Il Castello Aragonese Di Taranto
Il Castello aragonese di Taranto, chiamato Castel Sant’Angelo, è un bellissimo maniero rinascimentale, eretto su di un antico avvallamento naturale all’estremità dell’isoletta su cui sorge la Città Vecchia. L’aspetto attuale è quello che gli è stato conferito in epoca aragonese. Il Castello fu costruito su una precedente struttura difensiva, la cui fase architettonica più antica è quella bizantina. Grazie a documenti d’archivio del XIII secolo è possibile ricostruirne l’aspetto medievale: un forte dotato di torri quadrangolari pensato per la difesa “piombante”, cioè per il lancio di frecce o altro materiale dalle strette feritoie che si aprivano lungo i bastioni.
Nella seconda meta del XV secolo, quando la tecnologia bellica aveva completamente rivoluzionato la maniera di combattere e difendersi, grazie al largo impiego delle artiglierie e delle armi da fuoco, il Castello si rivelò inadeguato e per questo fu necessario modificarne le caratteristiche architettoniche. Sembra oramai certo che fu il grande architetto Francesco di Giorgio Martini a realizzare i disegni alla base del nuovo impianto del Castello di Taranto. La sua architettura è basata su precise regole geometriche-matematiche che rimandano all’universo culturale, pienamente rinascimentale, dell’architetto senese: quattro torrioni cilindrici sono uniti tra loro da larghe ed eleganti cortine che formano un quadrilatero. Nel corso dei secoli, l’impianto rinascimentale è stato modificato, con l’aggiunta di altre strutture difensive e l’ingrandimento dell’area del fossato. Infine il maniero fu ulteriormente manomesso nel secolo scorso, per trasformarlo in carcere e per far posto alla costruzione del ponte girevole che collega Taranto nuova a Taranto vecchia. Dal 1887 è sede della Marina Militare Italiana, che attualmente garantisce visite guidate gratuite giornaliere all’interno del Castello.
Taranto, Castello aragonese, (foto di Livioandronico2013 – Opera propria, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=30324730)
Ufficio Informazioni: 0997753438 Email: infocastelloaragonese@libero.it
Il Museo Marta Di Taranto
Via Cavour 10,
aperto tutti i giorni dalle h. 8.30 alla h.19.30, ultimo ingresso h.19.00
Il Museo Nazionale Archeologico di Taranto, MArTA, è sicuramente una delle eccellenze museali italiane. Fu istituito nel 1887 e ha sede, fin da allora, nell’ex Convento del XVIII dei Frati Alcantarini. Poco rimane dell’edificio originario che si sviluppa intorno al perimetro porticato del chiostro.
I numerosi reperti, che emergevano dal sottosuolo di Taranto, conobbero una prima sistemazione sul finire del XIX secolo, a cui sono seguiti nuovi riallestimenti, volti a organizzare, in maniera museograficamente coerente, il ricco patrimonio archeologico qui conservato. Nel corso degli anni, il museo è stato temporaneamente chiuso al pubblico, smantellato e ri-assemblato. Al termine di un lungo percorso di lavori di adeguamento e ristrutturazioni, nel dicembre del 2007, è stato inaugurato il nuovo museo di Taranto, ribattezzato ufficialmente Marta.
Il piano terra ospita gli spazi per le mostre temporanee, mentre nei piani superiori è allestita la ricchissima collezione permanente.
Il percorso espositivo, strettamente legato ai riferimenti territoriali, è organizzato per aree tematiche connesse ai diversi aspetti della vita e della storia dell’area tarantina, all’interno di ampie fasce cronologiche.
Il visitatore potrà ammirare numerosi vasi attici rossi e neri decorati con storie mitologiche; potrà osservare eccezionali sculture in bronzo e marmo e incantarsi difronte a magnifici gioielli in oro e pietre dure, frutto della raffinatissima arte degli orafi locali e testimonianza dello splendore e dell’opulenza raggiunta da questa società.
Testa di donna, IV secolo a. C(Foto di Maria – Flickr, CC BY-SA 2.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=20263809)
Orecchino in oro, IV secolo a.C. (foto di Maria – Flickr, CC BY-SA 2.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=20263809)
I Trulli
Trulli di Alberobello (foto di Berthold Werner, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=60159414)
Il trullo, lontano erede del modello costruttivo squisitamente mediterraneo del thòlos, con la sua riconoscibile forma tronco-conica, è una costruzione realizzata a secco che nasce dalla sapienza e dall’ingegno contadino. Per rendere coltivabile il pietroso terreno calcareo della zona, gli agricoltori erano costretti a rimuovere gli abbondanti strati di roccia presenti nel suolo e decisero di utilizzarli come materiale da costruzione. Anche il viaggiatore moderno quando arriva ad Alberobello ha l’impressione di trovarsi in un luogo fuori dal tempo e in una dimensione magica, eppure queste costruzioni sono relativamente recenti e nascono, non tanto dalla magia, ma per ragioni ben più pratiche, ad essere precisi per ragioni di natura fiscale! I trulli della Murgia pugliese sono indissolubilmente legati alla fama e alla leggenda nera del conte di Conversano, Gian Girolamo Acquaviva d’Aragona, conosciuto come il Guercio di Puglia. Il temuto feudatario, noto per la sua spregiudicatezza e per una politica molto ambiziosa, amministrava nel XVII secolo questi territori in nome dei Viceré spagnoli. Vuole la tradizione locale che il conte, avido di profitti, contravvenendo al divieto regio di costruire nuove città, avesse permesso l’edificazione dei trulli, per meglio sfruttare le risorse agricole di quei terreni e il lavoro dei contadini. Si racconta che in occasione delle visite regie di controllo, il Guercio facesse abbattere in tutta fretta i coni, costruiti a secco e quindi facilmente demolibili, per poi farli ricostruire, non appena ‘l’accertamento fiscale’ spagnolo fosse concluso.
Una delle caratteriste dei trulli è che ognuno reca in cima, oltre ad un pinnacolo scolpito, anche uno strano disegno, si tratta di simboli di diversa natura, alcuni rimandano a millenarie tradizioni pagane o esoteriche, altri invece alludono all’iconografia cristiana. Vengono realizzati con il latte della calce direttamente sulle chiancarelle, cioè le pietre che compongono il cono del tetto. Questi disegni servivano non solo a distinguere le famiglie proprietarie dei trulli, ma assunsero una valenza apotropaica, si credeva che allontanassero il malocchio e propiziassero un buon raccolto. I simboli più comuni e facilmente riconoscibili sono: il candeliere ebraico, il simbolo del Sole-Cristo, il cuore trafitto di Maria che allude alla Passione. Altri simboli pagani molto comuni sui trulli di Alberobello sono quelli del Toro, di Giove e di Venere.
Fondazione Museo Pino Pascali Di Polignano
Fuori dal centro storico di Polignano, in una panoramica strada che si affaccia sul mare, difronte allo scoglio noto come lo scoglio dell’Eremita, nei luminosi ambienti del ristrutturato ex-mattatoio comunale ha sede la Fondazione Museo Pino Pascali.
Il museo, oltre ad esposizioni temporanee di arte contemporanea, ospita una collezione permanente del geniale e controverso artista polignanese Pino Pascali. L’artista, morto alla giovane età di 33 anni nel 1968, era già diventato una delle personalità più di spicco del panorama artistico romano degli anni Sessanta del Novecento. Aveva aderito all’Arte Povera declinandola, nelle sue stravaganti installazioni, in toni ludici e provocatori. Nelle sue opere è possibile cogliere anche numerose suggestioni legate ai colori e ai paesaggi pugliesi: mare, terra, campi e animali, reinterpretati secondo la personalissima poetica pascaliana, sono i soggetti prediletti dell’artista.
FONDAZIONE PINO PASCALI
MUSEO DI ARTE CONTEMPORANEA
VIA PARCO DEL LAURO 119
70044 POLIGNANO A MARE (BA)
TEL: +39 080 4249534 | +39 3332091920
ORARIO INVERNALE
Tutti i giorni dalle 10 alle 13
e dalle 16 alle 21
lunedì chiuso
(Dal 10 luglio al 2 settembre)
Martedì-Domenica: 11.00-13.00 / 15.00-22.00
Chiuso il lunedì
La biglietteria chiude mezz’ora prima del museo – biglietto 5 euro più eventuali riduzioni a chi ne ha diritto. Ingresso gratuito la prima domenica del mese.
Il Castello Svevo
Il Castello Svevo di Bari, con la sua poderosa e severa mole, sorge all’estremo margine della città vecchia, dove un tempo fungeva da perno dell’antica cinta muraria.
Bari, Castello Svevo (foto di Carlo Dani – Opera propria, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=77189036)
Il castello di Bari è un maniero che, come in un gioco di scatole cinesi, ne contiene al suo interno almeno altri due. Evidenze archeologiche hanno infatti mostrato la presenza di strutture difensive di epoca romana, sui cui resti fu edificato un Kastron bizantino e altri edifici con funzioni abitative. In questo sito fu Ruggero II di Sicilia, nel 1130, ad ordinare a maestranze saracene di innalzare il castello. I baresi non amarano mai questo luogo, simbolo così evidente del potere regio, ed infatti, più volte, fu demolito dalla popolazione nel corso dei secoli. Con l’arrivo degli Svevi, e con la politica di incastellamento voluta dall’imperatore Federico II, nella prima metà del XIII secolo, fu recuperato l’impianto difensivo normanno, gravemente danneggiato nel corso delle ribellioni popolari del secolo precedente. Il possente quadrilatero, a pianta trapezioidale munito di torri angolari realizzate a bugne, fu ingentilito da monofore e bifore e da un meraviglioso portale di gusto gotico-federiciano, scolpito con figure antromorfe e zoomorfe, motivi mitologici e simboli chiaramente araldici, ispirati all’iconografia imperiale. Sul concio della chiave di volta campeggia un’aquila che serra tra i suoi artigli un leoncino, simbolo ricorrente nell’architettura federiciana.
A questa stessa epoca e sensibilità estetica, risale anche il vestibolo, cui si accede superato il portale. Questo ambiente presenta una copertura con volte a crociera, sorrette da colonne e paraste dai capitelli finemente scolpiti: un mondo di pietra in cui il naturalismo gotico federiciano convive con suggestioni islamiche. È noto che tra le maestranze al servizio dell’imperatore ci fossero molti artisti, artigiani e scalpellini arabi. Proprio nel castello barese, a testimonianza del melting-pot culturale promosso dal sovrano svevo, lavorò, insieme ai lapicidi Finarro di Canosa e Mele da Stignano, un certo Ismael, che ha lasciato la sua firma su uno dei capitelli.
Agli Svevi succedettero gli Angioini che vollero restaurare la zona nord del castello e le sale di rappresentanza, nonostante ciò i nuovi sovrani non soggiornarono mai in questa dimora, che rimase abbandonata sino all’arrivo, nel 1524, di Isabella Sforza e sua figlia Bona. Sono loro le vere signore del castello, che ne fecero una lussuosa dimora rinascimentale, circondata da una rinnovata cinta muraria. All’interno, loggiati, scale, saloni e affreschi abbellirono la severa struttura fortilizia. Con la morte di Bona Sforza, il castello di Bari non ha più conosciuto fasi di splendore, ma fu lasciato cadere in rovina.
Il castello Svevo non è solo un edificio dal grande pregio storico e architettonico, ma tra le sue antiche mura riecheggiano ancora le storie legate a un leggendario incontro tra San Francesco e Federico II. Non suffragato da alcun documento, è infatti l’episodio che racconta di come, proprio nelle stanze del maschio barese, l’imperatore Federico II sottopose il poverello d’Assisi alla prova della tentazione della carne.
La Basilica Di San Nicola
Bari, basilica di San Nicola (foto di Berthold Werner, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=61405024)
La basilica di San Nicola, voluta dall’abate benedettino Elia nel 1089, fu consacrata nel 1197. Il colto abate volle realizzare un edificio che in sé riassumesse numerose funzioni e diversi significati. Doveva essere una chiesa di pellegrinaggio, la chiesa madre del popolo dei baresi e un punto di riferimento per chi giungeva dal mare e immediatamente si confrontava con la sagoma svettante delle sue torri.
Addentrandosi nel tessuto urbano, dopo aver costeggiato il castello e la cattedrale, dopo aver percorso l’attuale via delle Crociate, aver attraversato l’arco angioino, si raggiunge la piazza di San Nicola.
La basilica, espressione per eccellenza dell’architettura romanica pugliese, s’impone maestosa con la sua severa e candida facciata tripartita, movimentata unicamente da archetti ciechi che si rincorrono sino al timpano del portale principale e, sul registro superiore, dal lieve gioco chiaroscurale di monofore e bifore.
I solidi volumi del corpo di fabbrica sono pienamente percepibili grazie alle profonde arcate che corrono sul perimetro laterale dell’edificio.
Il registro superiore è alleggerito ai lati dall’elegante scorrere degli esaforati che, come dei ricami di pietra, permettono alla luce di creare intriganti effetti plastici.
Una struttura perfettamente unitaria dall’aspetto fortilizio che rimanda, nell’impianto del prospetto affiancato da due possenti torri, alle grandi cattedrali romaniche del Nord, ma che non rinuncia a racchiudere entro strutture rettilinee i volumi di cupole e volte, in assonanza con le tecniche costruttive medio-orientali e in omaggio alla lunga tradizione costruttiva pugliese. Per consentire l’afflusso dei pellegrini, che numerosi accorrevano a visitare le reliquie di San Nicola, lungo il perimetro della basilica si aprono cinque portali decorati con sculture che riescono a coniugare la bellezza delle forme con la ricchezza didascalica dei contenuti. Nell’apparato decorativo scultoreo di San Nicola esplode tutta l’energia del romanico pugliese: mondi popolati di monstra, attinti direttamente dai bestiari nordici, convivono con puntuali citazioni classiche, arricchite da motivi di chiara origine islamica, desunti da stoffe e oggetti preziosi che arrivavano sulle coste pugliesi insieme a pellegrini e mercanti.
Si osservi, in particolare, il portale detto dei leoni, che si apre sul fianco sinistro della basilica, proprio sotto il primo degli arconi laterali. Lungo l’archivolto è raccontata, attraverso la scultura, l’epopea dei Normanni, nuovi signori di Bari. Con un ductus di straordinaria felicità narrativa e propagandistica, le raffinate trame dell’arazzo di Bayeux sembrano prendere nuova vita e nuove forme in queste sculture, approdate in città per raccontare le storie dei signori del Nord ai nuovi sudditi meridionali.
Arazzo di Bayeux, XI secolo, oggi esposto al Centre Guillaume-le-Conquérant di Bayeux, particolare.
Bari, Basilica di San Nicola, porta dei leoni, XII secolo, particolare.
Di sapore decisamente più mediterraneo sono invece le sculture dei due buoi stilofori che ornano il protiro del portale centrale della basilica, opera di un anonimo scultore in grado di coniugare motivi della tradizione classica locale con un linguaggio già pienamente romanzo ed europeo.
Da secoli, gli anziani di Bari vecchia raccontano ai viaggiatori che si fermano davanti alla chiesa una leggenda. Quando il corpo del Santo di Myra giunse in città:
i cittadini non erano d’accordo sul luogo dove riporlo. Perciò fu stabilito di prendere dei buoi dalla campagna e di deporre le reliquie in una chiesa da costruirsi lì dove gli animali avessero trasportato il carro. Allora i buoi trassero il carro sul quale era stato posato il santo corpo dalla riva del mare. E la chiesa di San Nicola fu costruita lì, nel mare, donde l’acqua penetra talvolta nella cripta. (A. Adorno, Itinéraire d’Anselme Adorno en Terre Sainte)
In realtà la posizione della basilica nicolaiana, a dispetto della leggenda, non è affatto casuale, ma risponde a precise esigenze simboliche e politiche. La nuova chiesa palatina doveva sorgere laddove sorgeva il palazzo del Catapano, per indicare che adesso il Santo patrono, e con lui i signori normanni che avevano patrocinato la costruzione della chiesa, andavano ad occupare il posto e il ruolo che un tempo era stato dei Bizantini; inoltre la posizione a ridosso del mare doveva enfatizzare lo stretto rapporto della città con l’Adriatico. Per questo, la zona absidale della basilica, orientata verso il mare, è trattata come fosse una seconda facciata, con un grandissimo finestrone decorato da animali scolpiti. Si tratta di elefanti e sfingi, che oltre ai loro significati simbolici, alludono a quell’Oriente verso cui si dirigevano o da cui facevano ritorno pellegrini e mercanti che si imbarcavano a Bari sotto la protezione di San Nicola.
Bari, Basilica di San Nicola, Sfinge scolpita sul finestrone absidale, particolare.
L’interno della chiesa presenta una pianta a croce latina con i bracci del transetto contratti; è suddivisa in tre navate da grandissime colonne di importazione orientale, ornate da capitelli scolpiti che si alternano a pilastri. Successivi alla prima fase di edificazione sono invece gli arconi trasversali.
Nella zona presbiterale, i viaggiatori potranno ammirare la cosiddetta cattedra dell’abate Elia. La seduta, destinata all’alto prelato, è interamente scolpita in marmo da un artista che è stato in grado di coniugare la raffinatezza bizantina, nel trattamento delle parti decorative, con l’espressionismo romanico dei telamoni reggi-cattedra, ritratti con il volto deformato dallo sforzo e dal peso del peccato.
Bari, basilica di San Nicola, interno, cattedra dell’abate Elia
Bari, basilica di San Nicola, interno, cattedra dell’abate Elia, particolare.
In questa solenne cornice romanica si confrontano, in un suggestivo contrasto, la raffinata art de cour trapiantata dall’Ile de France dagli angioini, che succedettero ai Normanni e agli Svevi alla guida della città, e il fasto orientale, dal sapore tutto bizantino, della cripta gremita di arredi sontuosi ed icone. (M. S. Calò Mariani, L’immagine ed il culto di san Nicola a Bari e in Puglia)
Si accede alla cripta tramite una scalinata posta sulla navata laterale che conduce il fedele in una dimensione mistica, grazie alla profusione di icone, lampade, arredi in metalli preziosi, tessuti e ricami che concorrono a rendere estremamente suggestiva la vista delle reliquie di San Nicola, qui conservate.
Bari, basilica di San Nicola, cripta. (GNU Free Documentation License)
Bari, basilica di San Nicola, cripta, colonna dell’inferriata.
La cripta non è solo lo spazio del sacro, ma è anche lo spazio del racconto e della leggenda, tutto concorre a indurre il devoto al raccoglimento e il viaggiatore all’ascolto, come quando si scorge, in un angolo, un’antica colonna circondata da un’inferriata. Anche su questo oggetto, nel corso dei secoli, si sono tramandate numerose leggende che hanno contribuito ad accrescere la devozione dei baresi e dei pellegrini per San Nicola. Si racconta che, dopo il Concilio di Nicea, Nicola si recò a Roma a rendere omaggio a papa Silvestro. Nella città capitolina, dinanzi alla casa in demolizione di una donna di facili costumi, ammirò una bella colonna e la sospinse nel Tevere da dove miracolosamente giunse sino al porto di Myra, sua città natale. Al suo ritorno da Roma la collocò nella cattedrale della sua città. Si narra che così come miracolosamente la colonna aveva raggiunto la città anatolica, nuovamente la si vide galleggiare nelle acque di Bari, quando le reliquie del Santo giunsero in città. Nessuno tuttavia riusciva a prenderla. La notte precedente la riposizione delle reliquie di San Nicola nella nuova chiesa a lui consacrata, i baresi udirono suonare le campane e accorsero nei pressi della basilica e videro un Santo vescovo che, con due angeli, poneva una colonna dal colore rosa a completamento dell’opera. (Cfr. A. Beatillo, Historia delle vita, miracoli, traslatione, e gloria dell’Illustrissimo confessore di Christo s.Nicolò il Magno, arcivescovo di Mira, patrone, e protettore della città di Bari)
Da allora, quella colonna, che si dice abbia viaggiato da Oriente a Occidente, esattamente come il culto di San Nicola, è diventata oggetto di venerazione per le popolazioni locali, per i pellegrini e in particolare per donne in età da marito.
Molte opere d’arte provenienti dalla Basilica sono oggi conservate nel Museo Nicolaiono che si trova nella città vecchia, poco distante dalla chiesa, in Strada Vanese 3.
La Chiesa Della Vallisa
Bari Vecchia, chiesa della Vallisa, (foto di Gigi Scorcia is licensed under CC BY 2.0 )
<p style=”font-size: 0.9rem;font-style: italic;”><a href=”https://www.flickr.com/photos/7994827@N03/2847030066″>”in giro di domenica con 38°C all’ombra”</a><span>by <a href=”https://www.flickr.com/photos/7994827@N03″>Gigi Scorcia</a></span> is licensed under <a href=”https://creativecommons.org/licenses/by/2.0/?ref=ccsearch&atype=html” style=”margin-right: 5px;”>CC BY 2.0</a><a href=”https://creativecommons.org/licenses/by/2.0/?ref=ccsearch&atype=html” target=”_blank” rel=”noopener noreferrer” style=”display: inline-block;white-space: none;opacity: .7;margin-top: 2px;margin-left: 3px;height: 22px !important;”><img style=”height: inherit;margin-right: 3px;display: inline-block;” src=”https://search.creativecommons.org/static/img/cc_icon.svg” /><img style=”height: inherit;margin-right: 3px;display: inline-block;” src=”https://search.creativecommons.org/static/img/cc-by_icon.svg” /></a></p>
La chiesa della Vallisa è una piccola basilica romanica, fatta costruire dalle comunità di mercanti Ravellesi e Amalfitani presenti in città nel Medioevo. Il nome Vallisa deriva infatti dalla parola dialettale Raveddise, cioè il termine con cui i baresi chiamavano i mercanti di Ravello. Le tre absidi semicircolari, che caratterizzano il retro della chiesa, si affacciano in piazza del Ferrarese.
L’edificio, risalente all’XI secolo, ha la sua entrata in strada Vallisa, uno dei piccoli e caratteristici vicoli che intersecano il centro storico di Bari Vecchia. La facciata è preceduta da un profondo portico a tre arcate. L’interno presenta un semplice impianto basilicale a tre navate terminanti in altrettante piccole absidi. Questo luogo, molto diverso da come doveva presentarsi in passato, ha conservato un fascino austero e mistico. Oggi è una chiesa sconsacrata adibita ad auditorium diocesano nel quale hanno luogo numerose manifestazioni musicali.
La Pinacoteca Corrado Giaquinto
La collezione della Pinacoteca di Bari ospita, oltre a pregiati reperti di epoca bizantina e romanica, numerosi dipinti veneti di Antonio e Bartolomeo Vivarini, Giovanni Bellini, Paris Bordon, Paolo Veronese, Jacopo Tintoretto; dipinti napoletani o di scuola napoletana dei secc. XVI-XVIII tra cui opere di Paolo Finoglio, Maestro degli annunci ai pastori, Andrea Vaccaro, Luca Giordano, Giuseppe Bonito, Lorenzo De Caro, Francesco De Mura, Fedele Fischetti, Domenico Mondo. La Pinacoteca vanta inoltre una prestigiosa raccolta di pittura dell’Ottocento, con tele di Giuseppe De Nittis, Francesco Netti, Domenico Morelli, Giovanni Boldini, Teofilo Patini Morandi, De Chirico, Sironi. Oltre alla collezione permanente, le sue sale accolgono esposizioni e mostre temporanee.
Per info: Via Spalato 19-Lungomare Nazario Sauro 27, tel. 0805412420. Chiuso il lunedì.