Cosimo De Giorgi
Introduction by R. Nicolì
This text, here entirely reproduced for the POLYSEMI Library, is a pamphlet written by the renowned Salento scholar Cosimo De Giorgi, published by the Milan printing house Wilmant in 1872.[1] Originally, it was a letter – dated 10th October 1870 – the author sent to his colleague from Pisa Guido Mugnaini; its content is closely related to the Apulian Project Area, since it concerns a short excursion from Bari to Taranto by train. In the nineteenth century the inclination for local and limited itineraries, after a season of long journeys all over the peninsula, as the Grand Tour required, was new. Read more “Cosimo De Giorgi”
Martina Franca
L’elegante cittadina sorge su una dolce altura della Murgia meridionale e domina la Valle d’Itria. Il viaggiatore rimane immediatamente incantato dal suo aspetto barocco e rococò, meno esuberante di quello leccese, ma declinato in forme sobrie e raffinate.
Le origini del paese risalgono al X secolo, quando dei profughi tarantini in fuga dai saraceni si rifugiarono sul monte San Martino e vi fondarono il primo villaggio.
Nel XIV secolo, questo primitivo insediamento fu ampliato per volere di Filippo d’Angiò, principe di Taranto, che garantì franchigie e diritti a coloro che avrebbero scelto di stabilirvisi. Proprio questa è l’origine del toponimo Martina Franca.
Si accede al centro della cittadina attraversando piazza XX Settembre, dove si alza un monumentale arco settecentesco decorato da una statua equestre di S. Martino, in ricordo della leggenda che narra di come questo santo cavaliere liberò la città dall’attacco delle truppe di Maramaldo. Superato l’arco si entra nel centro storico. Qui si potrà ammirare il bel Palazzo Ducale, eretto alla fine del XVII secolo per volere della nobile famiglia Caracciolo, in forme barocche. Addentrandosi nelle vie del centro, su corso Vittorio Emanuele, fiancheggiato da eleganti palazzi, con finestre e balconi scolpiti, si raggiunge la collegiata di San Martino: scenografica chiesa barocca, costruita tra il 1747 e il 1775. La facciata è riccamente decorata e impreziosita da un grande portale, sormontato da un gruppo scultoreo in cui è rappresentata, secondo il teatrale e scenografico gusto settecentesco, la scena di San Martino e il povero.
L’interno presenta una pianta a croce latina a navata unica ed è esuberantemente decorato: stucchi, marmi e materiali preziosi concorrono a rendere questa chiesa un gioiello del barocco pugliese.
Martina Franca, Piazza Plebiscito (foto di Tango7174 – Opera propria, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=13754146)
I Coni dei Trulli
Trulli di Alberobello (Foto di Berthold Werner, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=60159414)
Una delle caratteriste dei trulli di Alberobello è che ognuno reca in cima, oltre ad un pinnacolo scolpito, anche uno strano disegno, si tratta di simboli di diversa natura, alcuni rimandano a millenarie tradizioni pagane o esoteriche, altri invece alludono all’iconografia cristiana. Vengono realizzati con il latte della calce direttamente sulle chiancarelle, cioè le pietre che compongono il cono del tetto. Questi disegni servivano non solo a distinguere le famiglie proprietarie dei trulli, ma assunsero una valenza apotropaica, si credeva che allontanassero il malocchio e propiziassero un buon raccolto. I simboli più comuni e facilmente riconoscibili sono: il candeliere ebraico, il simbolo del Sole-Cristo, il cuore trafitto di Maria che allude alla Passione. Altri simboli pagani molto comuni sui trulli di Alberobello sono quelli del Toro, di Giove e di Venere.
Santa Maria delle Grazie
Santuario di Santa Maria delle Grazie, foto d’epoca (di William Henry Goodyear – Brooklyn Museum, No restrictions, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=31383687)
Nei pressi della stazione ferroviaria, in Via Madonna delle Grazie, sorge l’omonima chiesa e santuario, costruita per volere del vescovo Vincenzo Giustiniani nella prima metà del XVII secolo.
La parte inferiore della facciata è realizzata a bugnato che si prolunga nel registro appena superiore, per disegnare un particolarissimo castello a tre torri, entro cui si aprono i tre portali della chiesa.
La parte superiore del prospetto principale è letteralmente dominata da una grandissima aquila coronata con le ali spiegate, sormontata da una mitra vescovile. È impossibile non leggere nella facciata di questa chiesa un’ostentata esibizione dei simboli del potere della chiesa seicentesca in queste contrade di Puglia.
Gravina
Gravina di Puglia, foto d’epoca (CC BY-SA 3.0, https://it.wikipedia.org/w/index.php?curid=3694887)
Questa città dell’Alta Murgia già nel nome anticipa le particolari caratteristiche della sua conformazione paesaggistica. L’intero paese sorge infatti su una profonda grave articolata in diversi livelli abitativi, dove si alternano chiese rupestri, case, stalle e depositi. Tra le tante chiese rupestri presenti merita una visita la Basilica di San Michele delle grotte: un ambiente suddiviso in cinque navate da ampi pilastri. Sulle pareti rocciose sono ancora visibili i resti di affreschi del XII-XIII secolo. In uno dei locali annessi alla chiesa è possibile visitare un ossario, un macabro deposito di resti umani, che una tenace tradizione popolare vuole siano le ossa dei cittadini di Gravina, massacrati durante una delle incursioni saracene del X secolo.
A Gravina il visitatore potrà ammirare anche la ricostruzione puntuale degli ambienti della cripta di San Vito e dei suoi bellissimi affreschi, tra i quali segnaliamo un Cristo Pantocrator in trono e una Vergine in trono, all’interno del poco noto, ma ricco Museo Pomarici-Santomasi. Il museo si trova nel palazzo seicentesco della Fondazione Pomarici Santomasi, nei suoi due piani sono anche ospitati i reperti archeologici dell’area di Botromagno, la Pinacoteca, la Biblioteca, l’Archivio Storico e le sale di lettura.
Recapiti
Telefono:+39 080.325.10.21
Fax:+39 080.325.10.21
E-Mail:info@fondazionesantomasi.it
Via Museo n. 20 – 70024 Gravina in Puglia (Ba) – Italy
ORARI
Mar/Dom: 9.00-13.00 | 16.00-20.00
Lunedì chiuso
La Civiltà Rupestre in Puglia
Gravine in provincia di Mottola- pubblico dominio-
Gravine, lame, burroni, grotte, cripte e chiese dalle pareti roccese affrescate sono il patrimonio naturale e artistico tutelato nel Parco Regionale delle Gravine dell’Arco Ionico, una vasta area geografica che comprende molti comuni della provincia di Taranto.
Per molto tempo si è pensato che le grotte di queste gravine fossero state utilizzate, nel corso dei secoli medievali, quasi esclusivamente da monaci eremiti o da religiosi di origine orientale giunti in Puglia in seguito alle lotte iconoclaste dell’VIII secolo. In realtà autorevoli studiosi di diverse discipline, dalla geologia alla storia, a partire soprattutto dalle ipotesi avanzate dallo storico Cosimo Damiano Fonseca, hanno dimostrato che le chiese rupestri o le cosiddette cripte eremitiche furono solo una delle possibili espressioni del vivere in grotta. Abitazioni e interi villaggi furono scavati sui fianchi delle lame e delle gravine, tra il X e il XV secolo, dalle popolazioni locali che scelsero la vita in rupe come cosciente alternativa a quella urbana. Per questo motivo si è coniata l’espressione “civiltà rupestre”, attraverso la quale si vuole designare quel particolare modo di vivere alternativo, ma non subalterno a quello delle città e dei villaggi. In Puglia l’abitudine di scavare nella tenera rocca calcarenitica risale all’età del Bronzo, periodo a cui risalgono numerose sepolture rinvenute dagli archeologi. Anche durante l’età classica gli ambienti ipogei hanno continuato ad essere utilizzati, a dimostrazione che la cultura del vivere in grotta era radicata nella gente del luogo già prima della diffusione del cristianesimo. La Puglia può vantare un ricchissimo patrimonio rupestre, consigliamo al viaggiatore di visitare le chiese di Massafra e Mottola.
Segnaliamo in particolar modo la Chiesa della Candelora e il complesso rupestre annesso al santuario della Madonna della Scala.
La chiesa della Candelora si affaccia direttamente sulla Gravina di San Marco e si trova all’interno di un giardino privato raggiungibile percorrendo Via Canali. La Cripta dall’impianto basilicale a tre navate, nonostante alcuni crolli che hanno compromesso l’originario ingresso e parte della zona absidale, conserva le coperture a finti spioventi e cupole. Le pareti, lungo i cui fianchi si aprono varie arcate, ospitano affreschi di rara bellezza, risalenti al XIII-XIV secolo. Queste pitture sono accompagnate da iscrizioni sia greche sia latine, a testimonianza della polifonia culturale della regione, ponte tra l’Oriente greco-bizantino e l’Occidente latino. Particolarmente suggestivo è l’affresco della Vergine che conduce il Bambino. Si tratta di un’iconografia molto rara che sembra voler esaltare la dolcezza materna di Maria che quasi incede fuori dallo spazio sacro del dipinto – si notino i piedi che, prima del ribassamento del pavimento, toccavo il piano di calpestio – e sembra rivolgere premurose raccomandazioni al figlio, che porta con sé un cesto con delle uova, che sono state variamente interpretate. Nella simbologia cristiana l’uovo può alludere alla Passione, poiché metafora di un sepolcro dal quale nasce la vita. Al lato della Vergine, le due figure più piccole rappresentano i coniugi committenti dell’affresco.
Cripta della Candelora, affresco delle Vergine che conduce il Bambino
Una visita merita sicuramente anche il Santuario di Santa Maria della Scala, con l’annessa cripta. Ubicato alla periferia di Massafra, lungo una profonda e pittoresca gravina, vi si accede grazie ad una scenografica scalinata di gusto barocco.
Un’antica leggenda narra che nel luogo dove oggi sorge il santuario furono rinvenute due cerve che adoravano un’icona mariana. Il Santuario odierno fu costruito nel XVIII secolo, al di sopra della cripta primitiva, frequentata fin da tempi antichissimi. L’edificio oggi di forme e gusto settecentesco, conserva al suo interno un pregevolissimo affresco del XIII secolo, raffigurante una splendida Madonna con Bambino, proveniente probabilmente dalla chiesetta rupestre della Buona Nuova, posta accanto al Santuario e in gran parte compromessa durante i lavori di edificazione della scalinata barocca. Lo dimostrerebbe la strettissima somiglianza con un altro degli affreschi dedicati alla Vergine presente nella cripta della chiesetta attigua al Santuario.
Massafra, Madonna della Scala, Madonna con Bambino
Massafra, Madonna della Buona Nuova, Madonna con Bambino
Il Museo Marta di Taranto
Via Cavour 10,
aperto tutti i giorni dalle h. 8.30 alla h.19.30, ultimo ingresso h.19.00
Il Museo Nazionale Archeologico di Taranto, MArTA, è sicuramente una delle eccellenze museali italiane. Fu istituito nel 1887 e ha sede, fin da allora, nell’ex Convento del XVIII dei Frati Alcantarini. Poco rimane dell’edificio originario che si sviluppa intorno al perimetro porticato del chiostro.
I numerosi reperti, che emergevano dal sottosuolo di Taranto, conobbero una prima sistemazione sul finire del XIX secolo, a cui sono seguiti nuovi riallestimenti, volti a organizzare, in maniera museograficamente coerente, il ricco patrimonio archeologico qui conservato. Nel corso degli anni, il museo è stato temporaneamente chiuso al pubblico, smantellato e ri-assemblato. Al termine di un lungo percorso di lavori di adeguamento e ristrutturazioni, nel dicembre del 2007, è stato inaugurato il nuovo museo di Taranto, ribattezzato ufficialmente Marta.
Il piano terra ospita gli spazi per le mostre temporanee, mentre nei piani superiori è allestita la ricchissima collezione permanente.
Il percorso espositivo, strettamente legato ai riferimenti territoriali, è organizzato per aree tematiche connesse ai diversi aspetti della vita e della storia dell’area tarantina, all’interno di ampie fasce cronologiche.
Il visitatore potrà ammirare numerosi vasi attici rossi e neri decorati con storie mitologiche; potrà osservare eccezionali sculture in bronzo e marmo e incantarsi difronte a magnifici gioielli in oro e pietre dure, frutto della raffinatissima arte degli orafi locali e testimonianza dello splendore e dell’opulenza raggiunta da questa società.
Testa di donna, IV secolo a. C(Foto di Maria – Flickr, CC BY-SA 2.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=20263809)
Orecchino in oro, IV secolo a.C. (foto di Maria – Flickr, CC BY-SA 2.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=20263809)
Il Castello Aragonese di Taranto
Il Castello aragonese di Taranto, chiamato Castel Sant’Angelo, è un bellissimo maniero rinascimentale, eretto su di un antico avvallamento naturale all’estremità dell’isoletta su cui sorge la Città Vecchia. L’aspetto attuale è quello che gli è stato conferito in epoca aragonese. Il Castello fu costruito su una precedente struttura difensiva, la cui fase architettonica più antica è quella bizantina. Grazie a documenti d’archivio del XIII secolo è possibile ricostruirne l’aspetto medievale: un forte dotato di torri quadrangolari pensato per la difesa “piombante”, cioè per il lancio di frecce o altro materiale dalle strette feritoie che si aprivano lungo i bastioni.
Nella seconda meta del XV secolo, quando la tecnologia bellica aveva completamente rivoluzionato la maniera di combattere e difendersi, grazie al largo impiego delle artiglierie e delle armi da fuoco, il Castello si rivelò inadeguato e per questo fu necessario modificarne le caratteristiche architettoniche. Sembra oramai certo che fu il grande architetto Francesco di Giorgio Martini a realizzare i disegni alla base del nuovo impianto del Castello di Taranto. La sua architettura è basata su precise regole geometriche-matematiche che rimandano all’universo culturale, pienamente rinascimentale, dell’architetto senese: quattro torrioni cilindrici sono uniti tra loro da larghe ed eleganti cortine che formano un quadrilatero. Nel corso dei secoli, l’impianto rinascimentale è stato modificato, con l’aggiunta di altre strutture difensive e l’ingrandimento dell’area del fossato. Infine il maniero fu ulteriormente manomesso nel secolo scorso, per trasformarlo in carcere e per far posto alla costruzione del ponte girevole che collega Taranto nuova a Taranto vecchia. Dal 1887 è sede della Marina Militare Italiana, che attualmente garantisce visite guidate gratuite giornaliere all’interno del Castello.
Taranto, Castello aragonese, (foto di Livioandronico2013 – Opera propria, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=30324730)
Ufficio Informazioni: 0997753438 Email: infocastelloaragonese@libero.it
Fondazione Museo Pino Pascali di Polignano
Fuori dal centro storico di Polignano, in una panoramica strada che si affaccia sul mare, difronte allo scoglio noto come lo scoglio dell’Eremita, nei luminosi ambienti del ristrutturato ex-mattatoio comunale ha sede la Fondazione Museo Pino Pascali.
Il museo, oltre ad esposizioni temporanee di arte contemporanea, ospita una collezione permanente del geniale e controverso artista polignanese Pino Pascali. L’artista, morto alla giovane età di 33 anni nel 1968, era già diventato una delle personalità più di spicco del panorama artistico romano degli anni Sessanta del Novecento. Aveva aderito all’Arte Povera declinandola, nelle sue stravaganti installazioni, in toni ludici e provocatori. Nelle sue opere è possibile cogliere anche numerose suggestioni legate ai colori e ai paesaggi pugliesi: mare, terra, campi e animali, reinterpretati secondo la personalissima poetica pascaliana, sono i soggetti prediletti dell’artista.
FONDAZIONE PINO PASCALI
MUSEO DI ARTE CONTEMPORANEA
VIA PARCO DEL LAURO 119
70044 POLIGNANO A MARE (BA)
TEL: +39 080 4249534 | +39 3332091920
ORARIO INVERNALE
Tutti i giorni dalle 10 alle 13
e dalle 16 alle 21
lunedì chiuso
(Dal 10 luglio al 2 settembre)
Martedì-Domenica: 11.00-13.00 / 15.00-22.00
Chiuso il lunedì
La biglietteria chiude mezz’ora prima del museo – biglietto 5 euro più eventuali riduzioni a chi ne ha diritto. Ingresso gratuito la prima domenica del mese.