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Martina Franca

L’elegante cittadina sorge su una dolce altura della Murgia meridionale e domina la Valle d’Itria. Il viaggiatore rimane immediatamente incantato dal suo aspetto barocco e rococò, meno esuberante di quello leccese, ma declinato in forme sobrie e raffinate.

Le origini del paese risalgono al X secolo, quando dei profughi tarantini in fuga dai saraceni si rifugiarono sul monte San Martino e vi fondarono il primo villaggio.

Nel XIV secolo, questo primitivo insediamento fu ampliato per volere di Filippo d’Angiò, principe di Taranto, che garantì franchigie e diritti a coloro che avrebbero scelto di stabilirvisi. Proprio questa è l’origine del toponimo Martina Franca.

Si accede al centro della cittadina attraversando piazza XX Settembre, dove si alza un monumentale arco settecentesco decorato da una statua equestre di S. Martino, in ricordo della leggenda che narra di come questo santo cavaliere liberò la città dall’attacco delle truppe di Maramaldo. Superato l’arco si entra nel centro storico. Qui si potrà ammirare il bel Palazzo Ducale, eretto alla fine del XVII secolo per volere della nobile famiglia Caracciolo, in forme barocche. Addentrandosi nelle vie del centro, su corso Vittorio Emanuele, fiancheggiato da eleganti palazzi, con finestre e balconi scolpiti, si raggiunge la collegiata di San Martino: scenografica chiesa barocca, costruita tra il 1747 e il 1775. La facciata è riccamente decorata e impreziosita da un grande portale, sormontato da un gruppo scultoreo in cui è rappresentata, secondo il teatrale e scenografico gusto settecentesco, la scena di San Martino e il povero.

L’interno presenta una pianta a croce latina a navata unica ed è esuberantemente decorato: stucchi, marmi e materiali preziosi concorrono a rendere questa chiesa un gioiello del barocco pugliese.

Martina Franca, Piazza Plebiscito (foto di Tango7174 – Opera propria, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=13754146)

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I Coni dei Trulli

Trulli di Alberobello (Foto di Berthold Werner, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=60159414)

Una delle caratteriste dei trulli di Alberobello è che ognuno reca in cima, oltre ad un pinnacolo scolpito, anche uno strano disegno, si tratta di simboli di diversa natura, alcuni rimandano a millenarie tradizioni pagane o esoteriche, altri invece alludono all’iconografia cristiana. Vengono realizzati con il latte della calce direttamente sulle chiancarelle, cioè le pietre che compongono il cono del tetto. Questi disegni servivano non solo a distinguere le famiglie proprietarie dei trulli, ma assunsero una valenza apotropaica, si credeva che allontanassero il malocchio e propiziassero un buon raccolto. I simboli più comuni e facilmente riconoscibili sono: il candeliere ebraico, il simbolo del Sole-Cristo, il cuore trafitto di Maria che allude alla Passione. Altri simboli pagani molto comuni sui trulli di Alberobello sono quelli del Toro, di Giove e di Venere.

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Santa Maria delle Grazie

Santuario di Santa Maria delle Grazie, foto d’epoca (di William Henry Goodyear – Brooklyn Museum, No restrictions, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=31383687)

Nei pressi della stazione ferroviaria, in Via Madonna delle Grazie, sorge l’omonima chiesa e santuario, costruita per volere del vescovo Vincenzo Giustiniani nella prima metà del XVII secolo.

La parte inferiore della facciata è realizzata a bugnato che si prolunga nel registro appena superiore, per disegnare un particolarissimo castello a tre torri, entro cui si aprono i tre portali della chiesa.

La parte superiore del prospetto principale è letteralmente dominata da una grandissima aquila coronata con le ali spiegate, sormontata da una mitra vescovile. È impossibile non leggere nella facciata di questa chiesa un’ostentata esibizione dei simboli del potere della chiesa seicentesca in queste contrade di Puglia.

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Gravina

Gravina di Puglia, foto d’epoca (CC BY-SA 3.0, https://it.wikipedia.org/w/index.php?curid=3694887)

Questa città dell’Alta Murgia già nel nome anticipa le particolari caratteristiche della sua conformazione paesaggistica. L’intero paese sorge infatti su una profonda grave articolata in diversi livelli abitativi, dove si alternano chiese rupestri, case, stalle e depositi. Tra le tante chiese rupestri presenti merita una visita la Basilica di San Michele delle grotte: un ambiente suddiviso in cinque navate da ampi pilastri. Sulle pareti rocciose sono ancora visibili i resti di affreschi del XII-XIII secolo. In uno dei locali annessi alla chiesa è possibile visitare un ossario, un macabro deposito di resti umani, che una tenace tradizione popolare vuole siano le ossa dei cittadini di Gravina, massacrati durante una delle incursioni saracene del X secolo.

A Gravina il visitatore potrà ammirare anche la ricostruzione puntuale degli ambienti della cripta di San Vito e dei suoi bellissimi affreschi, tra i quali segnaliamo un Cristo Pantocrator in trono e una Vergine in trono, all’interno del poco noto, ma ricco Museo Pomarici-Santomasi. Il museo si trova nel palazzo seicentesco della Fondazione Pomarici Santomasi, nei suoi due piani sono anche ospitati i reperti archeologici dell’area di Botromagno, la Pinacoteca, la Biblioteca, l’Archivio Storico e le sale di lettura.

Recapiti

Telefono:+39 080.325.10.21

Fax:+39 080.325.10.21

E-Mail:info@fondazionesantomasi.it

Via Museo n. 20 – 70024 Gravina in Puglia (Ba) – Italy

ORARI
Mar/Dom: 9.00-13.00 | 16.00-20.00
Lunedì chiuso

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La Civiltà Rupestre in Puglia

Gravine in provincia di Mottola- pubblico dominio-

Gravine, lame, burroni, grotte, cripte e chiese dalle pareti roccese affrescate sono il patrimonio naturale e artistico tutelato nel Parco Regionale delle Gravine dell’Arco Ionico, una vasta area geografica che comprende molti comuni della provincia di Taranto.

Per molto tempo si è pensato che le grotte di queste gravine fossero state utilizzate, nel corso dei secoli medievali, quasi esclusivamente da monaci eremiti o da religiosi di origine orientale giunti in Puglia in seguito alle lotte iconoclaste dell’VIII secolo. In realtà autorevoli studiosi di diverse discipline, dalla geologia alla storia, a partire soprattutto dalle ipotesi avanzate dallo storico Cosimo Damiano Fonseca, hanno dimostrato che le chiese rupestri o le cosiddette cripte eremitiche furono solo una delle possibili espressioni del vivere in grotta. Abitazioni e interi villaggi furono scavati sui fianchi delle lame e delle gravine, tra il X e il XV secolo, dalle popolazioni locali che scelsero la vita in rupe come cosciente alternativa a quella urbana. Per questo motivo si è coniata l’espressione “civiltà rupestre”, attraverso la quale si vuole designare quel particolare modo di vivere alternativo, ma non subalterno a quello delle città e dei villaggi. In Puglia l’abitudine di scavare nella tenera rocca calcarenitica risale all’età del Bronzo, periodo a cui risalgono numerose sepolture rinvenute dagli archeologi. Anche durante l’età classica gli ambienti ipogei hanno continuato ad essere utilizzati, a dimostrazione che la cultura del vivere in grotta era radicata nella gente del luogo già prima della diffusione del cristianesimo. La Puglia può vantare un ricchissimo patrimonio rupestre, consigliamo al viaggiatore di visitare le chiese di Massafra e Mottola.

Segnaliamo in particolar modo la Chiesa della Candelora e il complesso rupestre annesso al santuario della Madonna della Scala.

La chiesa della Candelora si affaccia direttamente sulla Gravina di San Marco e si trova all’interno di un giardino privato raggiungibile percorrendo Via Canali. La Cripta dall’impianto basilicale a tre navate, nonostante alcuni crolli che hanno compromesso l’originario ingresso e parte della zona absidale, conserva le coperture a finti spioventi e cupole. Le pareti, lungo i cui fianchi si aprono varie arcate, ospitano affreschi di rara bellezza, risalenti al XIII-XIV secolo. Queste pitture sono accompagnate da iscrizioni sia greche sia latine, a testimonianza della polifonia culturale della regione, ponte tra l’Oriente greco-bizantino e l’Occidente latino. Particolarmente suggestivo è l’affresco della Vergine che conduce il Bambino. Si tratta di un’iconografia molto rara che sembra voler esaltare la dolcezza materna di Maria che quasi incede fuori dallo spazio sacro del dipinto – si notino i piedi che, prima del ribassamento del pavimento, toccavo il piano di calpestio – e sembra rivolgere premurose raccomandazioni al figlio, che porta con sé un cesto con delle uova, che sono state variamente interpretate. Nella simbologia cristiana l’uovo può alludere alla Passione, poiché metafora di un sepolcro dal quale nasce la vita. Al lato della Vergine, le due figure più piccole rappresentano i coniugi committenti dell’affresco.

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Cripta della Candelora, affresco delle Vergine che conduce il Bambino

Una visita merita sicuramente anche il Santuario di Santa Maria della Scala, con l’annessa cripta. Ubicato alla periferia di Massafra, lungo una profonda e pittoresca gravina, vi si accede grazie ad una scenografica scalinata di gusto barocco.

Un’antica leggenda narra che nel luogo dove oggi sorge il santuario furono rinvenute due cerve che adoravano un’icona mariana. Il Santuario odierno fu costruito nel XVIII secolo, al di sopra della cripta primitiva, frequentata fin da tempi antichissimi. L’edificio oggi di forme e gusto settecentesco, conserva al suo interno un pregevolissimo affresco del XIII secolo, raffigurante una splendida Madonna con Bambino, proveniente probabilmente dalla chiesetta rupestre della Buona Nuova, posta accanto al Santuario e in gran parte compromessa durante i lavori di edificazione della scalinata barocca. Lo dimostrerebbe la strettissima somiglianza con un altro degli affreschi dedicati alla Vergine presente nella cripta della chiesetta attigua al Santuario.

Massafra, Madonna della Scala, Madonna con Bambino

Massafra, Madonna della Buona Nuova, Madonna con Bambino

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Il Museo Marta di Taranto

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Via Cavour 10,

aperto tutti i giorni dalle h. 8.30 alla h.19.30, ultimo ingresso h.19.00

Il Museo Nazionale Archeologico di Taranto, MArTA, è sicuramente una delle eccellenze museali italiane. Fu istituito nel 1887 e ha sede, fin da allora, nell’ex Convento del XVIII dei Frati Alcantarini. Poco rimane dell’edificio originario che si sviluppa intorno al perimetro porticato del chiostro.
I numerosi reperti, che emergevano dal sottosuolo di Taranto, conobbero una prima sistemazione sul finire del XIX secolo, a cui sono seguiti nuovi riallestimenti, volti a organizzare, in maniera museograficamente coerente, il ricco patrimonio archeologico qui conservato. Nel corso degli anni, il museo è stato temporaneamente chiuso al pubblico, smantellato e ri-assemblato. Al termine di un lungo percorso di lavori di adeguamento e ristrutturazioni, nel dicembre del 2007, è stato inaugurato il nuovo museo di Taranto, ribattezzato ufficialmente Marta.

Il piano terra ospita gli spazi per le mostre temporanee, mentre nei piani superiori è allestita la ricchissima collezione permanente.

Il percorso espositivo, strettamente legato ai riferimenti territoriali, è organizzato per aree tematiche connesse ai diversi aspetti della vita e della storia dell’area tarantina, all’interno di ampie fasce cronologiche.
Il visitatore potrà ammirare numerosi vasi attici rossi e neri decorati con storie mitologiche; potrà osservare eccezionali sculture in bronzo e marmo e incantarsi difronte a magnifici gioielli in oro e pietre dure, frutto della raffinatissima arte degli orafi locali e testimonianza dello splendore e dell’opulenza raggiunta da questa società.

Testa di donna, IV secolo a. C(Foto di Maria – Flickr, CC BY-SA 2.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=20263809)

Orecchino in oro, IV secolo a.C. (foto di Maria – Flickr, CC BY-SA 2.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=20263809)

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Il Castello Aragonese di Taranto

Il Castello aragonese di Taranto, chiamato Castel Sant’Angelo, è un bellissimo maniero rinascimentale, eretto su di un antico avvallamento naturale all’estremità dell’isoletta su cui sorge la Città Vecchia. L’aspetto attuale è quello che gli è stato conferito in epoca aragonese. Il Castello fu costruito su una precedente struttura difensiva, la cui fase architettonica più antica è quella bizantina. Grazie a documenti d’archivio del XIII secolo è possibile ricostruirne l’aspetto medievale: un forte dotato di torri quadrangolari pensato per la difesa “piombante”, cioè per il lancio di frecce o altro materiale dalle strette feritoie che si aprivano lungo i bastioni.

Nella seconda meta del XV secolo, quando la tecnologia bellica aveva completamente rivoluzionato la maniera di combattere e difendersi, grazie al largo impiego delle artiglierie e delle armi da fuoco, il Castello si rivelò inadeguato e per questo fu necessario modificarne le caratteristiche architettoniche. Sembra oramai certo che fu il grande architetto Francesco di Giorgio Martini a realizzare i disegni alla base del nuovo impianto del Castello di Taranto. La sua architettura è basata su precise regole geometriche-matematiche che rimandano all’universo culturale, pienamente rinascimentale, dell’architetto senese: quattro torrioni cilindrici sono uniti tra loro da larghe ed eleganti cortine che formano un quadrilatero. Nel corso dei secoli, l’impianto rinascimentale è stato modificato, con l’aggiunta di altre strutture difensive e l’ingrandimento dell’area del fossato. Infine il maniero fu ulteriormente manomesso nel secolo scorso, per trasformarlo in carcere e per far posto alla costruzione del ponte girevole che collega Taranto nuova a Taranto vecchia. Dal 1887 è sede della Marina Militare Italiana, che attualmente garantisce visite guidate gratuite giornaliere all’interno del Castello.

Taranto, Castello aragonese, (foto di Livioandronico2013 – Opera propria, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=30324730)

Ufficio Informazioni: 0997753438  Email: infocastelloaragonese@libero.it

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Fondazione Museo Pino Pascali di Polignano

Fuori dal centro storico di Polignano, in una panoramica strada che si affaccia sul mare, difronte allo scoglio noto come lo scoglio dell’Eremita, nei luminosi ambienti del ristrutturato ex-mattatoio comunale ha sede la Fondazione Museo Pino Pascali.

Il museo, oltre ad esposizioni temporanee di arte contemporanea, ospita una collezione permanente del geniale e controverso artista polignanese Pino Pascali. L’artista, morto alla giovane età di 33 anni nel 1968, era già diventato una delle personalità più di spicco del panorama artistico romano degli anni Sessanta del Novecento. Aveva aderito all’Arte Povera declinandola, nelle sue stravaganti installazioni, in toni ludici e provocatori. Nelle sue opere è possibile cogliere anche numerose suggestioni legate ai colori e ai paesaggi pugliesi: mare, terra, campi e animali, reinterpretati secondo la personalissima poetica pascaliana, sono i soggetti prediletti dell’artista.

FONDAZIONE PINO PASCALI
MUSEO DI ARTE CONTEMPORANEA

VIA PARCO DEL LAURO 119
70044 POLIGNANO A MARE (BA)

TEL: +39 080 4249534 | +39 3332091920

ORARIO INVERNALE
Tutti i giorni dalle 10 alle 13
e dalle 16 alle 21
lunedì chiuso

ORARIO ESTIVO

(Dal 10  luglio al 2 settembre)

Martedì-Domenica: 11.00-13.00 / 15.00-22.00

Chiuso il lunedì

La biglietteria chiude mezz’ora prima del museo – biglietto 5 euro più eventuali riduzioni a chi ne ha diritto. Ingresso gratuito la prima domenica del mese.

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La Basilica di San Nicola

Bari, basilica di San Nicola (foto di Berthold Werner, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=61405024)

La basilica di San Nicola, voluta dall’abate benedettino Elia nel 1089, fu consacrata nel 1197. Il colto abate volle realizzare un edificio che in sé riassumesse numerose funzioni e diversi significati. Doveva essere una chiesa di pellegrinaggio, la chiesa madre del popolo dei baresi e un punto di riferimento per chi giungeva dal mare e immediatamente si confrontava con la sagoma svettante delle sue torri.

Addentrandosi nel tessuto urbano, dopo aver costeggiato il castello e la cattedrale, dopo aver percorso l’attuale via delle Crociate, aver attraversato l’arco angioino, si raggiunge la piazza di San Nicola.

La basilica, espressione per eccellenza dell’architettura romanica pugliese, s’impone maestosa con la sua severa e candida facciata tripartita, movimentata unicamente da archetti ciechi che si rincorrono sino al timpano del portale principale e, sul registro superiore, dal lieve gioco chiaroscurale di monofore e bifore.

I solidi volumi del corpo di fabbrica sono pienamente percepibili grazie alle profonde arcate che corrono sul perimetro laterale dell’edificio.

Il registro superiore è alleggerito ai lati dall’elegante scorrere degli esaforati che, come dei ricami di pietra, permettono alla luce di creare intriganti effetti plastici.

Una struttura perfettamente unitaria dall’aspetto fortilizio che rimanda, nell’impianto del prospetto affiancato da due possenti torri, alle grandi cattedrali romaniche del Nord, ma che non rinuncia a racchiudere entro strutture rettilinee i volumi di cupole e volte, in assonanza con le tecniche costruttive medio-orientali e in omaggio alla lunga tradizione costruttiva pugliese. Per consentire l’afflusso dei pellegrini, che numerosi accorrevano a visitare le reliquie di San Nicola, lungo il perimetro della basilica si aprono cinque portali decorati con sculture che riescono a coniugare la bellezza delle forme con la ricchezza didascalica dei contenuti. Nell’apparato decorativo scultoreo di San Nicola esplode tutta l’energia del romanico pugliese: mondi popolati di monstra, attinti direttamente dai bestiari nordici, convivono con puntuali citazioni classiche, arricchite da motivi di chiara origine islamica, desunti da stoffe e oggetti preziosi che arrivavano sulle coste pugliesi insieme a pellegrini e mercanti.

Si osservi, in particolare, il portale detto dei leoni, che si apre sul fianco sinistro della basilica, proprio sotto il primo degli arconi laterali. Lungo l’archivolto è raccontata, attraverso la scultura, l’epopea dei Normanni, nuovi signori di Bari. Con un ductus di straordinaria felicità narrativa e propagandistica, le raffinate trame dell’arazzo di Bayeux sembrano prendere nuova vita e nuove forme in queste sculture, approdate in città per raccontare le storie dei signori del Nord ai nuovi sudditi meridionali.

Arazzo di Bayeux, XI secolo, oggi esposto al Centre Guillaume-le-Conquérant di Bayeux, particolare.

Bari, Basilica di San Nicola, porta dei leoni, XII secolo, particolare.

Di sapore decisamente più mediterraneo sono invece le sculture dei due buoi stilofori che ornano il protiro del portale centrale della basilica, opera di un anonimo scultore in grado di coniugare motivi della tradizione classica locale con un linguaggio già pienamente romanzo ed europeo.

Da secoli, gli anziani di Bari vecchia raccontano ai viaggiatori che si fermano davanti alla chiesa una leggenda. Quando il corpo del Santo di Myra giunse in città:

i cittadini non erano d’accordo sul luogo dove riporlo. Perciò fu stabilito di prendere dei buoi dalla campagna e di deporre le reliquie in una chiesa da costruirsi lì dove gli animali avessero trasportato il carro. Allora i buoi trassero il carro sul quale era stato posato il santo corpo dalla riva del mare. E la chiesa di San Nicola fu costruita lì, nel mare, donde l’acqua penetra talvolta nella cripta. (A. Adorno, Itinéraire d’Anselme Adorno en Terre Sainte)

In realtà la posizione della basilica nicolaiana, a dispetto della leggenda, non è affatto casuale, ma risponde a precise esigenze simboliche e politiche. La nuova chiesa palatina doveva sorgere laddove sorgeva il palazzo del Catapano, per indicare che adesso il Santo patrono, e con lui i signori normanni che avevano patrocinato la costruzione della chiesa, andavano ad occupare il posto e il ruolo che un tempo era stato dei Bizantini; inoltre la posizione a ridosso del mare doveva enfatizzare lo stretto rapporto della città con l’Adriatico. Per questo, la zona absidale della basilica, orientata verso il mare, è trattata come fosse una seconda facciata, con un grandissimo finestrone decorato da animali scolpiti. Si tratta di elefanti e sfingi, che oltre ai loro significati simbolici, alludono a quell’Oriente verso cui si dirigevano o da cui facevano ritorno pellegrini e mercanti che si imbarcavano a Bari sotto la protezione di San Nicola.

Bari, Basilica di San Nicola, Sfinge scolpita sul finestrone absidale, particolare.

L’interno della chiesa presenta una pianta a croce latina con i bracci del transetto contratti; è suddivisa in tre navate da grandissime colonne di importazione orientale, ornate da capitelli scolpiti che si alternano a pilastri. Successivi alla prima fase di edificazione sono invece gli arconi trasversali.

Nella zona presbiterale, i viaggiatori potranno ammirare la cosiddetta cattedra dell’abate Elia. La seduta, destinata all’alto prelato, è interamente scolpita in marmo da un artista che è stato in grado di coniugare la raffinatezza bizantina, nel trattamento delle parti decorative, con l’espressionismo romanico dei telamoni reggi-cattedra, ritratti con il volto deformato dallo sforzo e dal peso del peccato.

Bari, basilica di San Nicola, interno, cattedra dell’abate Elia

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Bari, basilica di San Nicola, interno, cattedra dell’abate Elia, particolare.

In questa solenne cornice romanica si confrontano, in un suggestivo contrasto, la raffinata art de cour trapiantata dall’Ile de France dagli angioini, che succedettero ai Normanni e agli Svevi alla guida della città, e il fasto orientale, dal sapore tutto bizantino, della cripta gremita di arredi sontuosi ed icone. (M. S. Calò Mariani, L’immagine ed il culto di san Nicola a Bari e in Puglia)

Si accede alla cripta tramite una scalinata posta sulla navata laterale che conduce il fedele in una dimensione mistica, grazie alla profusione di icone, lampade, arredi in metalli preziosi, tessuti e ricami che concorrono a rendere estremamente suggestiva la vista delle reliquie di San Nicola, qui conservate.

Bari, basilica di San Nicola, cripta. (GNU Free Documentation License)

Bari, basilica di San Nicola, cripta, colonna dell’inferriata.

La cripta non è solo lo spazio del sacro, ma è anche lo spazio del racconto e della leggenda, tutto concorre a indurre il devoto al raccoglimento e il viaggiatore all’ascolto, come quando si scorge, in un angolo, un’antica colonna circondata da un’inferriata. Anche su questo oggetto, nel corso dei secoli, si sono tramandate numerose leggende che hanno contribuito ad accrescere la devozione dei baresi e dei pellegrini per San Nicola. Si racconta che, dopo il Concilio di Nicea, Nicola si recò a Roma a rendere omaggio a papa Silvestro. Nella città capitolina, dinanzi alla casa in demolizione di una donna di facili costumi, ammirò una bella colonna e la sospinse nel Tevere da dove miracolosamente giunse sino al porto di Myra, sua città natale. Al suo ritorno da Roma la collocò nella cattedrale della sua città. Si narra che così come miracolosamente la colonna aveva raggiunto la città anatolica, nuovamente la si vide galleggiare nelle acque di Bari, quando le reliquie del Santo giunsero in città. Nessuno tuttavia riusciva a prenderla. La notte precedente la riposizione delle reliquie di San Nicola nella nuova chiesa a lui consacrata, i baresi udirono suonare le campane e accorsero nei pressi della basilica e videro un Santo vescovo che, con due angeli, poneva una colonna dal colore rosa a completamento dell’opera. (Cfr. A. Beatillo, Historia delle vita, miracoli, traslatione, e gloria dell’Illustrissimo confessore di Christo s.Nicolò il Magno, arcivescovo di Mira, patrone, e protettore della città di Bari)

Da allora, quella colonna, che si dice abbia viaggiato da Oriente a Occidente, esattamente come il culto di San Nicola, è diventata oggetto di venerazione per le popolazioni locali, per i pellegrini e in particolare per donne in età da marito.

Molte opere d’arte provenienti dalla Basilica sono oggi conservate nel Museo Nicolaiono che si trova nella città vecchia, poco distante dalla chiesa, in Strada Vanese 3.

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La Cattedrale di Bari

La Cattedrale di Bari di San Sabino (Di Berthold Werner, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=61448663)

La Cattedrale di Bari, intitolata a San Sabino e alla Vergine Odegitria, cioè colei che indica il cammino, sembra emergere a fatica tra i rumorosi vicoli della città vecchia, quasi nascosta nel suo ventre e dalla fama della più nota e venerata chiesa di S. Nicola. A imporre la sua presenza ci pensa la torre campanaria, l’unica che svetta così alta tra i tetti bassi del borgo e che, da secoli, rimane inconfondibile punto di riferimento nello skyline urbano.

Sulla bianca facciata tripartita e all’ interno è possibile leggere la sua lunga storia, che ha inizio in tempi remoti nel succorpo, impreziosito da bellissimi mosaici paleocristiani, e che si snoda per secoli, sino alle aggiunte di epoca barocca, evidenti nella cripta e nelle statue dall’accentuata teatralità, che arricchiscono il portale principale.

L’edifico ha assunto l’aspetto attuale tra il 1170 e il 1178, quando fu completamente ricostruito, dopo essere stato raso al suolo per volere di Guglielmo il Malo, in seguito alla rivolta dei baresi ai nuovi signori normanni.

La facciata è suddivisa da lesene in tre parti che riproducono all’esterno la suddivisione delle navate interne. Le sommità degli spioventi presentano un coronamento ad archetti pensili poggianti su mensole scolpite con serpenti e animali, attinti direttamente dal ricco e fantasioso bestiario medievale.

Un grande rosone, decorato da statue di mostri, draghi, serpenti e figure grottesche, si apre sul registro superiore in corrispondenza con il portale principale. La zona absidale è interamente nascosta all’esterno da un muro di controfacciata che conserva un meraviglioso finestrone, considerato uno dei capolavori della scultura romanica dell’XII secolo. Questa ampia apertura centinata, incorniciata da un baldacchino poggiante su colonne pensili, è esuberantemente scolpita con motivi vegetali e animali di origine orientale, tra cui spicca una misteriosa arpia.

http://www.medioevo.org/artemedievale/Images/Puglia/Bari/IMG_6943.JPG

Bari, Cattedrale, controfacciata, finestrone absidale.

http://www.medioevo.org/artemedievale/Images/Puglia/Bari/Bari29.jpg

Bari, Cattedrale, controfacciata, particolare del finestrone absidale

La fantasiosa decorazione plastica romanica dell’esterno contrasta con l’atmosfera austera e mistica dell’interno, dove il silenzio delle profonde navate è ritmato solo dal solenne gioco dei colonnati, a cui fanno da contrappunto le eleganti trifore dei matronei superiori.

Bari, cattedrale di San Sabino, interno. (Foto di Porcullus Marek Postawka – Opera propria, CC BY 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=3526917)

Cinque metri sotto il livello della Cattedrale si conserva il nucleo più antico della chiesa che risale al VI secolo. Si tratta di una basilica paleocristiana che ha conservato quasi intatto il suo fascino antico. L’ambiente, originariamente diviso in tre navate, oggi conserva le basi su cui poggiavano le colonne originarie e un mosaico pavimentale decorato con motivi geometrici ed elementi vegetali e zoomorfi. È ancora leggibile un’iscrizione che ricorda di come un tale Timoteo, per adempiere a un voto, provvide a proprie spese alla decorazione musiva del pavimento.

Oggetto di particolare devozione è l’icona della Madonna Odegitria, conosciuta anche come Madonna di Costantinopoli, conservata nella cripta. La tradizione narra che la tavola sia giunta a Bari da Costantinopoli, nell’VIII secolo, quando durante il periodo iconoclasta, l’imperatore d’Oriente aveva ordinato la distruzione di tutte le immagini sacre. In realtà si tratta di una tavola del XVI secolo che riproduce il tipo iconografico, caro alla tradizione bizantina, della Vergine in trono che indica con la mano il figlio e, così facendo, mostra la via per il cielo che è Cristo.

Nel corso del XVIII secolo la tavola fu modificata e, secondo il gusto e la sensibilità estetica dell’epoca, fu protetta e incastonata in una fastosa riza argentea.

Icona della Vergine Odegitria

(Foto di Sailko – Opera propria, CC BY 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=58901057)

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