto. Lo scrittore vicentino Guido Piovene, nel capitolo dedicato alla città jonica del suo libro Viaggio in Italia, pubblicato nel 1957, ne parla ammirato: «Taranto vive tra i riflessi, in un’atmosfera traslucida adatta a straordinari eventi di luce. La bellezza dei suoi tramonti è luogo comune». (G. Piovene, Viaggio in Italia).

Anche Mario Praz non rimane indifferente allo spettacolo della luce che si riflette sui mari. Le parole del colto anglista e critico d’arte, scritte – a differenza di Piovene– quando in città erano già stati aperti gli stabilimenti dell’Ilva, uno dei centri siderurgici più grandi di Europa, si venano di una certa tristezza, quasi presagendo le devastanti conseguenze che avrebbe causato l’enorme complesso industriale, i cui fumi avrebbero presto finito per inghiottire la città e i suoi abitanti.

Scrive Praz:

[…] Ed è un magico momento di luce su questo suo mare a ricordarci quei versi famosi dell’idillio di Andrea Chénier che cantano della giovane tarantina portata dalle onde del mare verso il sacrificio per essere uccisa da mostri divoranti. Traducendo la leggenda in termini contemporanei come non vedere quei versi concretizzarsi nella visione di uno sviluppo industriale che sembra veramente divorante.

Lasciamo la nuova Taranto alle sue industrie, orgoglio e problema della regione. Lasciamo l’antica Taranto ai suoi musei, ricordo delle sue origini di primo insediamento greco dell’Italia del Sud. (M. Praz, Puglia)

In queste righe, scritte negli anni Settanta, vengono colte le due facce diverse e antitetiche della città: da un lato la Taranto dell’Ilva, quella dei sobborghi operai, cresciuta frettolosamente attorno allo stabilimento industriale; dall’altro la Taranto dall’enorme patrimonio archeologico che generosamente la città ha restituito dal suo sottosuolo e che oggi è custodito ed esposto al Marta, uno dei musei archeologici più belli d’Italia.

A. Schoenewerk, La Jeune Tarentine, 1871, Museo d’Orsay, Parigi-pubblico dominio-

E sono proprio queste due realtà della città che cercheremo di conoscere meglio in questo itinerario dedicato ai reportages d’autore, attraverso le parole scritte dal tarantino Alessandro Leogrande, pubblicate postume nel 2018, nel libro su Taranto, intitolato Dalle Macerie. Cronache dal fronte meridionale, che raccoglie i molti articoli e le numerose inchieste precedentemente scritti dall’autore.

Così scriveva Leogrande:

Arrivando a Taranto in treno, lo sguardo è inevitabilmente portato a seguire il degradare del paesaggio verso il litorale. I campi coltivati a grano, a ulivo, a vite cedono lentamente il passo alla macchia mediterranea che accompagna le coste basse e sabbiose fino alla città: gli ultimi chilometri di ferrovia si dividono fra la monotonia irregolare degli arbusti bassi e verdi e la comparsa del mare, generalmente calmo. Poi, tutto a un tratto, ecco spuntare i primi segni della fabbrica: quell’impressionante ammasso di acciaio, cemento e fumo che devasta la terra su cui si erge. Ciminiera dopo ciminiera, cumolo di ghisa dopo cumolo di ghisa, deposito dopo deposito, la distesa sconfinata dell’Italsider occupa un territorio di quasi duemila ettari, una superficie, cioè, persino più estesa di quella occupata dall’intera città: un universo chiuso che negli anni, nei decenni, non ha accettato altro rapporto con il territorio circostante che non fosse quello di puro dominio. Così i dirigenti dell’Italsider hanno sempre pensato alla città di Taranto: come sudditanza da controllare, mera manodopera da impiegare in una produzione a ciclo continuo di cui interessano solo gli introiti e i favori che si riescono a garantire. In nome di questo è stato sacrificato tutto: l’ambiente, l’assetto urbanistico, le condizioni di vivibilità. Tutto è stato posposto in nome dell’industrialismo, in nome di un’ipotesi di sviluppo – non era che una delle ipotesi – elevata a dio infallibile e permaloso. (A. Leogrande, Dalle Macerie. Cronache sul fronte meridionale)

Questa ipotesi, ostinatamente perseguita, è costata alla città in termini di salute e di degrado ambientale un prezzo altissimo che ancora oggi Taranto sta drammaticamente pagando. Eppure esisteva un’altra strada, ed è sempre Leogrande a indicarla: quella dei beni culturali e della valorizzazione della ricchissima storia della città.

Scriveva Leogrande:

Si dice da più parti che la cultura farà risorgere Taranto. Peccato però che – di fronte alla mancata soluzione del disastro industrial-ambientale dell’Ilva, alla crisi del porto, allo sfilacciamento del tessuto urbano – la cultura venga spesso citata a vanvera. Ridotta quasi a un piatto di lenticchie da cui prendere a piene mani, nella speranza di sostituire un’improbabile, nuova “monocultura” a quella precedente dell’acciaio. […] Un progetto culturale che superi il localismo potrà essere organizzato solo a partire da due poli: il rinnovamento del Museo archeologico Marta, quale polo di ricerca legato al resto della città e del paese, e il rapporto con Matera capitale della cultura europea nel 2019. […]

Camminare per le sale del Marta provoca una strana emozione. È come scoperchiare una botola e scoprire trenta secoli di Storia, tutti insieme, alle nostre spalle. […] è possibile scorgere il flusso del tempo, dai primi insediamenti di un popolo di artigiani presso lo Scoglio del Tonno fino alle mutazione della città nell’alto Medioevo, intorno all’anno Mille. Proprio in quest’ottica è possibile percepire almeno due cose. La città è stata per millenni attraversata dai molteplici flussi culturali, artistici, commerciali che hanno solcato il Mediterraneo da sponda a sponda. […] A lungo il Museo è rimasto un corpo estraneo un corpo estraneo rispetto alla città. Oggi può essere, accanto ad altre cose, il volano per la sua rinascita. Prima ancora di un fattore di attrazione turistica (non è per questo in fondo che si fanno innanzitutto i musei?), può diventare un contenitore all’interno del quale ritrovare il flusso della propria storia e avviare una nuova fase di racconto di sé. […] Ma per fare tutto questo è importante che la città non consideri il museo (e quindi la propria Storia) come un corpo estraneo. Ma un luogo aperto con cui dialogare e da cui trarre ispirazione. (A. Leogrande, Dalle Macerie. Cronache sul fronte meridionale.)

Tra le sale del Marta, il viaggiatore che sta seguendo questo itinerario, potrà riscoprire il volto più solare di Taranto, quello della Taranto Magno Greca, lasciando diradare almeno per un po’ i fumi velenosi delle ciminiere dell’Ilva. Si sveleranno ai suoi occhi i numerosi tesori qui custoditi ed esposti: vasi, statue, oreficerie che testimoniano l’opulenza raggiunta da questa colonia. Ci racconta la sua storia Mario Praz:

La rozzezza dell’imitazione dei vasi greci nei vasi apuli che spesso indulsero a richiami troppo realistici […], e che si sono continuati a produrre e falsificare, non ci faccia concludere che quella civiltà fosse pallidamente periferica e provinciale. Da Taranto si diramarono altri stanziamenti greci, come Gallipoli e Otranto, e risentirono dell’egemonia tarantina le città messapiche, il più cospicuo vestigio delle quali sono le mura megalitiche di Manduria, a triplice cerchia, […] dinnanzi alle quali morì nel 338 a. C. il re Archidamo di Sparta. La floridezza economica della Taranto greca ci è particolarmente attestata dai monili, dagli orecchini, dalle collane, e soprattutto dal grande diadema fiorito, d’oro, conservati nella Sala degli ori del Museo di Taranto. I Romani, all’epoca della loro conquista, furono soprattutto colpiti dal gran numero delle statue esistenti in città, molte delle quali opere di celebri scultori greci, come il colossale Eracle di Lisippo che fu trasportato a Roma e poi a Costantinopoli ove fu distrutto, e il colossale Zeus di bronzo dello stesso scultore, opere create entrambe appositamente per la capitale della Magna Grecia. Tra gli esemplari più insigni della statuaria tarentina la statua bronzea di Poseidone, «modellata da un artista», scrive Carlo Belli, «che oltre a conoscere tutti i segreti del mestiere, sente la divinità e la trasfonde con un impeto plastico quasi irruente». Tra le ceramiche più degne di nota il lekythos, scoperto nel 1907, rappresentante Edipo e la Sfinge:

un paradigma di pose che si ritrova nel vaso greco che dovette ispirare il quadro di Ingres. Ma del destino della Taranto greca si potrebbero ripetere oggi due versi del famoso idillio di André Chénier: «Elle est au sein des flots, la jeune Tarentine/Son beau corps a roulé sous la vague marine». E nessuna Teti l’ha sottratta «aux monstres dévorants». (M. Praz, Puglia)

Lekytos con Sfinge ed Edipo, esposto al Marta
J.A. Dominique Ingres, Edipo e la Sfinge
Gravina di Puglia
(foto di uscorpioun, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=908517)

Lasciamo Taranto, i suoi mostri e i suoi splendori, per proseguire il nostro itinerario ed esplorare quella zona della Puglia, a cavallo tra la provincia di Bari e di Taranto, che arriva a lambire il confine con la Lucania, caratterizzata da un paesaggio quasi surreale dominato da lame, burroni e profonde gravine. Questo territorio che si estende da Gravina, sino a Mottola e Massafra vide sorgere, tra le numerose grotte naturali che si aprono tra le rocce, una particolarissima forma di civilizzazione, nota come civiltà rupestre. Per molto tempo si è pensato che questi eremi, adibiti principalmente a luoghi di culto, fossero stati abitati prevalentemente da monaci e comunità monastiche di origine orientale. Si è invece potuto stabilire che le chiese rupestri e le cripte furono solo una delle possibili espressioni del vivere in grotta. Abitazioni e interi villaggi furono scavati sui fianchi delle lame e delle gravine, tra il X e il XV secolo, dalle popolazioni locali che scelsero la vita in rupe come cosciente alternativa a quella urbana. Si trattò di una vera e propria “civiltà rupestre“, che ha lasciato i segni della sua storia millenaria dipinti e affrescati nelle pareti di queste rocce. Sorvolando i cieli di Puglia a bordo del suo elicottero, lo spettacolo naturale delle gravine non lasciò indifferente Folco Quilici, che sentì l’esigenza di atterrare in questi luoghi per visitarli:

[…] e così sorvolando le serre rocciose di Puglia a ridosso del confine lucano, come non sentire la necessità di scendere nell’ombra di quei canaloni, di quegli spacchi, calarsi nei più profondi anfratti e illuminare – nel buio delle grotte che quella pietra rossa nasconde – lo sguardo immobile dei monaci basiliani presenti ancora nei loro dipinti, eremiti un tempo vivi nelle loro preghiere, oggi eterni nei loro affreschi, corpo unico con la roccia delle volte e delle pareti più profonde? (F. Quilici, Puglia)

Consigliamo al viaggiatore, come fece Quilici, di concedersi l’emozione di un’escursione tra queste grotte, per visitare le misteriose chiese rupestri dalle pareti affrescate, lasciandosi guidare da Mario Praz, uno dei nostri ideali compagni di viaggio, che scrive:

All’aspetto solare della civiltà greca se ne oppone nella Puglia un altro, che data dal tempo del lungo dominio bizantino. Non che gli Elleni cercassero soltanto la luce del sole (c’è il lato ctonio della loro religione), e i monaci basiliani soltanto le grotte; ma certo le «laure» («laura» resterà in russo nome di monastero) di Gravina o Massafra posson fornire argomenti a coloro che come Carducci vedevano come intessuta di sole tenebre la religione medievale. […] Nelle caverne quegli eremiti basiliani si creavano anticamere del Paradiso, e praticavano riti, digiuni, penitenze, regolati da minute prescrizioni come quelle del cerimoniale della corte bizantina. Tutto si faceva a ricetta, l’impiego delle veglie come l’iconografia delle sacre storie avveniva con la regolarità di un computer o, per rimanere nel Medioevo, con la rigida giustizia distributiva dell’oltretomba di Dante. E una forma che fa pensare al digradante imbuto dell’Inferno dantesco e alla torre scaglionata del Purgatorio è quella della, settecentesca però, scala di Santa Maria della Scala a Massafra, che fronteggia l’alta parete traforata dalle caverne eremitiche. Nella cripta della Buona Nuova il più notevole è un affresco della madonna col Bambino, ma più interessante è, nella cappella-cripta della Candelora, la madonna che tiene il Bambino per mano, […]. Anche Mottola è ricca di cripte, alcune, come quella di San Nicola, in aperta campagna; le rocce e le cripte son di solito dissimulate dagli ulivi. E ancora una volta un miraggio di terre lontane sorprende il viaggiatore […].(M. Praz, Puglia)

Mottola, affreschi rupestri, San Nicola, la Vergine e San Basilio
(Foto di: Stefanopiep – Own work, Public domain, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=7825133)
Gravina, San Michele delle Grotte
(foto di Paolo Monti – Disponibile nella biblioteca digitale BEIC e caricato in collaborazione con Fondazione BEIC.L’immagine proviene dal Fondo Paolo Monti, di proprietà BEIC e collocato presso il Civico Archivio Fotografico di Milano., CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=48083917)

Consigliamo al viaggiatore, come fece Quilici, di concedersi l’emozione di un’escursione tra queste grotte, per visitare le misteriose chiese rupestri dalle pareti affrescate, lasciandosi guidare da Mario Praz, uno dei nostri ideali compagni di viaggio, che scrive:

All’aspetto solare della civiltà greca se ne oppone nella Puglia un altro, che data dal tempo del lungo dominio bizantino. Non che gli Elleni cercassero soltanto la luce del sole (c’è il lato ctonio della loro religione), e i monaci basiliani soltanto le grotte; ma certo le «laure» («laura» resterà in russo nome di monastero) di Gravina o Massafra posson fornire argomenti a coloro che come Carducci vedevano come intessuta di sole tenebre la religione medievale. […] Nelle caverne quegli eremiti basiliani si creavano anticamere del Paradiso, e praticavano riti, digiuni, penitenze, regolati da minute prescrizioni come quelle del cerimoniale della corte bizantina. Tutto si faceva a ricetta, l’impiego delle veglie come l’iconografia delle sacre storie avveniva con la regolarità di un computer o, per rimanere nel Medioevo, con la rigida giustizia distributiva dell’oltretomba di Dante. E una forma che fa pensare al digradante imbuto dell’Inferno dantesco e alla torre scaglionata del Purgatorio è quella della, settecentesca però, scala di Santa Maria della Scala a Massafra, che fronteggia l’alta parete traforata dalle caverne eremitiche. Nella cripta della Buona Nuova il più notevole è un affresco della madonna col Bambino, ma più interessante è, nella cappella-cripta della Candelora, la madonna che tiene il Bambino per mano, […]. Anche Mottola è ricca di cripte, alcune, come quella di San Nicola, in aperta campagna; le rocce e le cripte son di solito dissimulate dagli ulivi. E ancora una volta un miraggio di terre lontane sorprende il viaggiatore […].(M. Praz, Puglia)

Di vallone in vallone l’itinerario seguito da Quilici e Praz ci porta nella zona di Gravina.

Anche Alfonso Gatto, intellettuale e poeta ermetico vicino a Quasimodo, Sinisgalli e Zavattini, a tratti surrealista, e inoltre scrittore, giornalista, critico d’arte e pittore, una ventina di anni prima di Praz, era giunto a Gravina, nel corso di un lungo viaggio in Puglia per realizzare una serie di reportages che furono pubblicati sul settimanale «Epoca», in vari numeri dal 1950 al 1951. Sarà lui a guidarci in una delle chiese rupestri più suggestive del paese: San Michele delle Grotte.

Scrive Gatto:

Le «gravine» sono valli d’erosione scavate nel tufo, corse dalle acque soltanto nel periodo delle grandi piogge. Le pareti nude e verticali appaiono sforacchiate irregolarmente da numerose grotte, abitazioni trogloditiche nel Medio Evo e, purtroppo, in alcuni paesi anche ai nostri giorni. A Gravina di Puglia, esiste forse la gravina più profonda di tutta la regione, la più spettacolare. Il rione Fondovico s’addentra nelle sue gole e per una stradetta che segue la parete del burrone dà l’ingresso alla chiesa-grotta di San Michele scavata nella roccia e con un diffuso colore giallo azzurro sulle pareti, traccia d’antichi affreschi. L’atmosfera della chiesuola circolare, aperta al culto per due giorni l’anno, diventa sempre più remota, a mano a mano che si resta soli col suo silenzio. In un vano sulla destra, attraverso una grata, si vede l’ossario delle vittime dei saraceni nel 983. E si sa, per averla vista entrando, che sopra la chiesa-grotta, un’altra grotta, detta di San Marco, raccoglie pure cataste di scheletri. I fedeli hanno messo loro accanto piccole statue di Santi e persino qualcuno dei Re Magi. La vista sulla gravina ci aveva tutti ammutoliti; era d’una nudità assoluta, più sola di una necropoli e d’una fortezza. Invano avevano cercato di renderla «storica» con alcuni cipressetti turistici che le erano stati piantati nel mezzo.

L’unica cosa umana era il piccolo orto che la custode allevava, ricamava quasi, su piccoli zerbini di terra stesi nell’incastro della roccia. (A. Gatto, Puglia, terra promessa-2. La terra dei fiumi morti, in «Epoca» 23.06.1951)

I nostri reporters d’eccezione, sia il poeta Alfonso Gatto che Mario Praz, nel paese dell’Alta Murgia, rimasero colpiti e impressionati anche da altro, che a differenza delle chiese rupestri non si trova nella profondità di qualche gravina, ma si erge ben alta, nel centro della cittadina, davanti agli occhi del viaggiatore: la facciata della chiesa di Santa Maria delle Grazie. Scrive Praz:

[…] ma quel che impressiona a Gravina, e non richiede altra fatica che quella di alzare gli occhi come si alzerebbero per un fuoco d’artifizio, è la facciata di Santa Maria delle Grazie: e che altro se non un magnifico fuoco d’artifizio è quell’aquila enorme che spiega i vanni nella parte più alta della facciata, sorgendo da un castello a tre torri come da macchina pirotecnica? Ha gli occhi di smalto, ma potrebbero anche sprizzare raggi. Qui siam lontani dalla civiltà rupestre, siamo anzi in periodo barocco e l’aquila e le torri formano lo stemma del vescovo Vincenzo Giustiniani da Chio: una facciata parlante, dunque a gloria di un vescovo. (M. Praz, Puglia)

Gravina, Santa Maria delle Grazie

Il nostro itinerario ci conduce adesso verso sud, nell’Alto Salento, in direzione della bella e nobile cittadina, in provincia di Taranto, Martina Franca. Per raggiungerla, faremo tappa ad Alberobello e attraverseremo la Valle d’Itria, oggi esclusiva meta turistica, conosciuta anche come la campagna dei trulli.

A commento delle riprese realizzate da Quilici, di cui stiamo seguendo il tragitto in direzione di Martina Franca, scriveva Praz:

L’approccio alla piccola città (che paese non può chiamarsi davvero) è graduale come un crescendo rossiniano. Fra il verde dei vigneti appaiono i primi trulli. Prima singoli e sparsi, poi a coppie, a agglomerati, capezzoli bianchi di mucche capovolte e interrate, piccole Sante Giustine da Padova, piccoli San Marchi di Venezia imitati da un bimbo con sabbie candide come quelle di Santos, o addirittura moschee, tende di Sciti o di Tartari, qualcosa di orientale, di favoloso e fiabesco, una Disneyland che mai fantasia ne sognò uguale, terra di gnomi o degli «hobbits» del «Signore degli anelli» di Tolkien; […] (M. Praz, Puglia)

Stiamo per arrivare a Martina Franca, ma prima di esplorarne l’elegante centro storico, accogliamo il suggerimento della nostra guida letteraria, e fermiamoci ad Alberobello.

Lo descrive Praz:

La città appare come cinta d’assedio da un esercito di bianchi padiglioni che, al contrario delle nere tende di Tamerlano, annunziano pace anziché strage. L’origine di questo pacifico assedio è quanto mai pratica e prosaica, derivando dal sistema d’enfiteusi che permise ai contadini di avere ciascuno il suo proprio appezzamento di vigna in affitto venticinquennale che in seguito si consolidò in proprietà: è tutto qui il segreto di questo grande prato fiorito di bucaneve di calce viva che si stende a perdita d’occhio. (M. Praz, Puglia)

 

Valle d’Itria
Di: Adbar – Own work, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=25224378
I trulli di Alberobello
(Di: Liguria Pics – Own work, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=63793995)
Martina Franca, centro storico

Lasciando il paese dei trulli in direzione della nostra meta finale, Martina Franca, percorriamo una campagna ancora punteggiata di trulli che si diradano lentamente sino alle soglie della nobile cittadina della Valle d’Itria. Entriamo in città guidati da Praz:

La campagna e la periferia con i trulli sono il lato plebeo di Martina Franca, ma il lato patrizio è tutt’altra cosa.

Dal viale Bellini si penetra in Via Pergolesi (come appropriati i nomi dei musicisti a questa città musicale!) ed ecco si snoda il meandro miracoloso: prima una facciata barocca che nell’angustia della strada torreggia, San Domenico, e poi un palazzo dopo l’altro, palazzi dalle porte e dalle finestre incorniciate di «cartouches» rococò, curve e controcurve, «rocailles» e svolazzi, piccole facciate, piccoli cortili, piccole viuzze come in una città di bambole, abbandonate dalle favolose abitatrici per far luogo alle prosaiche famiglie d’oggi; poi, d’un tratto, l’ampio respiro d’una piazza, e là in fondo il sogno, come avviene nei veri sogni, trapassa in un altro sogno, quasi per la magia di un «micromegas» volteriano. Quella chiesa rococò il cui colore diventa roggio nella luce del tramonto, è un frammento di Baveria o di Austria che s’inserisce d’un tratto, come se Mozart si sovrapponesse a Vivaldi? Il centro della fronte, una cascata di merletti di pietra, dal color terracotta del basso a quello di rabarbaro, d’un rosa venato di verde, in alto: per riprendere la felice immagine di Cesare Brandi, che lo paragona a una retata di pesci guizzanti, nella luce del tramonto si pensa alla ricca assise delle triglie. […] Un’altra fettuccia di strada dal nome standardizzato (Corso Vittorio Emanuele), anch’essa fiancheggiata da palazzetti e balconi rococò (di nuovo una Celetna Ulice o una via Malá Strana per bambole) conduce al Palazzo Ducale, la residenza di questo finisterre del rococò europeo, di cui non s’è accorta nessuna delle vecchie guide. (M. Praz, Puglia)

Ed è qui, nella bella ed elegante Martina Franca, che invitiamo il viaggiatore a concludere il suo viaggio. Ci auguriamo che l’itinerario proposto sia stato emozionante come un volo, come quello del grande documentarista Folco Quilici, di cui abbiamo seguito la traiettoria alla scoperta della Puglia, accompagnati dagli autorevoli scrittori d’inchiesta, reporters e poeti che queste strade hanno percorso prima di noi e saputo raccontarci.

Martina Franca, Basilica di San Martino
(Foto di: Berthold Werner, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=60378196)

Itinerario per viaggiatori incantati

Bari, Alberobello, Massafra, Taranto.

[Tedesco] 

[Spagnolo] 

Pier Paolo Pasolini nel 1951 compie un viaggio in Puglia da dove scrive un reportage che verrà pubblicato lo stesso anno sulla testata romana «Il Quotidiano». Dagli appunti del viaggio, che portò lo scrittore da Bari sino al basso Salento, sarebbe dovuto nascere un progetto editoriale più articolato, rimasto incompiuto, dal titolo Le Puglie per il viaggiatore incantato.

In questo itinerario suggeriamo al viaggiatore di vestire i panni di un moderno e incantato flâneur e di addentrarsi per le vie delle cittadine pugliesi come fece Pier Paolo Pasolini, quando nel 1951 arrivò in treno a Bari, una città «sconosciuta, distesa contro il mare».

Pasolini, attraverso il camminare, quasi raccogliendo l’eredità di Walter Benjamin – raffinatissimo viaggiatore incantato di città – si fa insieme archeologo, giornalista, regista capace di catturare scorci e punti di vista, sociologo attento a cogliere i segni della modernità e le tracce del passato che nelle città convivono.

Il flâneur Pasolini ha la capacità di leggere la città e trasformarla in racconto, come accade ne Le due Bari; riesce a far diventare poesia la luce, le pietre porose, le strade e i vicoli del borgo antico, come nella lirica Un biancore di calce viva, cattura immagini e inquadrature di Massafra e di altri centri pugliesi per trasformali nelle locations del suo capolavoro cinematografico Il Vangelo secondo Matteo.

Invitiamo dunque il nostro viaggiatore a praticare, seguendo i passi di Pasolini, la raffinata arte della flânerie, attraversando poeticamente le città pugliesi raccontate dal poeta, perdendovisi dentro per ascoltare le storie che possono narrare.

Il nostro viaggio inizia, come in un romanzo, in una stazione ferroviaria all’imbrunire, la stazione di una città di provincia che potrebbe essere uguale a tante altre, ma a dire di Pasolini, l’arrivo alla stazione di Bari è un’avventura kafkiana:

Kafka, ci vuole Kafka. Scendere dal rapido, non potere entrare in città né avanzare di un passo fuori dal viale della stazione, può accadere solo al personaggio di un’avventura kafkiana […], io ero rimasto solo, a tremare, nel piazzale rosso, verde, giallo della stazione: in me lottavano ancora la seduzione dell’avventura e un ultimo residuo di prudenza. (P. P. Pasolini, Le due Bari)

La sensazione di smarrimento provata dal poeta è la stessa che prova il viaggiatore che, arrivato alla stazione centrale del capoluogo pugliese, vede aprirsi davanti a sé un reticolato ortogonale a scacchiera di strade, frutto del progetto di restyling urbanistico del XIX secolo promosso da Gioacchino Murat. La nuova Bari, sviluppatasi fuori dalle sue vecchie mura medievali, secondo i canoni estetici ottocenteschi delle moderne città europee, è un susseguirsi ordinato di strade e viali che disegnano una maglia geometrica totalmente estranea e quasi giustapposta alla disordinata trama mediterranea di vicoli e vicoletti che caratterizzano la città vecchia.

Conviene imboccare una strada a caso, come fece Pasolini: «così senza aver deciso nulla, scelsi una strada, una delle tante, piena di scritte luminose e mi incamminai».

Il viaggiatore si troverà in una delle tante vie borghesi del centro murattiano: grandi strade che sembrano «boulevards o avenidas» dove «si sente sospesa l’euforia del progresso di questa città che in pochi anni, rotti i legami che imprigionavano i pugliesi con tutti i meridionali a un difficoltoso complesso, ha raggiunto il livello delle città del Nord meno vocate al silenzio». (P. P. Pasolini, Le due Bari)

Bari, stazione centrale
(Foto Di Haragayato – Photo taken by Haragayato using a FinePix40i, and edited., CC BY-SA 2.5, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=909819)

Bari, Palazzo Atti, foto d’epoca.

Pasolini imbocca Corso Cavour, una strada costeggiata da aiuole e alberi oramai storici, soprattutto lecci che, nelle giornate estive, offrono riparo dall’afa e rendono piacevole la ‘passeggiata’ lungo questo viale movimentato da un’esuberante vita sociale e commerciale. Scrive Pasolini:

[…] quei salumai, droghieri, farmacisti e macellai aperti alle dieci di sera, e tutta quella luce vuota, sui passanti spinti qua e là in disordine come da un vento di periferia e i gridi dei ragazzi, superstiti nell’alta serata», che catturarono l’attenzione e la curiosità di Pasolini, oggi hanno lasciato il posto a negozi alla moda, gelaterie e ristoranti; permane identico l’andirivieni disordinato della gente e dei giovani che popolano questa strada e le vicine di quella «risonante allegria» di cui «è piena questa città. (P. P. Pasolini, Le due Bari)

In Corso Cavour si trovano alcuni dei più bei edifici della città nuova: il teatro Petruzzelli, Palazzo Atti, i monumentali palazzi della Banca d’Italia e della Camera di Commercio.

Percorrendo interamente questa strada in direzione nord si arriva al mare, qui, a conclusione scenografica del viale, si staglia, nelle sue eleganti forme liberty, il Teatro Margherita, oggi Polo delle arti contemporanee, prestigiosa sede di mostre ed esposizioni d’arte internazionali.

Bari, Teatro Petruzzelli

Nella Bari di Pasolini e del viaggiatore il mare adriatico è una presenza costante e si rivela nel suo splendore soprattutto la mattina:

Alzato il sipario del buio, la città compare in tutta la sua felicità adriatica.

Senti il mare, il mare, in fondo agli incroci perpendicolari delle strade di questa Torino adolescente: un mare generoso, un dono, non sai se di bellezza o di ricchezza. Davanti al lungomare (splendido), sotto l’orizzonte purissimo, una folla di piccole barche piene di ragazzi (i ragazzi baresi alti e biondi, coi calzoni ostinatamente corti sulla coscia rotonda, la pelle intensa, solidi) si lascia dondolare nel tepore della maretta. Nella luce stupita si incrociano i gridi dei giovani pescatori: e senti che sono gridi di soddisfazione, che il mare dietro la rotonda è colmo di pesciolini trepidi e dorati. E mentre il mare fruscia e ribolle, senti dietro di te con che gioia la città riprende a vivere la nuova mattina! (P. P. Pasolini, Le due Bari)

Consigliamo dunque di percorrere il Lungomare cittadino di mattina, quando i colori del cielo e del mare si riflettono l’uno nell’altro. Partendo dal teatro Margherita si procede in direzione sud verso la spiaggia cittadina chiamata Pane e Pomodoro. Il mare è sempre accanto al viaggiatore, fiancheggiato da un ritmico susseguirsi di lampioni di ghisa che lascia intravedere le forme della città, con le sue silhouette perfettamente riconoscibili, dal campanile della Cattedrale sino ai monumentali edifici fascisti.

Bari, Lungomare
(foto di Podollo at it.wikipedia, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=3689140)

A poca distanza da Piazza IV Novembre, si apre l’antico bacino portuale di Bari che nella parlata dialettale è chiamato ‘’nderre alle lanze’, cioè a terra delle lance, con riferimento all’approdo delle piccole e tipiche barche dei pescatori che, ancora oggi, non sono troppo diverse da quelle che incantarono Pasolini. Qui il viaggiatore potrà assistere, come capitò al poeta, al colorato rito laico che si consuma ogni mattina: la vendita del pescato su bancarelle spesso improvvisate, la lavorazione dei polpi e le degustazioni di molluschi crudi prese d’assolto da turisti e cittadini.

Come un polpo

Come un polpo sbattuto ancora vivo contro lo scoglio 
si arricciolavano i miei pensieri 
a Bari fra le barche verdi e gli inviti 
favolosi dei venditori 
di quella iridescente pena; ma io 
non avevo che una moneta 
d’impazienza e di notte, 
una moneta nera dei paesi 
dell’interno, che soffoca le case 
fra orizzonti di corda su cui oscilla 
la tarantola – un’altra pena; e tu un’altra, 
quando dicesti: la pietà è più forte 
dell’amore. Più rapida è volata
che il mio odio la mano sulla tua guancia.

Vittorio Bodini (Bari, 1914-Roma, 1970)

Continuando la nostra passeggiata in direzione sud, la città sembra subire una metamorfosi, gli eleganti edifici di gusto liberty e i colori vivaci del porticciolo cedono il passo all’ostentata monumentalità dell’architettura fascista che, negli anni ’20 e῾30 del Novecento, ridisegnò questo tratto della costa barese. Quasi come una cortina, questi edifici, dal grande valore architettonico, nascondevano la realtà urbana retrostante, fatta invece dalle fatiscenti ed economiche costruzioni dei quartieri popolari, che ancora oggi si distendono alle spalle del Lungomare.

A conclusione della passeggiata, consigliamo al viaggiatore una visita alla Pinacoteca Provinciale Corrado Giaquinto che ha sede all’ultimo piano dell’ex Palazzo della Provincia, oggi sede della Città Metropolitana di Bari. Si tratta di uno degli edifici più rappresentativi dell’architettura barese del periodo fascista, caratterizzato dall’eclettica ripresa, in chiave monumentale, di elementi della tradizione civico-rinascimentale italiana e classico-romana. Lungo le sedici sale del museo cittadino si snoda un interessante percorso di arte meridionale che va dal Medioevo al Novecento. 

Passeggiando per la città, sarà facile apprezzare l’allegria dei baresi. Pasolini rimane affascinato dal carattere solare e spensierato di questa città adriatica e dei suoi abitanti:

[…] i baresi si divertono a vivere: ci si impegnano col cuor leggero, e col cuor leggero vanno discutendo di affari per le strade, prendendo il caffè, si recano a lavoro, senza avere nemmeno il sospetto che questo non rappresenti una piacevole avventura. […] E l’allegria dei baresi è seria, sicura e salubre: su queste teste solide il delicato biondo veneziano dei capelli (che è la carezza dell’Adriatico), perde in languore e acquista in chiarezza. Qui tutto è chiaro: anche la città vecchia, dalla chiesa di San Nicola al castello svevo, pare perennemente pulita e purificata, se non sempre dall’acqua, dalla luce stupenda. (P. P. Pasolini, Le due Bari)

Bari, veduta sul molo vecchio
(foto di Battlelight di Wikipedia in italiano, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=48156362)
Bari, Lungomare, Palazzo della Provincia, sede della Pinacoteca Corrado Giaquinto.
(foto di Sailko – Opera propria, CC BY 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=58914990)
Bari, basilica di San Nicola
(foto di Berthold Werner, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=61405024)

In compagnia di Pasolini siamo giunti fin sulla soglia del borgo antico, dove finisce l’avventura kafkiana del poeta, ma non il nostro viaggio. Nel 1964 Pasolini dedicherà intensi versi a Bari vecchia e noi lasceremo alla parola poetica il compito di guidarci per questi vicoli:

Un biancore di calce viva, alto,

– imbiancamento dopo una pestilenza

– che vuol dir quindi salute, e gioiosi

mattini, formicolanti meriggi – è il sole

che mette pasta di luce sulla pasta dell’ombra viva, alonando, in fili

di bianchezza suprema, o coprendo

di bianco ardente il bianco ardente

d’una parete porosa come la pasta del pane

superficie di un medioevo popolare

– Bari vecchia, un alto villaggio

sul mare malato di troppa pace –

un bianco ch’è privilegio e marchio

di umili – eccoli, che, come miseri arabi,

abitanti di antiche ardenti Subtopie,

empiono fondachi di figli, vicoli di nipoti,

interni di stracci, porte di calce viva,

pertugi di tende e di merletto, lastricati

d’acqua odorosi di pesce e piscio

– tutto è pronto per me – ma manca qualcosa.

(P. P. Pasolini, Un biancore di calce viva, in Poesie in forma di rosa)

Bari vecchia, vicolo che conduce alla Cattedrale
(foto di La Marga from Italy – Bari, CC BY 2.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=3690771)

Appena si entra a Bari vecchia si ha l’impressione di essere entrati in un bianco labirinto di vie e viuzze esaltate dalla luce del sole, in un dedalo di case e bianche chianche che si avviluppano su se stesse, in una città viva popolata – come scrisse Pasolini – da umili, miseri arabi, tanti figli e nipoti.

Per conoscere meglio la vera Bari vecchia, possiamo provare a seguire dei percorsi secondari alla ricerca delle storie e delle leggende custodite nei vicoli del borgo, poiché come dice Marco Polo, ne Le città invisibili di Calvino, per descrivere una città non è sufficiente parlare delle sue architetture e del suo aspetto.

Invitiamo il viaggiatore ad addentrarsi in una stradina molto caratteristica, strada Meraviglia, dove si trova un balcone costruito sopra un bell’arco cinquecentesco su cui è nata una romantica leggenda.

Si dice che l’arco fu costruito in una sola notte per permettere a due giovani amanti, che abitavano l’uno di fronte all’altro, di incontrarsi furtivamente e di amarsi sino all’alba, contro il volere della famiglia della fanciulla. La storia dei Romeo e Giulietta baresi ha reso popolare questo angolo di Bari, frequentato da giovani coppie e turisti romantici. In realtà la storia del balcone ‘galeotto’ sembra essere diversa. L’arco è una soluzione architettonica molto comune a Bari vecchia, se ne contano almeno cinquanta, in gran parte realizzati per creare piccoli passaggi tra i vicoli della città. Quello in strada Meraviglia fu costruito su una precedente struttura duecentesca, per volere della nobile famiglia Meravigli o Meraviglia, giunta a Bari al seguito della regina Isabella d’Aragona, per collegare due palazzi di sua proprietà.

 

Bari vecchia, Arco Meraviglia

 

Bari, cape du turk.

Il nostro itinerario alla scoperta delle storie della città vecchia porta il “viaggiatore incantato” in un vicolo, chiamato strada Quercia, poco lontano dal Castello Svevo. Al numero dieci, infissa sotto un balcone, si trova una piccola scultura, una testa di moro, nota alla popolazione locale come la cepe du turk. Si tratta di una maschera apotropaica che raffigura una testa mozzata, con i capelli raccolti in un turbante, baffi e uno sguardo vagamente allucinato. Nonostante si tratti di un motivo decorativo molto comune nell’arte pugliese, che compare frequentemente tra i capitelli delle cattedrali e dei castelli, nei portali scolpiti delle basiliche e in numerosi arredi liturgici, su questa piccola scultura di Bari vecchia è fiorita una macabra leggenda, ambientata nel periodo storico in cui in città governavano gli arabi.

Vuole la tradizione che la testa mozzata sia quella dell’emiro Muffarag che resse Bari tra l’853 e l’856 e che provò a convertire i baresi all’islam. Si racconta che la notte del 5 gennaio, per mostrare il proprio valore, decise di affrontare una strega, creatura leggendaria dell’immaginario folklorico pugliese: la temuta Befanì. Essa aveva l’abitudine di aggirarsi la notte della vigilia dell’Epifania, marcando le porte delle case di coloro che erano prossimi alla morte e decapitava chiunque incrociasse il suo cammino. Proprio questa fu la sorte dello sfortunato emiro, la cui testa rimase pietrificata e infissa nel luogo dell’accaduto.

Lasciamo alle nostre spalle questo vicolo e la sua leggenda per scoprire, in compagnia di Pasolini, uno degli aspetti più caratteristici della città vecchia e della sua gente «che vive molto all’aperto seduta sulle soglie della casa».

La vita nel borgo antico, infatti, si svolge sulla strada e, quasi sempre, le porte delle case sono aperte. Le bianche strade, profumate di detersivo, ospitano salottini improvvisati, piccoli banchi di lavoro artigianale, bancarelle e vere e proprie piccole cucine. Il vicolo che si apre oltrepassato Arco Basso, nelle immediate vicinanze di Piazza Federico II, ribattezzato recentemente strada delle orecchiette oggi è diventato un’attrazione turistica. Lungo questa strada, signore baresi, sedute una accanto all’altra, sull’uscio di casa, preparano ogni giorno la pasta tipica locale.

Non solo il cibo si prepara e a volte si consuma per strada, ma a Bari vecchia i bambini giocano ancora all’aperto, non è raro imbattersi in comitive di ragazzini che improvvisano partite di calcio nelle piazze lastricate e tra i vicoli cittadini.

Orecchiette baresi
Bari, Madonna del Buon Consiglio
foto di wykah is licensed under CC BY-NC-ND 2.0

Ci piace immaginare che un grande amante del calcio come Pasolini, che partecipava sempre volentieri a partitelle improvvisate per strada, come racconta l’intimo amico Ninetto Davoli, si sarebbe divertito a giocare nella piazza di Santa Maria del Buon Consiglio, dove, fino a qualche decennio fa, bande di ragazzini gareggiavano e palleggiavano tra i resti di una basilica del X secolo, driblando colonne romane.

Questa piazza, dove si dice che anche il calciatore Antonio Cassano, da bambino, si sia allenato, si trova all’estremità della penisola sui cui sorge Bari vecchia, quasi nascosta tra le strade del borgo.

Il viaggiatore, scendendo qualche gradino, per colmare il dislivello di quota con il piano stradale, realizzerà di non trovarsi in una vera piazza, ma di stare percorrendo la navata di una basilica del X secolo, rimasta priva della sua copertura e delle murature laterali. Questo spazio è impreziosito dalla presenza di bellissime colonne di marmo, sormontate da capitelli decorati con motivi vegetali, allineate su file parallele e poggianti su un basamento che tradisce la presenza di antichi mosaici.

Anche questa chiesa ha una storia antica da raccontare e, infondo, poco importa se sia una storia vera o una leggenda. Si tramanda di un sanguinoso scontro, avvenuto nell’anno 946, tra i nobili bizantini e il popolo. Si narra che i baresi riunitisi nella chiesa, che al tempo si chiamava S. Maria del Popolo, orchestrarono un agguato affinché avesse fine l’odiosa consuetudine che legittimava i signori a esercitare lo jus primae noctis con le novelle spose. Il piano andò a buon fine e numerosi nobili trovarono la morte. Fu allora che i bizantini in città rinunciarono ad ‘accompagnare’ – come si usava dire – le fanciulle appena sposate a casa. Da quel momento la chiesa cambiò la sua intitolazione, in ricordo della decisione presa proprio tra le sue mura, diventando per i baresi la Madonna del Buon Consiglio.

Con le sue storie e leggende, lasciamo Bari, «una città a cui ci si affeziona» e dalla quale ci auguriamo il “viaggiatore incantato” possa, come Pasolini, partire «con la segreta promessa di ritornarci».

Dal capoluogo pugliese viaggiamo con Pasolini in direzione sud-ovest verso Alberobello, «forse il capolavoro delle Puglie». (P. P. Pasolini, I nitidi trulli di Alberobello).

Durante il tragitto si potrà ammirare il paesaggio caratterizzato dal colore intenso del terreno, dai muretti a secco e dagli ulivi. Scrive Pasolini:

[…] tra Murgia e Adriatico la terra è arancione, un leggero tappeto arancione arabescato da muretti dello stesso colore e da radi boschi di ulivi d’un verde carico, vicino al celeste, tra cui ogni tanto, compare un gregge di pecore color malva. (P.P. Pasolini, I nitidi trulli di Alberobello).

Il pittoresco centro agricolo delle Murge nel quale siamo giunti, seguendo Pasolini, è stato riconosciuto nel 1996 Patrimonio Mondiale dell’Umanità dall’Unesco, per il notevole interesse architettonico delle sue tipiche abitazioni: i trulli, che conferiscono al borgo quasi una dimensione fiabesca.

Muretti a secco della Murgia
Alberobello, Trulli foto di Liguria Pics – Opera propria
CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=63793995

Il paese dei trulli è per Pasolini un paese dalle forme perfette:

[…] un paese perfetto la cui forma si è fatta stile nel rigore in cui è stata applicata. Dal primo muro all’ultimo, non un corpo estraneo, non un plagio, non una zeppa, non una stonatura. L’ammasso dei trulli nel terreno a saliscendi si profila sereno e puro, venato dalle strette strade pulitissime che fendono la sua architettura grottesca e squisita. […] Ogni tanto nell’infrangibile ordito di questa architettura degna di una fantasia, maniaca e rigorosa – un Paolo Uccello, un Kafka – si apre una frattura dove furoreggia tranquillo il verde smeraldo e l’arancione di un orto. E il cielo…È difficile raccontare la purezza del cielo […] un cielo inesistente, puro connettivo di luce sulle prospettive fantastiche del paese. (P. P. Pasolini, I nitidi trulli di Alberobello).

Il trullo, lontano erede del modello costruttivo squisitamente mediterraneo del thòlos, con la sua riconoscibile forma tronco-conica, è una costruzione realizzata a secco che nasce dalla sapienza e dall’ingegno contadino. Per rendere coltivabile il pietroso terreno calcareo della zona. Gli agricoltori erano costretti a rimuovere gli abbondanti strati di roccia presenti nel suolo e decisero di utilizzarli come materiale da costruzione. E così, osserva il poeta ingegnere lucano Leonardo Sinisgalli, «l’astuzia contadina da un segreto o da un caso trasse una regola. Che per adattarsi alle virtù del materiale riuscì a sottrarsi al rigorismo della geometria». (L. Sinisgalli, Prefazione alla La valle dei trulli di M. Castellano)

L’abilità costruttiva degli agricoltori di Alberobello era stata ammirata, circa un ventennio prima del viaggio pugliese di Pasolini, da Tommaso Fiore, intellettuale impegnato nella denuncia delle misere condizioni di vita delle classi contadine. Nelle sue Lettere pugliesi, confluite in un Popolo di formiche, scrive:

Avrai sentito parlare anche a Torino dei nostri trulli, diamine! Tu però forse non sai che la zona dei trulli ad Alberobello è stata dichiarata monumentale, né più né meno che la passeggiata archeologica di Roma. Ma io ad Alberobello, di memorando, di eccezionale, di veramente monumentale non ci ho trovato che la laboriosità dei contadini e degli agricoltori…(T. Fiore, Un Popolo di formiche)

Tommaso Fiore descrive i trulli con queste parole:

[…] sono minuscole capanne tonde, dal tetto a cono aguzzo, in cui pare non possa entrare se non un popolo di omini, ognuna con un piccolo comignolo ed una finestrella da bambola, e con quella buffa intonacatura sul cono, che è la civetteria della pulizia, e dà l’impressione di un berretto da notte ritto sul cocuzzolo d’un pagliaccio, con anche, per soprammercato, una croce o una stella in fronte, dipinta con calce! (T. Fiore, Un Popolo di formiche)

Pasolini al cospetto di queste bizzarre architetture popolari rimane folgorato:

Di un trullo isolato si potrebbe parlare solo con i termini della cristallografia. Tutti corpi solidi vi sono fusi mostruosamente per dar forma a un corpo nuovo, delicato, leggero. I tetti a punta, di un nero cilestrino, si staccano improvvisi da questa base contorta e armoniosa, per riempire il cielo di magiche punte. (P. P. Pasolini, I nitidi trulli di Alberobello).

Anche il viaggiatore moderno, quando arriva ad Alberobello, ha l’impressione di trovarsi in un luogo fuori dal tempo e in una dimensione magica, eppure queste costruzioni sono relativamente recenti e nascono, non tanto dalla magia, ma per ragioni ben più pratiche, ad essere precisi per ragioni di natura fiscale! I trulli della Murgia pugliese sono indissolubilmente legati alla fama e alla leggenda nera del conte di Conversano, Gian Girolamo Acquaviva d’Aragona, conosciuto come il Guercio di Puglia. Il temuto feudatario, noto per la sua spregiudicatezza e per una politica molto ambiziosa, amministrava nel XVII secolo questi territori in nome dei Viceré spagnoli. Vuole la tradizione locale che il conte, avido di profitti, contravvenendo al divieto regio di costruire nuove città, avesse permesso l’edificazione dei trulli, per meglio sfruttare le risorse agricole di quei terreni e il lavoro dei contadini. Si racconta che in occasione delle visite regie di controllo, il Guercio facesse abbattere in tutta fretta i coni, costruiti a secco e quindi facilmente demolibili, per poi farli ricostruire, non appena ‘l’accertamento fiscale’ spagnolo si fosse concluso.

Oggi Alberobello, una delle più frequentate mete turistiche della Puglia, ha perso molto del fascino che vi riscontrò Pasolini. Egli ebbe il privilegio di passeggiare per la sua piazza centrale non ancora invasa da turisti famelici dei gadget kitsch e a poco costo, che oggi si vendono ad ogni angolo. Anche per questo giunti fino a qui, consigliamo al viaggiatore una piccola deviazione. A soli 5 km in direzione Nord-Ovest si trova un vero e proprio gioiello del patrimonio storico-artistico pugliese, si tratta della piccola chiesa del Barsento, risalente al 591 d.C.

Paolo Uccello, figura geometrica
Trulli
(foto di Marcok di it.wiki – Opera propria, CC BY 2.5, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=2827940)
Massafra (TA), Massafra (TA), Castello foto di Livioandronico2013 – Opera propria
CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=28619003

Lasciamo le dolci colline della Murgia e, attraversando un paesaggio che sembra lentamente digradare a terrazzi verso il golfo di Taranto, giungiamo con Pasolini a Massafra:

[…] una città che sorge su un colle spaccato a metà da un torrente. Si immagini una prospettiva del Tevere, la più grandiosa, la più aerea, e, al posto dei palazzi, delle cupole, dei muraglioni – e dell’acqua – un abisso di rocce. Aggrappate a queste rocce, col loro stesso colore, le vecchissime casa di Massafra, spaccata come il colle a metà dalla profonda gola. (P. P. Pasolini, I nitidi trulli di Alberobello)

Questa singolare cittadina pugliese, che diventerà una delle locations del film il Vangelo secondo Matteo, è costruita sulle due sponde della profonda gravina di S. Marco. Tre ponti oggi collegano i due versanti, quello orientale ospita la città nuova e su quello occidentale sorge il borgo antico. Nel suo territorio si trovano numerosi insediamenti e chiese rupestri, non solo rifugio per comunità monastiche italo-greche, ma espressione di una vera e propria civiltà che aveva scelto di vivere in grotta.

Il viaggiatore incantato, seguendo Pasolini, scoprirà il «puro medioevo» di Massafra, le sue strade, il suo ponte, e il suo forte. Scrive Pasolini:

[…] si aggrovigliano, come visceri, i vicoli e le stradine scoscese […]. Il puro medioevo, intorno. Ti spingi giù verso il basso e arrivi alle mura di un forte, svevo o normanno, puntato come uno sperone verso là dove l’abisso di Massafra si apre sulla pianura sconfinata. (P.P. Pasolini, I nitidi trulli di Alberobello)

Il forte a cui si riferisce il poeta è il Castello, che si raggiunge percorrendo la tortuosa via Terra, sulla sinistra di piazza Garibaldi. Una maestosa mole cinquecentesca che domina il centro abitato, costruita su un precedente maniero risalente al X-XI secolo. Oggi di proprietà del Comune, il Castello ospita la Biblioteca cittadina e il Museo storico e archeologico della Civiltà dell’Olio e del Vino.

Invitiamo il viaggiatore a perdersi nei vicoli del centro storico di questa cittadina che «intorno al motivo dell’abisso di rocce che le si apre nel cuore e l’allarga in spazi vuoti e grandiosi, è di una coerenza che fa pensare al rigore dello stile». (P.P. Pasolini, I nitidi trulli di Alberobello)

Le moderne speculazioni edilizie non sono ancora riuscite ad intaccare il puro medioevo di Massafra, in questo luogo si ha l’impressione che il tempo si sia fermato. «Il tempo – dice Pasolini – in un dato anno, o secolo, si è fermato, e la città si è serbata fuori di esso, fossile e incorrotta».

Fu proprio questa dimensione di sospensione temporale che spinse Pasolini, dopo i suoi sopralluoghi in Palestina, a scegliere questa cittadina, insieme ad altri paesi pugliesi come locations per le riprese di uno dei suoi capolavori: il Vangelo secondo Matteo.

Massafra, vicolo del centro storico
(foto di MassafreseDoc – Opera propria, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=31480639)
Una scena girata a Massafra del film Il vangelo secondo Matteo.

Con le poetiche inquadrature del Vangelo secondo Matteo negli occhi lasciamo Massafra per metterci nuovamente in viaggio e seguendo La lunga strada di sabba di Pasolini raggiungiamo Taranto, una città che «brilla su due mari come un gigantesco diamante in frantumi».

In realtà la città è bagnata unicamente dal mar Ionio, ma due mari e «due lingue di terra, che si protendono […] l’una in direzione dell’altra», – come scrive Guido Piovene, che a metà degli anni ‘50 pubblicò il suo celeberrimo Viaggio in Italia –, rappresentano le due anime di Taranto.

La città sorge nel punto più interno di un golfo estremamente scenografico, una parte del centro urbano si sviluppa sulla terraferma –Taranto nuova –, mentre la parte più antica –Taranto vecchia – su un isolotto, che a sud-ovest guarda verso il mare aperto, Mare Grande, mentre a nord-est si specchia nell’insenatura naturale di un mare interno, chiamato Mar Piccolo. I due mari si congiungono in soli due punti, il canale naturale di Porta Napoli e quello, artificiale e navigabile, che separa l’insediamento urbano storico dalla parte più estesa e moderna della città.

Molto è cambiato dai tempi in cui Paolini e Piovene giunsero nel centro ionico, Taranto non è più una «città perfetta» e viverci non «è come vivere nell’interno di una conchiglia, di un’ostrica aperta»

Ricorda Alessandro Leogrande, il giovane e impegnato intellettuale tarantino precocemente scomparso:

Anche nella Lunga strada di sabbia di Pasolini c’è ancora un’Italia del prima. Non è difficile scorgere le tracce di una Taranto che non c’è più, quasi un’altra città su cui ne è stata edificata un’altra, in pochi anni, […]. Le immagini fissate su carta da Pasolini sono le ultime prima della costruzione dell’Italsider; pertanto rileggerle è un po’ come collocarsi dalla parte opposta della parabola […].

Taranto, non è più la stessa città, oggi si trova a fare i conti con le pesantissime conseguenze in termini di salute e di degrado ambientale, causate da uno dei poli industriali-siderurgici più grandi d’Europa: l’ex Italsider, ora Ilva. Una gestione politica sconsiderata per decenni ha tenuto sotto scacco la popolazione, chiedendo di barattare la propria salute in cambio del lavoro.

Pasolini poté invece ammirare: «Qui Taranto nuova, là Taranto vecchia, intorno i due mari, e i lungomari. Per i lungomari, nell’acqua ch’è tutto uno squillo, con in fondo delle navi da guerra, inglesi, italiane, americane, sono aggrappati agli splendidi scogli, gli stabilimenti».

Il viaggiatore, andando alla ricerca di una Taranto autentica, potrà scorgere i segnali di una città che ha scommesso di riemergere dai fumi grigi delle sue ciminiere, gli sforzi di un rinnovamento culturale che vuole restituire a questo luogo la sua bellezza più che perduta, nascosta da una coltre di indifferenza, aldilà della quale la città può offrire non solo incantevoli paesaggi, ma anche rivelare la ricchezza del suo patrimonio culturale e della sua storia millenaria.

Questo itinerario può iniziare dalla Taranto nuova, caratterizzata da un’elegante planimetria ottocentesca alla francese e che, con le sue «piacevoli strade […] decorate da vetrine di dolci», destò l’ammirazione anche di Guido Piovene. Lo scrittore vicentino dedicò al capoluogo ionico parole di ammirazione:

[…] nonostante i grandi edifici di gusto discutibile del tempo fascista e la loro falsa grandezza, Taranto nuova è amabile, e la sua grazia naturale è più profonda e più forte della retorica […]. Passeggiandovi si hanno frequenti scorci sui due mari. (G. Piovene, Viaggio in Italia)

Percorrendo il bellissimo lungomare Vittorio Emanuele III che costeggia la città nuova si gode una incantevole vista, poiché «Taranto vive tra i riflessi, in un’atmosfera traslucida adatta a straordinari eventi di luce. La bellezza dei suoi tramonti è luogo comune». (G. Piovene, Viaggio in Italia).

Lungo questa strada, rallegrata da lussureggianti giardini, ci si imbatte nei resti di alcune colonne romane.

Taranto
(foto di Carlos Delgado, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=11198578)
Taranto, Lungomare Vittorio Emanuele III
Paesaggio pugliese in provincia di Taranto
(foto di Fra.lizzano – Opera propria, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=77543506)

Taranto è così, dal sottosuolo emerge il suo passato: lo spazio oggi occupato dalla città nuova, anticamente era una necropoli e, nel corso dei secoli, ha restituito numerosissimi reperti archeologici. Quelli che non sono stati trafugati da generazioni di ladri e tombaroli, sono andati ad arricchire il patrimonio di uno dei musei archeologici più importanti d’Italia: il Marta.

Alla fine di questa passeggiata sul mare, non resta che attraversare il ponte girevole, un ponte costruito alla fine del XIX secolo, che si apre nel mezzo per consentire il passaggio di grandi navi industriali, per addentrarsi nella città vecchia, «un monumento per se stessa». Qui il viaggiatore si potrà perdere nuovamente nel disordinato ordito medievale di vicoli e viuzze che ha già conosciuto a Bari vecchia.

Scrive Piovene:

Per riparare l’interno della città dagli attacchi nemici, forse dal vento e dal calore, le abitazioni lungo il porto formano un muro ermetico, ed i vicoli aperti perché si possa penetrarvi, molto più stretti delle calli più strette di Venezia, piuttosto che vicoli sono interstizi, fessure tra una casa e l’altra, quasiché fossero tagliate con una lama. La città interna è chiusa come in un guscio d’uovo. […] All’interno del guscio si ha poi una matassa di strade, strette ma pulite ed asciutte secondo il costume pugliese. (G. Piovene, Viaggio in Italia)

Il bel Castello aragonese domina il borgo antico. Fu fatto costruire da Ferdinando d’Aragona tra il 1481 e il 1492 e oggi è la prestigiosa sede della Marina Militare Italiana che proprio a Taranto ha uno dei suoi arsenali più importanti.

Dopo una visita all’interno di questo gioiello dell’architettura rinascimentale, il viaggiatore potrà proseguire la sua passeggiata lungo la riva del Mar Piccolo, dove si stende il caratteristico quartiere dei pescatori. Oggi la città sta cercando di recuperare la genuina bellezza di questo luogo, in parte intaccata da vaste zone di degrado e edifici fatiscenti. Eppure questo luogo conserva un particolare fascino decadente, non è difficile, passeggiandovi, immaginarla come l’illustrazione di «una novella orientale, di quelle dove i pesci parlano e sputano anelli preziosi». (G. Piovene, Viaggio in Italia).

Lasciamo Taranto con i versi struggenti della poetessa milanese Alda Merini:

Non vedrò mai Taranto bella
non vedrò mai le betulle
né la foresta marina:
l’onda è pietrificata
e le piovre mi pulsano negli occhi.
Sei venuto tu, amore mio,
in una insenatura di fiume,
hai fermato il mio corso
e non vedrò mai Taranto azzurra,
e il mare Ionio suonerà le mie esequie.

Alda Merini (Milano, 1931-2009)

Il nostro itinerario alla scoperta della Puglia raccontata da Pasolini e dagli altri viaggiatori scrittori, che ci hanno accompagnato con le loro parole, finisce qui. Di questo viaggio, condivideremo con il poeta il ricordo di «Bari, il modello marino di tutte le città» e porteremo «nella memoria, cattedrali e poveri ragazzi nudi, confuse città pericolanti» e, negli occhi, le immagini di «una regione che si trasforma, si muove in piccole ondulazioni, si ricopre di ulivi». (P. P. Pasolini, La lunga strada di sabbia)

Il viaggiatore incantato non potrà seguire Pasolini sino in Grecia, dove questo itinerario vorrebbe condurlo. Lo scrittore, nel 1969, trascorse una vacanza con la divina Maria Callas, di cui ci rimangono solo testimonianze fotografiche, sull’isola privata della famiglia Onassis a largo di Leucade, oggi di proprietà di un anonimo magnate e dunque non visitabile. Si tratta dell’isolotto di Skorpios, ma questa è un’altra storia, la storia di un amore mancato, la storia di un altro viaggio.

Posts pagination

1 2 3

Cerca

Μessaggi recenti

  • Caterina Zaira Laskaris
  • Theatre Workshop POLYSEMI_TARANTO
  • Locandina_Mostra_Giulia Napoleone
  • Locandina
  • Locandina Corso Senior

Archivio

  • July 2021
  • November 2020
  • March 2020
  • February 2020
  • December 2019
  • November 2019
  • October 2019
  • September 2019
  • August 2019
  • July 2019
  • June 2019
  • May 2019
  • April 2019
May 2025
L M M G V S D
 1234
567891011
12131415161718
19202122232425
262728293031  
« Lug    
Privacy & Cookies: This site uses cookies. By continuing to use this website, you agree to their use.
To find out more, including how to control cookies, see here: Cookie Policy
© 2018-2025Humanistic Informatics Laboratory,
Department of Informatics, Ionian University
Theme by Colorlib Powered by WordPress
  • Twitter
  • Facebook
  • Instagram
  • Youtube
  • Pinterest