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Introduzione a cura di R. Nicolì

La presente edizione digitale per la Biblioteca di POLYSEMI riproduce alcune parti del testo di Francesco Cusani dal titolo La Dalmazia Le Isole Jonie e la Grecia (visitate nel 1840), edito in 2 volumi a Milano, nel 1847, per la Tipografia Pirotta. Le parti selezionate e trascritte dal testo originale d’epoca[1] sono inerenti l’area di progetto delle Isole Ionie, di cui l’autore parla nei primi sette capitoli del secondo volume.

Cusani avvisa che questa lunga relazione di viaggio è stata pubblicata con lo scopo «di offrire […] un quadro delle vicende politiche, degli usi, della letteratura, in breve della condizione odierna dei Dalmati e dei Greci».[2] Reduce dal viaggio, volle documentarsi sulla bibliografia esistente e sulle altre relazioni compilate a seguito di un transito in quelle terre, scoprendo così che i molti libri avevano trattazione monografica, specifica di un solo argomento di una sola disciplina, pochi erano invece quelli in cui studi relativi alla vita civile e culturale, storica e naturalistica finivano per congiungersi. Nel suo articolato comporsi, il testo di Cusani non è solo il frutto occasionale di impressioni di viaggio contingenti, bensì sembra essere un progetto che si è strutturato a seguito di studi e ricerche specifiche, di carattere storico, politico, etnoantropologico, linguistico, che sull’esperienza di viaggio si innestano per completarla. Dominante, quindi, è una volontà di estensione degli interessi e una certa determinazione totalizzante di conoscenza della realtà incontrata, in cui la soggettività dell’esperienza vissuta vuole garantire, tuttavia, una certa oggettività dello sguardo e della testimonianza. Il testo si ascrive certamente a quel gruppo di libri di viaggio caratterizzato dal concorso di molteplici contenuti non specializzati, che per la loro natura composita configurano una competenza interdisciplinare dell’autore e un destinatario quanto mai generico dell’opera.[3]

Il primo capitolo qui proposto è quello che descrive la traversata dell’Adriatico fino all’arrivo a Corfù, con note molto dettagliate sulla vita a bordo del vapore, un Loyd austriaco, fornito di una biblioteca che permette ai passeggeri di approcciarsi alla letteratura dei luoghi verso cui sono diretti, di studiarne i classici e la storia dei popoli: «E sono libri di storia, geografia, viaggi relativi alla Grecia ed al Levante nelle lingue italiana, francese, inglese e tedesca». Nel XIX secolo, se la fisionomia del viaggio si rinnova radicalmente nella pratica (organizzazione, circuiti, modalità di esecuzione), mantiene di fatto fermo un carattere già ben codificato nel secolo precedente e relativo alla sua dimensione ideale: il viaggio è veicolo di conoscenza, di socializzazione, di formazione, in una società che si fa sempre più connotata da cosmopolitismo. Ecco perché il Loyd propone ai suoi viaggiatori quanto di meglio era stato scritto sulla Turchia, sull’Egitto ed ovviamente sulla Grecia, da Strabone e Pausania, da Pocqueville a Clot-Bey. Il viaggio verso le coste est dell’Europa, si fa pratica sempre più diffusa e caricata di forti attese: diviene un momento-chiave dell’esperienza personale al quale le letture, messe a disposizione a bordo del vapore e su cui Cusani indugia, sembrano dover predisporre. La mente del viaggiatore viene contrassegnata proprio da questo intreccio di fuga e di conoscenza, di distacco dal noto e di incontro con l’alterità, che inizia già durante il viaggio stesso, ben prima di arrivare alla meta, in virtù di un dinamismo che esige una certa pregressa “conoscenza del mondo”. Se i libri sono gli strumenti sostanziali per prepararsi e poi per approfondire l’esperienza del viaggio, quelli messi a disposizione a bordo svolgono la funzione di orientatori, di suggeritori, di codificatori.

Il secondo capitolo, che si apre con la descrizione di Corfù «veramente bella per la sua posizione», ma dalle strade interne «brutte e mal selciate con case anguste e scomode», continua con una digressione, che prosegue nei tre capitoli successivi, sulla storia politica delle Isole Ionie, dalle antiche vicende fino al sesto parlamento.

Gli ultimi tre capitoli, riprodotti in questa edizione digitale (il quinto, sesto e settimo del secondo tomo), sono quelli più squisitamente connotati come odeporici, l’incontro con l’«altro» e l’esperienza dell’«altrove» hanno infatti assoluta centralità: Corfù e le sue città, ma anche Santa Maura, Cefalonia, Itaca, Zante, e le persone che lì vivono, con i loro costumi e le loro attività, dimore, alberghi e siti, vengono raccontati con una prosa agile, una ragnatela narrativa che va apprezzata per lo sforzo sotteso di voler eliminare diaframmi spaziali e temporali e riconoscere anche gli elementi di identità all’interno di una secolare unità culturale adriatico-ionica. Cusani dunque si rivela viaggiatore con interessi affini a quelli dei viaggiatori precedenti, del Settecento illuministico, con molta curiosità per i problemi anche civili della società che attraversa. LʼOttocento, com’è noto, segnò tuttavia un momento di svolta: il rinnovato fervore culturale e politico di inizio secolo portò ad una adesione unanime dell’élite europea agli stessi ideali di rinascita del mondo classico, tanto nei valori etici ed estetici, quanto nel recupero della storia dell’antichità greca che ne era depositaria e di cui proprio il suo popolo sembrava ingenuamente inconsapevole. Cusani, nel suo resoconto, racchiude nella narrazione di un singolo episodio tutta la stridente contraddizione tra gli entusiasmi dei viaggiatori europei e l’inconsapevolezza popolare greca: ad Itaca l’autore e il giovane prussiano, suo compagno di viaggio, rimangono interdetti davanti al papas della comunità del convento di Vriglia che, ricevendo un testo di Omero in segno di gratitudine per l’ospitalità offerta ai viaggiatori, dimostra di non sapere chi sia Omero, generando un inevitabile sconcerto. Il clima intellettuale europeo, dal quale i due viaggiatori provengono, è infatti già da qualche decennio dominato proprio dal dibattito sui poemi omerici e da un nuovo approccio a quei luoghi; mentre i Greci non sapevano chi fosse Omero, in Europa si stratificava una bibliografia sempre più ampia e si andava alimentando, spesso anche con disamine contorte e fantasiose, il dibattito sull’ ʻidentità omericaʼ delle isole. Itaca per esempio, oltre ad essere oggetto di descrizioni evocative, rappresentava un elemento indispensabile negli studi filologici di coloro i quali, nella corrispondenza tra descrizioni omeriche e luoghi reali, volevano cercare e – a tutti i costi – trovare il regno di Odisseo. Sarà poi nel 1900 che Dörpfeld condurrà il suo primo scavo alla ricerca concreta della città e del palazzo di Odisseo.

Il giovane prussiano, evidentemente diretto in Grecia per assecondare gli epigoni ottocenteschi dell’istituto del Grand Tour, è accuratamente descritto da Cusani come «pieno zeppo della filosofia trascendentale, e del misticismo di Schelling, Heghel e Goethe». Egli sembra incarnare il tipico viaggiatore scienziato ottocentesco, insolito nei comportamenti e totalmente assorbito dalla ricerca dei suoi oggetti di studio. Cusani lo rappresenta mentre si aggira per l’isola nelle ore più calde del giorno, raccogliendo campionature di piante e insetti, ed offrendo così «uno spettacolo insolito pei Greci curiosi e beffardi. Ma egli, sempre meditabondo, e a passi gravi, continuava la sua strada, impassibile alle osservazioni, ai sorrisi, agli scherzi». Eppure non si tratta certo di un figura muta se, contro l’ignoranza del papas sull’identità d Omero, espone verbalmente con veemenza tutto il suo sbigottimento. Due figure quindi, quella di Cusani narratore e quella del suo compagno di viaggio scienziato, abbastanza complementari nell’economia generale di queste pagine dedicate alle Isole Ionie: il primo esponente, per sua stessa ambizione, di quei viaggiatori desiderosi di restituire la totalità prismatica dell’esperienza, l’altro volenteroso di compiere un viaggio utile sostanzialmente alle sue personali conoscenze scientifiche; una coppia di compagni, in definitiva, costruita su uno schema che intreccia sguardo ampiamente panoramico e sguardo specificamente mirato.

Il viaggio di Cusani si scandisce anche come approccio alla storia e al paesaggio. Quell’inestricabile nodo di rovine archeologiche, vegetazione, costruzioni moderne, quel così unico intreccio simbolico tra Natura e Storia, si presenta, agli occhi dello scrittore, non solo come semplice spazio fisico, ma come gioco di profondi contrasti. A Corfù, corrono paralleli i viali di ulivi che sembrano querce e le strade costruite dagli inglesi sul modello di quelle romane. Di tanto in tanto si apre scenograficamente un paesaggio dai connotati edenici, scrive l’autore: «Le Benizze è luogo amenissimo, coltivato a giardini pieni di alberi fruttiferi, in ispecie limoni e aranci, sovente innestati sulla stessa pianta, e che allora in piena fioritura spandevano una soave fragranza, e rallegravano la vista coi frutti loro somiglianti ai pomi d’oro».

A Santa Maura è una costruzione umana, un acquedotto, l’unico monumento rimarchevole ma, attorno alla cittadina principale, oliveti e giardini floridi di agrumi si oppongono alla tristezza e alla compassione che ispira in generale la piccola isola. Né manca la descrizione dei paesaggi montani che si alternano alle visioni marine delle coste e agli interni cittadini. A Corfù il Pantocratore, raggiunto con difficoltà per l’aspra salita, compensa la fatica dei viandanti con la fascinazione della vista in lontananza della città di Corfù, dello scoglio di Vido e di tutta la costa sinuosa, dell’estesa veduta pittoresca di monti, colli e vallate, dalle varie tonalità di verde interrotte dal biancore delle case dei villaggi, ed infine, a chiudere lo sguardo panoramico a settentrione, è la montuosa costiera dell’Epiro di cui l’atmosfera rarefatta rende ben visibile in tutte le vette. A Cefalonia è dal Montenero che si sublima la geografia dei luoghi: «Grandioso era il panorama da quest’ultima vetta del Montenero, vedendosi Itaca, Zante, le coste dell’Acarnania e della Morea, ed una parte di Cefalonia; ma come una scena da teatro durò un istante, perché rischiarata appena dall’incerta luce del crepuscolo».

Cusani, cercando la sopravvivenza dell’antico, motore propulsore di tanti viaggi coevi, ha un approccio inusuale e sembra spesso individuare strade meno battute da altri viaggiatori, come davanti alle rovine di Samos, sulla costa orientale di Cefalonia. L’autore evita di proporre ai lettori, dandolo per scontato, il lungo discorso sulle contrastanti opinioni degli archeologi relative al popolo che lì abitava, limitandosi a dire circa le rovine: «A me basti aver notato queste di Samos, importanti per grandezza e conservazione, e pressoché sconosciute ai viaggiatori». Spesso si sente di dover smentire quanto attestato da altri su noti siti archeologici, come a Zante, dove prende consapevolezza dell’eccessiva enfasi usata, ad esempio, del conte Paolo Mercati nel suo saggio storico sull’isola, che di fatto non ha monumenti antichi, eccetto qualche colonna o qualche iscrizione di scarsa importanza, testimoniando che le Isole Ionie, rispetto al resto della Grecia, si connotano, talvolta, anche per l’assenza di vestigia.

Le considerazioni di Cusani sulle forme di erudizione delle Isole Ionie, sulle scuole, sulla produzione letteraria e scientifica – «qualche lavoro medico o archeologico sono da varj anni le uniche pubblicazioni», scrive – ci rivelano l’immagine di un intellettuale attento, sensibile al momento di grande tensione e rottura che le Isole stavano attraversando, per l’avvicendamento di forme e modelli di gestione del potere e di strutture sociali che inevitabilmente impattavano con la cultura. A Zante registra «il torpore in cui giacciono gli studj mancando scuole, biblioteche, stamperie», una amara constatazione proprio sull’editoria gli è offerta dall’occasionale conoscenza, fatta in quell’isola, di Amalia Nizzoli, con la quale condivideva evidentemente la passione per viaggi e scrittura. La scrittrice portava con sé un diario con le memorie di un viaggio in Egitto, illuminante sulle condizioni della donna, da pubblicare – secondo Cusani – quanto prima. Per l’assenza di tipografie a Zante, egli si assunse l’incarico, su richiesta della studiosa, di curare la stampa del testo al rientro in Italia. Di ciò l’autore non dà notizia in questo suo lavoro, ma dell’incontro parla nella Prefazione al libro della Nizzoli pubblicato poi a Milano, presso la stessa tipografia del suo resoconto di viaggio, nel 1841.[4] Il nobile e colto viaggiatore conclude che sostanzialmente le Isole Ionie vivono del riverbero di notorietà di pochi autori, da Foscolo a Solomos (Salomos, lo chiama Cusani), a Mustoxidi, in uno stallo culturale generale asfissiante e demotivante.

Egli tiene presente, infine, anche l’impatto di eventi decisivi nella sensibilità collettiva, setaccia il rapporto tra gli abitanti delle isole e gli inglesi, rapporto non di rado teso e conflittuale, e né dà, come sempre, saggio con la narrazione di specifici episodi che segnavano il grado di squilibrio tra isolani e inglesi. E nell’Epilogo, col quale chiude la sezione dedicata alle Isole Ionie, l’ultima considerazione è dedicata proprio alla contaminazione che questo popolo subisce, a scapito anche delle sue specificità: «Gli Joni, sia per carattere, sia per la vita civile e di famiglia, presentano un tipo speciale, perocchè in esse l’elemento originario greco venne modificato da lunga pezza dall’italiano, e da ultimo altresì dall’inglese».

Cusani, in definitiva, intreccia la pratica odeporica che prevedeva la capacità mimetica del viaggiatore nell’ambiente a quella opposta che prevedeva di porsi come un osservatore esterno, partecipe agli eventi, ma astratto da essi. Nella complementarietà di questi due modi di approcciarsi ai luoghi e alle persone, l’autore documenta il suo transito ponendosi in bilico tra dimensione letteraria e dimensione critica.

A più di duecento anni dalla sua pubblicazione, il testo di Cusani riveste ancora un indubbio fascino perché lo scrittore ritrae le Isole Ionie come una galassia composita: paesaggi naturali e situazioni urbane, presenza/assenza di vestigia e recenti costruzioni, stato sociale, politico e culturale sono oggetti di disamina e di argomentazione alla pari, cioè dall’insieme delle pagine qui proposte non emerge mai un singolo referente che risulti privilegiato, ma tutto costituisce di volta in volta una specifica messa a fuoco dell’autore destinata ad integrarsi nel quadro più ampio dell’opera complessiva.

  1. Per la presente trascrizione si è usata la copia disponibile presso la Biblioteca provinciale Nicola Bernardini di Lecce.

  2. F. Cusani, La Dalmazia Le Isole Jonie e la Grecia (visitate nel 1840), tomo I, cap. 8.

  3. Su questo argomento cfr. L. Clerici, Per un atlante dei resoconti dei viaggiatori in Italia: L’Ottocento in Il viaggio in Italia. Modelli, stili, lingue, a cura di I. Crotti, Atti del Convegno, Venezia 3-4 dicembre 1997, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1999.

  4. A. Nizzoli, Memorie sull’Egitto e specialmente sui costumi delle donne orientali e degli harem scritte durante il suo soggiorno in quel paese (1819-1828), Milano, Tipografia e Libreria Pirotta, 1841. Una riedizione del diario è a cura di Sergio Pernigotti, Amalia Nizzoli, Memorie sull’Egitto, Napoli, Le edizioni dell’Elleboro, 1996.