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Introduzione a N. Tommaseo

A cura di R. Nicolì

Si propone, in questa edizione digitale prodotta per la Biblioteca di POLYSEMI, una campionatura significativa – anche se in qualche misura arbitraria – delle lettere inviate da Niccolò Tommaseo[1], durante il periodo trascorso a Corfù, dove si trasferì, nell’agosto del 1849, dopo la caduta della Repubblica veneziana di cui era stato tra i più accesi difensori. Nell’isola lo scrittore rimase fino al maggio del 1854. Si tratta del suo “secondo esilio”[2], come egli intitolerà i tre volumi delle memorie di quegli anni affidati nel 1862 all’editore milanese Francesco Sanvito. Da quella edizione sono state selezionate e trascritte le parti che qui si presentano.

Va detto che si trattò di un esilio volontario, il luogo fu scelto, come egli stesso afferma, con consapevolezza e slancio emozionale: «E già era una prova d’affetto anco il dimorare tra voi per quattr’anni potendo scegliere il soggiorno d’Inghilterra, di Svizzera, di Francia, del Piemonte, dove ho conoscenti e amici sinceri, che per quello spazio di quattr’ anni non cessarono d’invitarmi a venire.».[3]

Niccolò Tommaseo visse con particolare coinvolgimento la storia dell’indipendenza greca, considerando la Grecia un’altra patria di cui amò la lingua, la storia, lo spirito, il popolo ed ogni sua vicenda. Ben prima di questo lungo periodo lì trascorso, aveva infatti stretto e coltivato relazioni amicali con letterati e studiosi greci, rapporti genuinamente impostati sulla sintonia intellettuale e sulla reciproca e costruttiva influenza e, dopo la sua esperienza corfiota, mise a frutto i suoi studi e le sue ricerche, con la sua traduzione dei canti popolari greci,[4] massima espressione del suo amore per quella terra, contribuendo alla diffusione della cultura greca in Italia.

I rapporti tra intellettuali italiani e intellettuali greci, molti dei quali provenivano dalle Isole Ionie, d’altro canto, affondavano le radici nel rinnovato clima illuministico del secolo precedente: le città universitarie ed i poli editoriali più attivi (si pensi a Venezia, Padova, Pavia, Milano) costituivano luoghi d’incontro e confronto in cui trovavano spazio le discussioni e le pubblicazioni sulle conflittuali vicende greche. All’inizio del XIX, nella cerchia più attiva si inseriscono Andreas Mustoxidis, Dionisios Solomos, Ioannis Karasutsas, Dimitrios Paparrighopulos, Andrea Calvo e, tra gli italiani, Ugo Foscolo e Niccolò Tommaseo.

Nel 1821, allo scoppio della rivoluzione greca contro il dominio turco e la guerra di liberazione della Grecia, l’Europa colta si mobilitò non solo fornendo appoggi di natura finanziaria, ma anche orientando l’opinione pubblica con opere piene di ammirazione per l’eroismo del popolo greco. Dopo il fallimento dei moti del ‘20-’21 in Piemonte e nel Regno delle due Sicilie molti italiani cercarono di attuare in Grecia la loro rivoluzione irrealizzata, traslando sulle vicende greche aspirazioni e ideali e creando i presupposti per un ancor più forte sodalizio fra intellettuali greci e italiani, come Ippolito Nievo, asserisce ne Le Confessioni d’un Italiano: «Ecco ch’io ho diviso il mio cuore fra le due patrie più grandi e sventurate che uomo mai possa sortire nascendo. … A Corfù s’imbarcarono parecchi Italiani fuggiti da Napoli e dal Piemonte che si proponevano di versar per la Grecia il sangue che non avean potuto spargere per la propria patria.».[5]

Gli esuli che giungevano in Grecia avevano un’immagine idealizzata della terra che li avrebbe accolti: quella che era stata loro presentata dal movimento filellenico e dagli esponenti politici del Risorgimento, ma anche dalla letteratura italiana neoclassica e romantica. L’Italia necessitava allora di un modello di lotta nazionale e all’ammirazione per lo splendore dell’antica Grecia, si aggiunse l’idealizzazione dell’eroismo moderno del popolo greco. Episodi come la sortita di Missolungi, il massacro di Chios, la lotta di Souli contro il dispotismo e la tirannia, la battaglia navale di Navarino, l’instaurazione della monarchia bavarese, unitamente alle singole vicende degli eroi della rivolta di liberazione greca come Botsaris, Rigas, Canaris, Byron, Santarosa, quest’ultimo dedicatario degli Scritti sulle Isole Ionie di Foscolo,[6] dominarono la produzione letteraria patriottica nel corso della prima metà dell’Ottocento.

Quasi trent’anni dopo, quando Tommaseo si stabilisce a Corfù, la lotta per l’indipendenza greca ed il Risorgimento italiano sono ancora più distintamente segnati da interazioni e solidarietà.[7]

Al contrario degli esuli del 1820/21, in gran parte di estrazione aristocratica, la nuova ondata di italiani verso la Grecia è costituita in larga parte da borghesi, molti erano avvocati o medici, moltissimi letterati invisi al governo austriaco. La maggior parte di loro sceglie di fermarsi nelle Isole Ionie, mentre il resto si stabilisce nel neonato Stato greco. Nelle Isole Ionie che, rimaste indenni dalla dominazione ottomana, avevano fatto parte della Repubblica di Venezia fino alla caduta di quest’ultima, essi sanno di trovare infatti un ambiente estremamente favorevole. Dopo che varie potenze dominanti si erano succedute sulle Isole Ionie nell’Europa instabile di Napoleone, dal 1815 l’Eptaneso era passato sotto protettorato britannico. La lunga presenza degli amministratori mandati da Venezia, il diritto veneto, l’uso, da parte delle famiglie abbienti, di mandare i figli a studiare in Italia, aveva conservato vivo il carattere italiano delle isole ancora alcuni decenni dopo la fine della dominazione veneziana.

Tommaseo, negli anni corciresi, fu sicuramente la figura più autorevole e di maggior spessore intellettuale nella comunità degli esuli, sebbene sia noto che visse in tragiche condizioni economiche e spirituali, mitigate, almeno quest’ultime, dalle nozze con Diamante Pavello.

Il filellenismo italiano aveva intanto assunto caratteri distintivi rispetto agli altri paesi europei e, nel paese d’accoglienza, gli esuli italiani si schieravano dalla parte dei greci insorti contro i turchi, combattendo e offrendo i loro aiuti nell’assistenza medica, nella logistica e nell’amministrazione, ma anche dando il loro contributo alla stampa insurrezionalista. C’è, e va sottolineato, anche un approccio più emotivamente partecipato, rintracciabile nel manifesto interesse alla vita quotidiana, alla religione, alla lingua, alla produzione scientifica e all’attività culturale. In questo senso le lettere del Tommaseo forniscono informazioni preziose, sebbene i destinatari siano omessi secondo una norma editoriale del tempo.

Dei tre volumi, ognuno costituito da più di 400 pagine, la parte più cospicua qui proposta è tratta dal primo volume che più degli altri contiene brevi lettere ed articolate dissertazioni su argomenti generali che abbracciano tematiche diverse, dalle possibili riforme del sistema scolastico delle Isole Ionie alle riforme amministrative, dalla presenza di due riti religiosi differenti in Corfù alle problematiche derivanti dalla loro coesistenza, da considerazioni dotte sul verso del popolo greco e sul dialetto corcirese alla proposta di dare a tutti i popoli slavi una lingua, proposta che prende le mosse dalla considerazioni che la lingua della Grecia, dell’Italia e delle Isole Ionie ha punti di convergenza con le questioni linguistiche del mondo slavo.[8]

Del secondo volume, in cui si affrontano per lo più temi inerenti la politica italiana, lo stato dell’istruzione in Italia e l’esito delle guerre d’insurrezione, si è scelto di proporre due parti considerata più di altre significative e rappresentative del rapporto di Tommaseo con le Isole Ionie: una lettera inviata al popolo di Corfù e un elogio di Solomos, il compositore dell’Inno nazionale greco.

Per quanto concerne la lettera Al popolo di Corfù, che è forse più un vero e proprio appello, la necessità di Tommaseo di rivolgersi al popolo greco che lo ospitava fu determinata da un fraintendimento su un suo testo, dai tratti eloquenti e certo polemici, pubblicato poco prima e inerente i protocolli di giustizia applicati sull’isola. Tommaseo si era pronunciato contro la pena di morte in Supplizio d’un italiano a Corfù,[9] un racconto-inchiesta su un errore giudiziario che ricorda molto la Storia della colonna infame manzoniana e che fu giudicato offensivo anche da numerosi corfioti fino a quel momento ammiratori e sostenitori di Tommaseo. Tra coloro i quali condannarono il racconto c’erano anche amici dell’autore, come Mustoxidis, figura di spicco ed emblema, in quegli anni, del sodalizio culturale tra intellettuali italiani e intellettuali corfioti, e Niccolò Beltrami Manessi, autore di studi storici e futuro primo sindaco di Corfù. Quest’ultimo pubblicò, nel giornale “Εφημερίς των ειδήσεων”, quattro pungenti articoli contro Tommaseo, accusandolo di aver voluto screditare con il suo Supplizio d’un italiano il popolo di Corfù. Tommaseo, nell’appello di cui qui vi proponiamo i passaggi più significativi, tenta di giustificare le intenzioni della sua opera e di dimostrare che i suoi accusatori lo avevano ingiustamente additato come ingrato ospite dell’isola. Lo scrittore fa quanto di più politicamente opportuno: invita i corfioti ad approcciarsi direttamente al suo testo senza il filtro della critica, convinto che le sue parole bastino per smentire ogni accusa.

L’elogio di Solomos è invece un omaggio sincero all’amico, ma implicitamente anche a tutto l’Eptaneso che aveva dato natali a formazione al nobile poeta nazionale greco. Tra i due si era creata un’amicizia destinata a durare anche dopo il ritorno di Tommaseo in Italia e soprattutto rivolta a segnare collaborazioni importanti: come per la raccolta di poesie popolari greche che lo scrittore dalmata realizzò grazie ai materiali che Solomos riuscì a reperire e ad inviargli. Solomos, d’altro canto, si era interessato agli studi di Tommaseo, già un decennio prima del suo soggiorno a Corfù, quando era a Parigi. Per lui, Tommaseo era la persona più adatta per introdurre nell’Università di Atene la grande filologia e, per Tommaseo, Solomos era il maggior poeta greco della sua epoca.

Relativamente al terzo volume, si è scelto di proporre due passaggi rilevanti: l’elogio di Aristotele Valaoriti e la commossa esposizione La Grecia e L’Italia.

I rapporti che unirono Tommaseo ad uno dei più grandi poeti dell’Eptaneso, Aristotelis Valaoriti, oltre che dalle pagine dedicategli nel Secondo esilio, sono ampiamente documentati da una fitta corrispondenza tra i due: la politica dei due paesi, i viaggi e le rispettive situazioni familiari, le osservazioni sulla questione della lingua e sulla poesia ne sono gli argomenti.

Negli anni in cui Tommaseo è in Grecia, è la produzione letteraria a vivere un periodo buio, forse imputabile all’importazione passiva di un romanticismo degenerato. Tutto ciò determinava purtroppo un arresto nel progresso culturale del paese e Tommaseo, che assisteva con i propri occhi a questa degenerazione, cercava di incitare i greci, tra i quali proprio Valaoriti, a rivolgersi alla poesia popolare e di cercare in questa le fonti per una rigenerazione della tradizione culturale e letteraria.

Nell’ultima passo proposto, che chiude la presente edizione digitale, Tommaseo espone con enfasi il parallelismo, ovunque espresso nei volumi, tra la situazione italiana e quella greca. All’ammirazione per l’unità popolare manifestata nella lotta, l’autore associa un auspicio che va oltre le contingenti situazioni di conflitto e che richiama i legami delle radici più profonde e comuni ai due popoli: «Ma che la Grecia, la maggiore sorella all’Italia nella civiltà e nel retaggio delle arti gentili, la Grecia per secoli divisa da noi forse perché divisa in sé stessa, risenta così ardente, come ora fa, l’amore fraterno; questo, al mio vedere, è trionfo più splendido che qualsiasi vittoria guerriera, e segna una nuova età nella vita de’ due Popoli, che della vita dell’intero genere umano è stata e sarà non piccola parte».

AVVERTENZA: le note presenti nel testo sono dell’autore.

  1. Per una dettagliata biografia di Tommaseo, oltre la risorsa on-line di DBI http://www.treccani.it/enciclopedia/niccolo-tommaseo/ , si veda anche R. Ciampini, Vita di Niccolò Tommaseo, Sansoni, Firenze, 1945.

  2. Un primo esilio volontario si svolse in Francia dal 1834 al 1838. L’anno successivo uscì Fede e bellezza, “romanzo d’esilio” frutto di quella esperienza.

  3. Il passo è contenuto nella lettera Al popolo di Corfù, contenuta nel vol. 2 del Secondo esilio e riportata negli stralci più significativi in questa edizione digitale.

  4. N. Tommaseo, Canti popolari toscani, corsi, illirici e greci, dallo stabilimento tipografico enciclopedico di Girolamo Tasso, Venezia 1841-42, 4 voll. (rist. anast. Bologna, Forni, 1973).

  5. I. Nievo, Le Confessioni d’un Italiano, a cura di S. Casini, vol. II, Fondazione P. Bembo-U Guarda Editore, Milano-Parma, 1999, p. 1295.

  6. Anche quest’opera presente nella Biblioteca di POLYSEMI.

  7. Sull’emigrazione politica italiana del Risorgimento cfr: A. Galante Garrone, L’emigrazione politica italiana del Risorgimento, «Rassegna storica del Risorgimento», XLI (1954), pp. 223-242; M. A. Fonzi Columba, L’emigrazione, in AA.VV., Bibliografia dell’età del Risorgimento, in onore di A. Ghisalberti, vol. II, L. S. Olschki, Firenze, 1972, pp. 427-469; C. Ceccuti, Risorgimento greco e filoellenismo nel mondo dell’«Antologia», in AA.VV., Indipendenza e unità nazionale in Italia ed in Grecia. Convegno di studio, Atene, 2-7 ottobre 1985, L. S. Olschki, Firenze, 1987, pp. 79-131; E. Michel, Esuli italiani nelle Isole Ionie (1849), «Rassegna storica del Risorgimento», XXXVII (1950), pp. 327-344.

  8. Frutto di studi e ricerche sull’argomento furono i 4 volumi dal titolo Canti popolari toscani, corsi, illirici, greci, raccolti e illustrati da Niccolò Tommaseo, G. Tasso, Venezia, 1841-1842.

  9. N. Tommaseo Supplizio d’un italiano a Corfù, Barbera, Bianchi e Comp., Firenze, 1855. Una recente ristampa è a cura di F. Danelon, con uno studio di T. Ikonomou, Venezia, Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, 2008.