Canosa, Ruvo, Molfetta, Bari, Taranto, Corfù, Lefkada

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Questo itinerario è stato concepito come un percorso da svolgersi durante le suggestive celebrazioni pasquali cattoliche e ortodosse, in Italia e in Grecia. Il tragitto, che si snoda tra Ruvo di Puglia, Canosa, Molfetta, Bari, Taranto e, nelle Isole Ionie, a Corfù e Lefkada, permetterà al viaggiatore di entrare in contatto con colorate processioni, drammatiche rappresentazioni della Passione, usanze gastronomiche e antichissime tradizione rituali, spesso in bilico tra religione, folklore e credenze apotropaiche. Le guide di questo itinerario saranno studiosi, antropologi e scrittori che da molti decenni oramai guardano con vivo interesse a queste manifestazioni della cultura popolare. 

Scrive lo storico Franco Cardini:

La celebrazione della Pasqua è senza dubbio una delle più antiche della liturgia cristiana […]. Probabilmente già dal I secolo i cristiani festeggiavano la Pasqua, che presto dovette essere collegata anche alla prima domenica di plenilunio di primavera […]. (F. Cardini, I giorni del sacro: i riti e le feste del calendario dall’antichità a oggi.)

La chiesa cattolica ereditò culti e riti appartenuti a religioni preesistenti e dovette unire alla grande simbologia della salvezza, incarnata dalla resurrezione di Cristo, anche altri significati, propri delle culture agro-pastorali del mondo mediterraneo. La Pasqua rappresenta infatti anche la celebrazione primaverile della vegetazione e dei campi che tornano alla vita dopo il letargo invernale.

Nella settimana che precede la Pasqua, la Puglia diventa un grande palcoscenico in cui vengono rappresentati dal vivo, sotto forma di Sacre Rappresentazioni o di processioni, gli episodi della morte e resurrezione di Cristo. Quasi in ogni paese confraternite, associazioni culturali o pro-loco danno vita a manifestazioni, cortei, eventi musicali che scandiscono le date della liturgia della Pasqua e la fine della stagione fredda. Si rende dunque necessaria una precisazione, il viaggiatore, che deciderà di intraprendere questo itinerario, non potrà seguirne tutte le tappe, per via della sovrapposizione delle date delle diverse manifestazioni. Potrà comunque decidere a quali partecipare personalmente e a quali prendere parte “virtualmente”, seguendone il lento incedere attraverso gli scritti delle guide letterarie selezionate per questa proposta di viaggio.

Nella tradizione liturgica cristiana, puntualmente seguita da quella popolare, il tempo pasquale è tempo di grandi feste e processioni che trovano il loro culmine nella Settimana Santa, ma che hanno inizio nel periodo quaresimale, cioè ben quaranta giorni prima della Pasqua. L’antropologa e storica dell’arte Emanuela Angiuli spiega:

La liturgia cattolica fa iniziare il ciclo con il mercoledì delle ceneri, primo giorno di quaresima. In molte località [della Puglia], ancora oggi, la quaresima – periodo di preparazione della morte e resurrezione di Cristo, caratterizzato da divieti alimentari e sessuali, giacché non si consuma carne, non si contraggono fidanzamenti né matrimoni – è rappresentato dalla Quarantana, un pupazzo fatto di pezze nere, il petto trafitto da penne di gallina, appeso ai crocicchi, dondolante come uno spettro. (E. Angiuli, La Pasqua, in Viaggio in Provincia)

Il nostro itinerario inizia proprio nel periodo della Quaresima a Ruvo di Puglia: una cittadina della Murgia pugliese, circondata da vigneti e uliveti, con una storia millenaria legata alla tradizione agricola.

Qui appese ai balconi dei vicoli del centro storico medievale si vedono penzolare dei fantocci che rappresentano una vecchia donna vestita a lutto che simboleggia la vedova del Carnevale. La domenica di Pasqua questi pupazzi vengono fatti esplodere con dei petardi. Il rito, chiamato lo scoppio delle Quarantane, simboleggia la fine delle penitenze e la vittoria della vita sulla morte e, contestualmente, quello della primavera sull’inverno. Racconta Emanuela Angiuli:

Ogni giorno la Quarantana perde una piuma, finché nel giorno della Resurrezione, scoppia, riempita di petardi, buttando per aria altri mille stracci neri. Uscita dalla fantasia e dalle feste medievali, la vecchia pupazza incarna l’altra faccia della passione, una sorta di Addolorata alla rovescia, maschera pagana di quell’angoscia di distruzione che l’inverno – interruzione del tempo produttivo, della speranza alimentare – apporta nell’immaginario contadino. […] Le cerimonialità quaresimali, ridotte oggi a processioni di accompagnamento funebre e ad azioni teatrali nelle sacre rappresentazioni, appartengono in realtà ad una concezione festiva apocalittica, propria delle culture agro-pastorali nel mondo mediterraneo pre-cristiano. (E. Angiuli, La Pasqua, in Viaggio in Provincia)

I riti della Settimana Santa di Ruvo, inseriti dall’IDEA, Istituto centrale per la demoetnoantropologia, tra gli eventi che fanno parte del patrimonio immateriale d’Italia, non si esauriscono nel folkloristico scoppio delle Quarantane, ma proseguono per tutto il periodo pasquale, a partire dal venerdì precedente la Domenica delle Palme.

Particolarmente suggestiva è la processione della Vergine Desolata, che si celebra il Venerdì di Passione, cioè una settimana prima del Venerdì Santo. La statua della Madonna, chiamata anche Madonna del Vento, perché si dice che durante la processione soffi sempre una brezza particolare, vestita rigorosamente di nero, viene portata in spalla dai membri della Confraternita della Purificazione di Maria Santissima Addolorata. Il percorso della Vergine parte dalla chiesa di San Domenico e giunge sino alla Cattedrale.

Pupazzo della Quarantana
Ruvo, Processione della Desolata
(foto di Forzaruvo94 – Opera propria, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=15355150)

Canosa, donne vestite di nero che accompagnano la processione della Vergine Dolorosa

(Foto di Luigi Carlo Capozzi – it:Utente:Campidiomedei – Trasferito da it.wikipedia su Commons da Fradeve11 utilizzando CommonsHelper., CC BY 1.0,

https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=4282013)

A conferma dei legami intimi tra le ritualità pasquali e quelle del mondo contadino pre-cristiano è stato osservato che nelle processioni della Settimana Santa, specie quelli penitenziali, in cui la rappresentazione drammatica prevale sulla liturgia, protagoniste sono le figure femminili, come appunto la Vergine Desolata o l’Addolorata che si disperano per la perdita del figlio, come la dea della fertilità Cerere/Demetra piangeva per la scomparsa della figlia Persefone. Scrive l’antropologa:

Sembra quasi di percepire, nei lunghi percorsi che l’Addolorata attraversa, rappresentata da una statua o da una donna vestita di nero, alla ricerca del Figlio, […] il lamento di Cerere, della grande madre Cibele, menomata all’improvviso, nella mitologia greca e romana, di quella “parte di sé” che rendeva feconda e fertile la terra con l’arrivo della primavera. (E. Angiuli, La Pasqua, in Viaggio in Provincia)

Molte di queste processioni, sebbene abbiano avuto origine nel Medioevo, contemplano rituali che rimandano direttamente alla tradizione greco-romana. A Canosa, ad esempio, la processione, chiamata della Dolorosa, è accompagnata dal pianto di donne vestite di nero che richiamano esplicitamente le prefiche pagane, donne che accorrevano a piangere i defunti e intonare canti funebri durante i funerali.

Lasciamo Ruvo e Canosa, dopo aver visitato i monumenti più interessanti di questi luoghi, segnalati nei corrispondenti link, e dirigiamoci a Molfetta, sulla costa adriatica, poco a nord di Bari, per assistere e prendere parte alla processione del Venerdì Santo. L’intensa carica drammatica di questa manifestazione è accentuata anche dal particolarissimo accompagnamento musicale della processione eseguito dalla banda, uno degli elementi caratteristici delle manifestazioni folkloriche e delle cerimonie religiose in Puglia.

Lasciamoci introdurre in questo universo melodico dal musicologo barese Pierfrancesco Moliterni:

All’interno della cultura della festa patronale e della particolare funzione che in essa riveste la banda da giro, caratteristica ed esclusiva è la sua presenza – durante le cerimonie religiose della Quaresima e delle Settimana Santa – nella cittadina di Molfetta. La processione delle statue che simboleggiano la passione di Cristo […] viene preceduta da un particolarissimo “sottogenere” della grande banda da giro: la cosiddetta bassa banda, o banda dei “tammurr” (tamburi). Essa è composta da pochissimi suonatori, di solito in numero di quattro, i quali intonano una specie di trenodia che risuona alla testa della processione, per richiamare l’attenzione dei fedeli all’imminente passaggio cerimoniale.

Il suono di una melodia triste e dolce insieme (flauto) intervallata dal rullo del tamburo militare (cui viene allentata la cordiera d’acciaio per impedire le vibrazioni sulla pelle e sortirne effetti lugubri e cupi) e da colpi profondi di grancassa, viene interrotta da improvvisi squilli di tromba.

La processione vera e propria delle statue oggetto di culto è poi preceduta e seguita dalla banda di Molfetta, che l’accompagna per tutto il tragitto cittadino secondo un preciso cerimoniale musicale, che si tramanda da anni. Le partiture e le singole parti di queste marce funebri del Venerdì santo molfettese sono conservate presso le Arciconfraternite della Morte e di S. Stefano, che ne dispongono solo in occasione delle rispettive processioni-spettacolo. (P. Moliterni, La Processione del Venerdì Santo a Molfetta, in Viaggio in Provincia.)

Per seguire questa manifestazione bisogna essere disposti a passare una notte in bianco, infatti tradizionalmente, il giovedì sera si visitano gli altari della reposizione (chiamati sepolcri), allestiti nelle chiese del borgo antico, preferibilmente in numero dispari, si consuma quindi un pasto frugale a base di pane condito con tonno, capperi e acciughe e si aspettano le 3.00 del mattino, quando le statue dei Misteri, simulacri lignei di scuola napoletana del XVI secolo, escono dalla chiesa di Santo Stefano e per ben nove ore vengono portate in processione per le strade di Molfetta.

Seguendo la processione sarà possibile apprezzare il centro storico della cittadina con il suo colorato porto, nelle cui acque si specchia il Duomo di San Corrado.

Molfetta, processione dei Misteri, Cristo alla colonna
Molfetta, veduta del porto e del Duomo di San Corrado
(foto di Michele Zaccaria di Wikipedia in italiano – Trasferito da it.wikipedia su Commons., CC BY-SA 2.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=10480609)

Prossima tappa dell’itinerario è Bari, dove la manifestazione pasquale di maggiore impatto emotivo è quella dei Misteri del Venerdì Santo. Questa si distingue per la bellezza delle statue portate in processione, sculture lignee o manichini vestiti di scuola napoletana o veneta risalenti al XVII e al XVIII secolo.

L’orchestrazione scenica della cerimonia è ricca e articolata come ci racconta lo studioso di arte popolare e storia locale Nicola Cortone:

La processione si distingue per le preziose vesti e gli ornamenti, la nobiltà dell’apparato dei portatori (rigorosamente vestiti di nero e guanti bianchi), la melodia delle musiche di bande e i pittoreschi inserti nel corteo di fanciulli e fanciulle, rispettivamente vestiti da guerrieri romani (Costantino) e Sant’Elena, con riferimento al rinvenimento della Croce da parte della imperatrice madre. La presenza di Sant’Elena dona una impronta bizantina alla processione, forse in origine riservata soltanto alla croce.

Gli altri personaggi, via via aggiunti nel corso del tempo, appartengono da un lato al teatro medievale e dall’altro ad una sorta di pellegrinaggio itinerante al Santo Sepolcro.

Attraverso i Misteri in pratica si ripercorrono le stazioni della “Via Crucis” venerate dal pellegrino […]. (N. Cortone, Passione per una settimana, in Bari Vecchia. Percorsi e segni della storia.)

A Bari la processione del Venerdì Santo è caratterizzata da un’altra particolarità che la rende unica nel suo genere, cioè la storica rivalità tra due confraternite che per molto tempo hanno sfilato contemporaneamente, ognuna con le proprie statue, creando un bizzarro effetto di duplicazione e anche scontri e tafferugli sul diritto di precedenza. Nel XVIII secolo la Processione dei Misteri era organizzata dalla confraternita di “Maria Santissima Della Purificazione” e dai frati francescani riformati che facevano uscire le loro statue dalla chiesa della Vallisa. Ma, in città, il Venerdì Santo, esisteva già un’analoga processione che invece partiva dalla chiesa di San Pietro delle Fosse, nei pressi del porto, organizzata dai frati minori osservanti. Quando l’ordine religioso fu soppresso, nel 1809, le statue della confraternita furono trasferite nella chiesa di San Gregorio, di pertinenza della Basilica di San Nicola. Le due processioni continuarono ad essere in competizione e, quando i cortei si incrociavano, causavano tali disordini che dovette intervenire l’Arcivescovo in persona, stabilendo, nel 1825, che i Misteri della Vallisa sarebbero usciti in processione negli anni pari, mentre quelli di S. Gregorio negli anni dispari. Questa disposizione arcivescovile è ancora oggi in vigore.

Scrive Nicola Cortone:

La processione dei Misteri baresi, oltre che storica, diventa pittoresca e polare nella duplicazione della serie delle statue. (appartenenti alle due gloriose confraternite già citate), che dopo un lungo periodo di conflitti e tensioni sull’ordine delle precedenze, attualmente “escono” ad anni alternati dalle rispettive chiese […].

Ad esse è stato affibbiato dal popolino una duplice denominazione di chiangeaminue (“piagnoni”, quelli della Vallisa) e venduluse (“ventosi”, quelli di S. Gregorio), capaci cioè di sollevare vento o scrosci di pioggia in occasione della loro uscita. (N. Cortone, Passione per una settimana, in Bari Vecchia. Percorsi e segni della storia.)

Se per prendere parte alla processione di Molfetta è stato necessario preventivare una notte in bianco, per seguire quella barese, il viaggiatore dovrà essere in gran forma, infatti la processione di Bari, insieme a quella tarantina, è quella che dura di più in tutta la Puglia. Per ben 15 ore le statue percorrono in lungo e largo diversi punti della città, dal centro storico sino al quartiere Libertà, alle spalle del Lungomare.

Molti studiosi, antropologi e storici si sono interessati alle processioni che animano la Settimana Santa, e tra queste, una delle più note in Puglia, è sicuramente quella «solenne e notturna» degli “incappucciati” di Taranto, prossima tappa dell’itinerario della Passione. Per questa città, abbiamo ritenuto doveroso e opportuno scegliere come guida uno scrittore tarantino, il giovane intellettuale troppo precocemente scomparso, Alessandro Leogrande che nel suo libro-inchiesta su Taranto, intitolato Dalle MacerieCronache sul fronte meridionale, dedica un capitolo proprio alla Processione dei Misteri. Lasciamo dunque alle sue parole il compito di introdurci nei vicoli della città jonica mentre sfila la processione.

Così la racconta Leogrande:

Una decina di statue raffiguranti i momenti della Passione dondolano nella notte sorrette da uomini. Sono statue scolpite nel legno secoli addietro, i loro colori sono accesi, i loro volti rotondi, sofferenti. […]

Tra l’una e l’altra ci sono le coppie di Perdoni, cioè coppie di confratelli incappucciati che precedono a piedi scalzi sull’asfalto con la stessa lentezza con cui avanzano i gruppi che sorreggono le statue. Sembrano danzare. Ondeggiano con movimenti appena percettibili, da sinistra a destra, da destra a sinistra, sospingendosi ogni volta di qualche centimetro in avanti. Il verbo preciso è nazzicare, la loro camminata si chiama nazzicata.

In fondo, la banda musicale suona marce funebri che paiono una lunga nenia, mentre ai lati della strada un carnaio umano variamente assortito piange, ride, prega, scatta foto, osserva attentamente, sfiora sensualmente il corteo che si snoda per le strade della città.

È la Processione dei Misteri di Taranto. Esce ogni anno dalla chiesa del Carmine nel primo pomeriggio del Venerdì Santo e vi farà ritorno solo nella tarda mattinata del giorno successivo. Insieme alla processione gemella, quella dell’Addolorata, che esce il giovedì notte dal portone di San Domenico e vi fa ritorno il venerdì all’ora di pranzo, costituisce un pezzo di Sud barocco, sopravvissuto allo scorrere dei secoli e conficcato nella nostra modernità. […]

[…] tra le due Processioni c’è un’enorme differenza: quella dell’Addolorata si snoda tra i vicoli della città vecchia e approda nella città moderna solo per poche centinaia di metri;

mentre quella dei Misteri, benché sia nata nella medesima isola, si è poi spostata interamente nella città nuova.

Se nella prima la coincidenza tra luogo e rito appare perfetta, nella seconda lo stridore è molto forte. Si fa evidente soprattutto nelle prime ore, quando accanto alla Processione dei Misteri c’è la Diretta Televisiva della Processione dei Misteri, e c’è talmente tanta gente in strada che il percorso è transennato. Quando le telecamere si spengono, la gente si dirada e la gran parte dei tarantini va a dormire dopo aver sgranocchiato lupini o panzerotti con la mozzarella e il pomodoro, a “fare” la processione rimangono solo i Perdoni, i loro confratelli, pochi famigliari e qualche fedele con un cero acceso in mano.

…] Un senso di morte e disperazione sembra salire dalle viscere della città. […] Il passato rimosso della città sgorga fuori all’improvviso, e con esso i suoi fantasmi, le sue inquietudini, la richiesta ancestrale di una grazia o di un miracolo, mentre in lontananza le ciminiere dell’Ilva illuminano la notte e le onde del mare rimescolano l’acqua nel golfo. (A. Leogrande, Dalle Macerie. Cronache dal fronte meridionale)

aranto, processione dei Misteri
Taranto Processione dell’Addolorata
(foto di Andrea Serafico – Opera propria, Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=10308062)
Taranto, Processione dei Misteri, i Perdoni.
Taranto, I Perdoni-foto partner-

Taranto, Processione dei Misteri, Ecce Homo

Questi eventi, che mobilitano folle nelle città pugliesi per giorni, non sono privi di contraddizioni, l’originaria carica religiosa e la volontà pedagogica che era alla base di queste messe in scena, fortemente volute dalle gerarchie ecclesiastiche post-tridentine, oggi si sono fortemente attenuate. Se per alcuni fedeli le processioni pasquali rimangono un momento fondamentale della propria sensibilità religiosa, per molti, oramai, sono diventate una manifestazione di costume, un’occasione per consumare cibi tipici, o semplicemente per assistere ad uno spettacolo cui sfugge il senso profondo. Spiega l’antropologa Emanuela Angiuli:

I visi delle statue scomposti dal dolore, i tratti disperati delle Vergini Desolate, la vivezza delle carni piegate ed illividite delle figure del Cristo, non sono semplici prodotti di abilità artistiche, ma referenti puntuali, segni di un’apocalisse precipita nella storia culturalmente controllata, nella quale gli “umili” entrano ed escono indossando gli abiti della penitenza, con la testa coperta di spine, le spalle schiacciate dal peso delle croci, in una sequenza di quadri in cui i protagonisti vivono la morte della propria condizione di sfruttati e subalterni. (E. Angiuli, La Pasqua, in Viaggio in provincia)

La stridente ambiguità di questi eventi approfondita da Alessandro Leogrande nella descrizione della Processione dei Misteri, assume toni, se possibile, ancora più drammatici in un altro libro dello scrittore tarantino, edito già nel 2011, Il Naufragio che racconta della tragedia umanitaria della nave carica di immigrati Kater i Rades, affondata nel canale d’Otranto proprio la sera del Venerdì Santo, un venerdì di morte, mentre a Taranto sfilava la processione dei Misteri:

La folla segue la processione dei Misteri, […]. Stipato tra la folla il Capitano Fusco si ritrova a fissare la statua chiamata “Ecce Homo”: un Cristo triste con la corona di spine posta sulla testa insanguinata e una pezza rossa intorno al corpo nudo. Osserva i suoi occhi. Guardano verso il basso. Più che di dolore sono carichi di stupore. Quell’uomo, scolpito nel legno tre o quattro secoli prima, non sta provando compassione per il mondo, ma stupore. Una profonda meraviglia, velata di tristezza, per la violenza, il non senso, l’indifferenza, l’ignavia, l’impossibilità di raddrizzare le cose. Quel Cristo dai lineamenti popolari sembra un innocente piombato improvvisamente in mezzo a una mattanza. Lo dicono i suoi occhi. Pensa e ripensa questa idea che gli è balenata in testa: un agnello in mezzo alla mattanza. Ma poi si distrae, è infastidito dai flash, dalle urla, dalle risate di un uomo grasso con in mano un pezzo di focaccia al pomodoro che gronda olio da tutte le parti.

Questa processione non ha niente di religioso, pensa. È tutto fuorché un evento religioso. È fatta di urla, non di silenzio. Di sovraesposizione, non di riflessione. Così si allontana e si dirige verso la macchina… (A. Leogrande, Il Naufragio)

Lasciamo la Puglia, con le sue processioni e i suoi riti, e proseguiamo l’Itinerario della Passione in Grecia, nelle Isole Ionie, per partecipare alle celebrazioni della Pasqua ortodossa. Se il viaggiatore sarà fortunato, non dovrebbe incorrere nel problema della sovrapposizione delle date. Infatti il calendario liturgico ortodosso è diverso da quello cattolico. Per questo motivo in Grecia le festività pasquali si celebrano quasi sempre dopo quelle latine. Il calcolo del giorno della Pasqua è stato uno dei maggiori grattacapi degli intellettuali ecclesiastici dell’alto-medioevo, basti pensare che furono elaborati dei complicati calendari secolari, chiamati tabulae paschales, per agevolare l’individuazione del giorno di Pasqua. La differenza tra la data cattolica e quella ortodossa risiede nel fatto che in Occidente fu adottato il calendario gregoriano, mentre nel mondo ortodosso restò in vigore il calendario giuliano.

Nella religiosità greca, caratterizzata da un connubio unico di misticismo di ascendenza bizantina e folklore squisitamente isolano, la Pasqua è sicuramente la festa più importante dell’anno. L’isola di Corfù, in particolare, è famosa per le manifestazioni che animano ogni villaggio, rendendo questo periodo dell’anno uno dei più belli per scoprirne i segreti, a patto che si ami la confusione!

Il grande scrittore e antropologo siciliano, Giuseppe Pitrè, uno dei massimi studiosi di folklore, ha dedicato un paragrafo dal titolo Usi pasquali nell’isola di Corfù, del monumentale volume Archivio per lo studio delle tradizioni popolari, edito nel 1899, proprio alla pasqua corfiota che così descrive:

La più graziosa delle città elleniche è senza dubbio Corfù. Tra gli usi pasquali tuttora in vigore i più caratteristici sono i seguenti: al momento di sciogliere le campane il Sabato Santo, si gettano dalle finestre gli utensili rotti conservati in casa durante l’anno, cosicché per qualche minuto è pericoloso trovarsi fuori di casa. Vetri, stoviglie volano per l’aria e con fracasso ingombrano il suolo. Quei buoni isolani dicono di cacciare tutta quella robaccia poco gradita dietro a Giuda in segno di disprezzo.

Altra usanza è quella degli spari. Questa dura dal mezzogiorno del Sabato Santo a quello della Domenica di Pasqua. È un bombardamento non interrotto.

Rivoltelle, vecchi fucili e pistole, mortai, tutto viene posto in opera.

Caratteristica quanto mai la processione nel Castello alla mezzanotte del Sabato Santo. La ricchezza degli apparati, l’intervento della truppa e delle autorità, l’ora e le fiaccolate multicolori, danno alla funzione un’aria affatto speciale. Tipica e commovente pei sensi che nasconde la veglia che si fa con l’agnellino la notte del Sabato santo. Al mattino della Domenica di Pasqua ogni casa sgozza sul limitare il suo agnellino. Il sangue scorre per le vie, e col sangue stesso ancora caldo si disegnano croci sugli usci e sulle pareti. (G. Pitrè, Archivio per lo studio delle tradizioni popolari.)

Corfù, processione di San Spiridione durante la domenica delle Palme

Nel corso della tappa corfiota del nostro itinerario scopriremo cosa sia cambiato e quanto tenacemente certe tradizioni perdurino a ben più di un secolo di distanza dallo studio dello scrittore siciliano.

I festeggiamenti rituali hanno inizio il sabato che precede la Domenica della Palme. Questa giornata è celebrata in ricordo del miracolo che riportò in vita Lazzaro di Betania, con canti tradizionali intonati da cori che provengono da tutti i villaggi dell’isola. Le ragazze, vestite in abiti tradizioni, girano di casa in casa, recitando delle canzoni chiamate kalanda di Lazzaro. In questa occasione si consumano dei biscotti tipici chiamati i koulorakia o Lazzarakia, poiché la loro forma ricorda quella del corpo di Lazzaro avvolto nel lenzuolo funebre.

La Domenica delle Palme, in una città decorata di rosso, per vie dei drappi color porpora appesi ad ogni balcone, vengono portate in processione le reliquie del santo patrono, San Spiridione, seguite da una folla festante di fedeli e dalle diciotto Orchestre Filarmoniche dell’isola. Questa usanza si ripete ogni anno dal 1629 quando, secondo la leggenda agiografica, Agios Spyridon liberò l’isola da una terribile epidemia di peste. Oltre ad essere una manifestazione estremamente suggestiva e che si conclude con concerti musicali nella città vecchia, è anche una delle sole quattro occasioni in cui è possibile vedere sfilare per i vicoli di Corfù le reliquie del Santo. Lo scrittore anglosassone Lawrence Durrell, sinceramente innamorato dell’isola, nella quale visse diversi anni, scrisse che San Spiridione e Corfù arrivano quasi ad identificarsi, intimamente legati l’uno all’altra: «The island is really the Saint: and the Saint is the island». Così lo scrittore descrive la processione in suo onore:

Il santo giace composto nella sua cassa. Una mummia, un piccolo scheletro asciugato, i cui minuscoli piedi (calzati di pantofole ricamate) sporgono da un’apertura all’estremità del sarcofago. Se un fedele vi si inginocchia davanti e li bacia, vedrà esaudite le sue preghiere.[…] Quattro volte l’anno il santo fa il giro dell’isola nella sua cassa, accompagnato da una processione trionfale; a Pasqua e per la vigilia di Natale viene collocato su di un trono, accessibile a tutti i fedeli che entrano in chiesa.

Ma le processioni rappresentano qualcosa di più di una forma vuota. Fin dal mattino presto le strade sono affollate dalle sciarpe e dai fazzoletti sgargianti dei contadini, arrivati in città per assistere al servizio religioso; non c’è piazza che non sia animata dai banchi degli ambulanti, colmi di noccioline, bibite allo zenzero, nastri, frutta candita, strisce di tappeto, bottoni, limonata, penne e pennini, stringhe, stuzzicadenti, amuleti, icone, legni intagliati, candele, sapone e chincaglieria religiosa. […] La processione è guidata dai novizi in tunica blu, che sorreggono le lunghe pertiche delle dorate lanterne veneziane; seguono gli stendardi, pesanti e infiocchettati, e file di ceri coronati d’oro e di nastri sventolanti: enormi candele che si trasportano infilate in un balteo appeso all’anca. Tra rimbombi e squilli viene poi la banda cittadina, o meglio le due bande municipali, con i loro scintillanti elmi d’ottone, simili a quelli dei pompieri, ma guarniti di piume bianche. Seguono a questo punto truppe in ordine sparso, chiuse dalle prime file dei preti, imponenti nei loro cappelli a tubo di stufa, ciascuno con

una veste unica per colore e foggia, broccato del colore delle rose, del mais, del grano, verde prato, giallo ranuncolo. Aiuole semoventi. Infine appare l’arcivescovo in tutta la sua pompa: vuol dire che il santo è vicino, e tutte le mani si apprestano a fare il segno della croce, mentre le labbra si muovono alla preghiera.

Sei marinai portano a spalla il santo, in un antico baldacchino cremisi e oro, sostenuto da sei aste d’argento e fiancheggiato da sei preti. Spiridione troneggia in questa specie di portantina e attraverso i vetri il suo volto appare più che mai lontano, risoluto e misantropo. (L. Durrell, Propero’s Cell. A guide to the landscape and manners of the island of Corfu)

Come avviene anche in Italia, il giorno più sentito di tutta la Settimana Santa è il Venerdì, il giorno della Passione, chiamato il giorno degli Epitaffi, cioè dei Sepolcri. In tutta l’isola, ogni chiesa porta in processione il proprio Epitaffio, in un baldacchino adorno di fiori. I fedeli seguono l’Epitaffio della propria parrocchia al ritmo delle tristi marce funebri intonate dalle bande musicali.

Il giorno successivo, il Sabato Santo, di prima mattina viene “messo in scena”, nella chiesa di Kyra Faneromeni, in piazza Agiou Spyridonos, il terremoto che nei Vangeli si racconta seguì alla morte di Gesù: i fedeli presenti battono i banchi all’unisono creando un tale rumore che sembra far tremare la chiesa.

In seguito, il santo patrono sfila nuovamente per le vie di Corfù con il suo sepolcro, in ricordo del divieto imposto dai Veneziani di far sfilare gli Epitaffi il Venerdì Santo.

Il momento più colorato e caratteristico della Pasqua ortodossa dell’isola avviene intorno alle 11.00 del mattino, quando ha inizio lo spettacolo della rottura dei botides.

Grandi vasi di terracotta, dipinti di rosso, vengono lanciati in strada dai balconi del centro storico, infrangendosi in mille pezzi. L’origine di questa usanza, che Giuseppe Pitrè legava alla volontà popolare di scacciare Giuda, secondo alcuni rimanda alla tradizione veneziana di lanciare dalla finestra gli oggetti vecchi a Capodanno.

In tarda serata, poco prima di mezzanotte si può finalmente celebrare la gioia della Resurrezione e il cielo dell’isola si illumina di fuochi d’artificio e i fedeli intonano canti, finalmente di gioia, sulle note delle bande filarmoniche, augurandosi Buona Pasqua con la tradizionale formula Χριστός ανέστη (Cristo è risorto).

Nei villaggi è ancora in vigore l’usanza di sacrificare l’agnello pasquale e di segnare con il suo sangue le porte delle abitazioni. Questa tradizione è probabilmente il lontano ricordo di quando, come scrive Franco Cardini «in un ormai lontano plenilunio di primavera, […] il sangue dell’agnello sacrificato protesse le case degli Ebri dal passaggio dell’Angelo». Nell’Esodo, si racconta di come alla vigilia della liberazione del popolo ebraico dall’Egitto, un Angelo, mandato da Dio, avrebbe colpito ogni primogenito egiziano, mentre avrebbe risparmiato gli Ebrei, i quali, su ordine di Mosè, marcarono le porte delle loro case con il sangue di un agnello sacrificato, seguendo l’ordine divino: «[…] quand’io vedrò il sangue, passerò oltre, e non vi sarà piaga su di voi per distruggervi, quando colpirò il paese d’Egitto». Ancora oggi l’agnello, vittima dell’Esodo e re dell’Apocalisse, sia per i cattolici che per gli ortodossi, rimane uno dei simboli più potenti della Pasqua. La Domenica della Resurrezione è il giorno del cibo, in cui finito il digiuno quaresimale, i corfioti si concedono ricchi banchetti a base di carne di agnello e capra. Se a Corfù le festività pasquali assumono toni solenni e scenografici, nelle altre Isole Ionie il viaggiatore potrà vivere un’esperienza più intima e meno mondana rispetto alla capitale. Per questo abbiamo scelto come ultima tappa di questo itinerario l’isola di Lefkada. Con le sue bianche scogliere, rese famose dal più poetico di tutti i suicidi d’amore, quello della poetessa Saffo, l’isola, ancora fuori dai circuiti del turismo di massa, è un posto dove la vita segue ritmi lenti e naturali e dove la Pasqua è l’evento più importante dell’anno. I riti si svolgono durante tutta la Settimana Santa e per l’occasione i villaggi si preparano parandosi a festa, le case vengono tinteggiate di bianco e le strade pulite. Padrini e madrine di battesimo regalano vesti nuove e candide ai propri figliocci, insieme a un cero pasquale. Il Giovedì Santo le donne dipingono di rosso le uova, il Venerdì sfilano gli Epitaffios e alla mezzanotte del sabato santo le candele dei fedeli vengono accese, con il loro fumo si disegna una croce sulla porta della propria casa, ed infine, a mezzanotte, suonano le campane e i fuochi d’artificio esplodono colorati nel cielo. La Domenica si svolge la cerimonia dell’Agàpi, parola greca che allude tanto all’amore nella sua dimensione divina e platonica quanto alle libagioni sacre. Infatti dopo la lettura del Vangelo in dodici lingue diverse è il momento di consumere un ricchissimo pasto a base di carni allo spiedo di agnello e dolci al miele.

Invitiamo il viaggiatore che ha intrapreso questo itinerario a prendere simbolicamente parte al banchetto pasquale. Dopo aver attraversato e rivissuto i giorni della Passione, attraverso drammatiche processioni rituali, attraverso Sacre Rappresentazioni e litanie, è giunto, a conclusione del percorso, il momento della gioia e rinascita e per noi il momento del ritorno. Il nostro itinerario, che qui si conclude, ci ha portato non solo in luoghi meravigliosi, ma, ci auguriamo, anche alla scoperta di antichissime tradizione mediterranee legate agli eventi evangelici della nostra tradizione religiosa, ma anche alla stessa natura dell’uomo che, con tutte le sue contraddizioni, nel corso dei millenni, ha dato forma rituale alle proprie paure e sofferenze, ha celebrato le proprie divinità e i grandi cicli della natura.

Corfù, fuochi d’artificio