Fino a una quarantina di anni fa, a Bari ad angolo tra corso Vittorio Emanuele e corso Cavour, sorgeva un palazzo di dodici piani, conosciuto da tutti come il «grattacielo della Motta». In cima a questo edificio risplendeva la grande – e un po’ pacchiana– insegna luminosa al neon della famosa marca di dolciumi milanese che, al piano terra e al primo piano di questo palazzo, aveva aperto un grande bar e un ristorante, che erano diventati dei veri e propri punti di riferimento per i cittadini baresi.
Il «grattacielo» era stato costruito alla fine degli anni Cinquanta sulle macerie di un palazzo di soli due piani che ospitava una storica marca locale di caffè.
Giudicato da molti come il simbolo delle «banditesche imprese di speculazione edilizia» (B. Zevi, Cronache di architettura) che sfigurarono il centro murattiano di Bari, questo palazzo riassume bene quella provinciale voglia dei baresi di “scimmiottare” le grandi città del Nord. Eppure quando l’insegna della Motta fu tolta e i primi due piani dell’edificio, dopo decenni di abbandono, furono rilevati da una nota multinazionale americana di fast food, molti hanno rimpianto la pacchiana luce al neon che illuminava con la sua fredda luce rossa le notti del quartiere murattiano.