Il paesaggio delle Isole Ionie: Williams “il greco” sulle orme degli autori classici (diciannovesimo secolo)
Stefano Bronzini
«Il ricco paesaggio di Corfù, delle isole di Paxos, Cefalonia e Santa Maura, nuvole lontane sulle acque azzurre del Mar Ionio», ha catturato l’interesse di Hugh William Williams mentre viaggiava su una barca in quelle latitudini.
È possibile ripercorrere l’itinerario che egli ha seguito per raggiungere la Grecia attraverso le lettere destinate a John Thomson di Duddingston e raccolte nell’opera Travels in Italy, Greece, and the Ionian Islands, punteggiata di descrizioni suggestive che rispecchiano il talento dell’autore nell’arte della pittura di paesaggio.
Williams nacque nel 1773, probabilmente nel Devon. Era figlio unico del capitano Williams e della figlia del colonnello Lewis, vicegovernatore di Gibilterra, ma perse presto i genitori e fu allevato da sua nonna e dal secondo marito di costei, Louis Ruffini, a Edimburgo. Ruffini, un artigiano italiano, incoraggiò Williams ad interessarsi all’arte: egli divenne uno dei soci fondatori degli Associated Artists in Water-Colours (1808), dipinse paesaggi montuosi e, tra il 1811 e il 1812, pubblicò sei grandi incisioni di scenari nordici, mentre i suoi primi schizzi topografici apparvero sullo «Scots Magazine».
A giugno del 1816 Williams si imbarcò per un viaggio in Italia e in Grecia con il suo amico e mecenate William Douglas di Orchardton e fece ritorno a Edimburgo nel 1818. Durante il suo “Grand Tour” – così erano definiti i viaggi compiuti dai giovani membri delle classi più elevate che attraversavano il continente europeo per apprendere culture differenti e completare la propria formazione –, in virtù dell’interesse verso l’antichità classica e della competenza raggiunta, ottenne l’epiteto di “Grecian” Williams, ovvero Williams “il greco”. Un resoconto del suo viaggio, Travels in Italy, Greece, and the Ionian Islands, fu pubblicato nel 1820 ed è caratterizzato da descrizioni di paesaggi, paesi e persone, percepiti attraverso lo sguardo di un artista.
Tra le sue opere, insieme agli acquerelli dipinti durante i viaggi ed esposti nel 1822, degna di nota è la pubblicazione illustrata Select Views in Greece, che apparve tra il 1823 e il 1829.
È significativo che Williams abbia scelto la parte meridionale dell’Italia come punto di partenza per giungere in Grecia: “l’antica Apulia” diviene un ponte tra il continente europeo e le Isole Ionie. Sei lettere (XLV-L) sono dedicate a tale parte del viaggio: l’autore lascia Napoli tra il 15 e il 16 febbraio – presumibilmente del 1817 – e attraversa diversi paesi prima di raggiungere Otranto il 24 dello stesso mese, dove ha la fortuna di trovare una barca diretta in Grecia.
Williams segue le orme di viaggiatori e geografi antichi: il suo percorso diviene anche un itinerario metaforico e letterario nel mondo del mito e della cultura classica, che i lettori contemporanei, a loro volta, possono riproporre.
Fig. 1: L’itinerario di Williams
Nella descrizione dell’Italia meridionale i paesaggi di campagna sono in primo piano, dalle gole appenniniche, in cui si può godere della vista di «scene grandiose, di romantici villaggi e di vette montuose frastagliate» (H. W. Williams, Travels in Italy, Greece, and the Ionian Islands), alle pianure della Puglia, caratterizzate da fattorie, campi di grano e terre da pascolo. La topografia muta lungo il percorso da Barletta a Bari, dove a dominare è il calcare, dove:
i campi sono recintati da muri a secco, e le case, che sono numerose, sebbene in generale molto piccole, e tutte dal tetto piatto, hanno un’apparenza molto vivace per il loro estremo biancore che spicca sullo sfondo verde dei campi e dei frutteti
(H. W. Williams, Travels in Italy, Greece, and the Ionian Islands)
Bari affascina per la sua «imponente apparenza» e per la sua storia: in particolare, l’Emirato, stato islamico che sorse nell’847 e cadde nell’871, quando l’imperatore franco Ludovico II sconfisse gli Arabi, e l’assedio guidato da Roberto il Guiscardo contro i Bizantini nel 1068. (link 1)
L’itinerario continua verso Monopoli, dove le colline corrono parallele alla costa. Alberi di ulivo dominano il paesaggio: «hanno tronchi come vecchi salici» (H. W. Williams, Travels in Italy, Greece, and the Ionian Islands) e, per grandezza, somigliano a querce o persino a blocchi di granito grigio senza vita.
Fig. 2: Alberi di ulivo nei pressi di Monopoli
«La piccola città di Monopoli è splendida all’esterno: cupole, guglie e minareti s’innalzano sopra i suoi bastioni e lungo le mura, ma ogni cosa è in miniatura. Le strade sono strette ed estremamente pulite […]» (H. W. Williams, Travels in Italy, Greece, and the Ionian Islands)
Fig. 3: Monopoli
I viaggiatori interessati ad avere un assaggio della produzione locale possono gustare uva, grano, lupini e fichi d’India o acquistare capretti, cavolfiori e pesce al mercato.
La solitudine della costa è in armonia con l’atmosfera che pervade le rovine di Egnazia, nei pressi di Fasano, con la sua «cittadella in rovina».
Fig. 4: Egnazia. (foto di SilviaS75 is licensed under CC BY-SA 3.0)
Nel 1912 sono iniziati scavi sistematici che hanno portato alla luce un’intera città antica. Oggi il sito ospita un parco archeologico di quindici acri e un Museo Nazionale, dove è possibile ammirare i resti archeologici dalla media età del bronzo, all’epoca dei Messapi, a quella dei Romani
Le città che si incontrano sulla strada per Lecce sono Ostuni, in cima a una collina, San Vito e Mesagne. Il paesaggio è punteggiato di palme da datteri, aloe americano e piante aromatiche, quali salvia, rosmarino o timo.
A Lecce la scultura è degna di nota ma lontana dall’essere semplice, scrive Williams:
Nelle strade […] si possono trovare capitelli greci e romani e ogni contaminazione gotica. […] Le chiese e le case principali sono scolpite nello stile più ricco con uccelli, fiori, animali ed angeli. I balconi sono sostenuti da beccatelli decorati con eleganza e fantasia.
Sulla strada per Otranto i muretti in pietra ricordano un’aggregazione di stalattiti; i viaggiatori si imbattono nel villaggio di Calimera, uno dei paesi ora appartenenti ad un’area nota come Grecìa salentina, che rivela le radici elleniche della Puglia.
Il romanzo gotico di Horace Walpole ha consentito agli inglesi di conoscere il castello di Otranto, «un’imponente costruzione di notevole dimensione», con uno splendido ingresso caratterizzato da un’aria cavalleresca. A completare la caratterizzazione del luogo, la chiesa principale con il rosone e la sua cripta antica, e il porto, da cui si naviga verso la Grecia.
Fig. 5: Il castello di Otranto ritratto dall’artista. Williams ha dichiarato di averlo disegnato da ogni prospettiva. L’immagine è contenuta nell’opera “Travels in Italy, Greece, and the Ionian Islands” (Edinburgh, Constable and Co, 1820), illustrata con incisioni realizzate a partire dai disegni stessi dell’autore
Dalla nave che attraversa il Mare Adriatico, si possono ora distinguere chiaramente e nella loro interezza il promonotorio Acrocerauno e i monti della Chimera – prima frammisti alle nuvole dalla prospettiva della costa pugliese – con le loro cime innevate, a ricordare le Alpi. Citati da scrittori antichi, tra cui Plinio il Vecchio, racchiudevano la baia di Avlona – ora Valona – in Albania.
Fig. 6: Il promonotorio Acrocerauno, ritratto da Williams e raccolto nella sua opera “Select Views in Greece: with Classical Illustrations” (London, Longman, Rees, Orme, Brown, and Green, 1829)
Il panorama incantevole che si può guardare dal mare include Merlera e Fanò, due delle Isole Diapontie, che conducono il viaggiatore nel mito. Secondo la tradizione, infatti, Fanò potrebbe essere identificata con Ogigia, dove Odisseo fu imprigionato dalla ninfa Calipso, che viveva in un’ampia grotta, si legge nell’ Odissea: «Là nell’isola giace, dure pene soffrendo, nella dimora della ninfa Calipso, che a forza lo tiene». Si tratta del primo dei numerosi riferimenti alle opere classiche contenuti nelle lettere di Williams.
Merlera (Erikoussa) e Fanò (Othoni), situate a nord-ovest di Corfù, divennero protettorato britannico nel 1815 e furono approvate alla sovranità greca nel 1864, come le stesse Isole Ionie: questo spiega perché il territorio era meta prediletta dei viaggiatori inglesi durante il Grand Tour.
Fig. 7: Vista di Merlera (Erikoussa) dal mare
Fig. 8: Othoni, la baia di Calipso nella parte meridionale dell’isola
Abbiamo viaggiato accompagnati da un vento forte e fresco e da un sole gradevole attraverso lo stretto canale che separa Corfù dall’Epiro; abbiamo oltrepassato Kassiopi, dove si ergeva il tempio di Giove in età antica e, dalla parte opposta, il litorale di Butrinto che avanzava, mentre le coste e le colline di Corcira, variegate e boscose, che costituiscono il confine occidentale di un’ampia baia, si estendevano dinanzi a noi.(H. W. Williams, Travels in Italy, Greece, and the Ionian Islands)
Sulla costa nord-orientale di Corfù, Kassiopi deve il suo nome a un tempio dedicato a Giove Cassio, dove secondo le fonti classiche l’imperatore Nerone cantò dinanzi all’altare. Il tempio è stato poi sostituito da una chiesa. Un sentiero la collega all’entrata principale del castello bizantino sul promontorio a nord del villaggio, le cui vestigia sono straordinarie: è ancora possibile vedere diciotto torri di forma semicircolare, quadrata o rettangolare sulla sua cinta muraria.
Fig. 9: Il castello di Kassiopi (By Dr.K., CC BY 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=68635379)
Una varietà di popoli e costumi connota Corfù: greci, albanesi, italiani e inglesi, che di volta in volta l’hanno governata. Così Williams descrive la città vecchia di Corcyra (Kérkyra):
La città di Corfù è di notevoli dimensioni, le case hanno due o tre piani, le strade sono strette, con piccoli porticati da ogni lato. La Spianada militare è aperta ed estesa e offre un’ampia visuale dinanzi al palazzo e alle fortificazioni. (H. W. Williams, Travels in Italy, Greece, and the Ionian Islands) (link 2, link 3)
La grande e incantevole piazza che prende il nome di “Spianada” è un luogo dove sedersi all’ombra delle querce e delle acacie o rilassarsi guardando una partita di cricket sul campo vicino. Si trova tra la vecchia fortezza e la città; in passato non era permesso costruire nell’area, che doveva essere utilizzabile per le attività militari in qualsiasi momento. Alla sua estremità settentrionale, un ingegnere francese, de Lesseps, ha progettato due file di case, dando vita al “Liston”, costruito tra il 1807 e il 1814 durante il periodo napoleonico; sotto gli archi vi sono i più eleganti caffè della città. Ad adornare la parte settentrionale della Spianada, vi è oggi un imponente edificio neoclassico, il Palazzo di San Michele e San Giorgio. Fu costruito tra il 1818 e il 1823, per volontà di Sir Thomas Maitland. Come specificato nelle lettere, egli ospitò Williams nella propria dimora, fornendogli un appartamento. Il palazzo era anche sede del Senato delle Isole Ionie e dell’Ordine di San Michele e San Giorgio. Attualmente ospita il Museo di Arte Asiatica.
Fig. 10: Corfu, il Liston. (foto di Lao Loong – World66, CC BY-SA 1.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=22949302)
Ad attrarre il viaggiatore, più che l’architettura e gli edifici, è il paesaggio con le sue colture: uliveti che nascondono villaggi pittoreschi, orti di aranci e limoni ricchi di frutti dorati e fiori di ogni sfumatura – anemoni e iris – dal porpora al rosa scuro. Una vegetazione rigogliosa ci riporta al mondo classico: nel ritrarre il giardino di Alcinoo, Omero si sofferma sulla bellezza delle melagrane, delle olive verdeggianti e delle mele d’oro che lì crescono. Non a caso, la tradizione letteraria associa Corfù a Scheria, la terra dei Feaci dove fu accolto Odisseo. Nel racconto di Williams, mito e realtà si fondono per ricreare la toponomastica delle Isole Ionie. Scrive: «sulla riva opposta del grande lago di acqua salata chiamato Porto Vecchio si pensa che esista la Fonte Cressida, dove Odisseo ha conosciuto Nausicaa, figlia di Alcinoo», che lavava lì le sue vesti con le ancelle. «Esse cantavano mentre si lanciavano l’un l’altra la palla, destando così l’uomo». (Omero, Odissea, VI)
Il piccolo corso d’acqua noto come Fonte Cressida si trova a metà strada tra Perama, sulla costa orientale di Corfù, e la via interna principale, e si riversa nella laguna di Chalikiopoulos.
Il porto vecchio è inoltre rinomato per la sua roccia che somiglia a una nave: Omero racconta che Poseidone Enosìctono raggiunse la terra dei Feaci al fine di punirli per aver aiutato Odisseo a sopravvivere alla tempesta. Egli trasformò dunque la loro nave in pietra e «la radicò nel profondo». Si tratta dell’isolotto di Pontikonissi. (link 4) Vista dai monti che la circondano, Corfù, richiama la lama di una falce: di qui il nome “Drepane”, datole nell’antichità.
Procedendo a sud sulla sua goletta, tra Corfù e la costa albanese, Williams poté ammirare le baie e i villaggi dell’area. Superata Parga, nella parte nord-occidentale dell’Epiro, si imbatté nel bellissimo porto di Gaios, «il capoluogo della piccola isola selvosa di Paxos. La città è del tutto nascosta da due piccole insenature; la più esterna presenta una chiesa in rovina e parte di un antico muro ciclopico; la più interna è alta, sormontata da una fortezza moderna» (H. W. Williams, Travels in Italy, Greece, and the Ionian Islands).
Paxos affiora sulle profondità azzurre del Mar Ionio come un frammento incontaminato. La forma della città è singolare: crea un anfiteatro intorno a un piccolo porto orlato di ulivi e cipressi. L’autore la definisce «una miniatura di un capoluogo», dove tutto è immacolato:
i villaggi erano ordinati e pittoreschi; le case al loro interno erano estremamente pulite e le persone erano sedute all’ingresso godendosi il sole e divertendosi con diversi sport, apparentemente molto felici. (H. W. Williams, Travels in Italy, Greece, and the Ionian Islands)
Williams loda le buone maniere degli abitanti, sottolineando che le donne conducevano una vita ritirata, ma partecipavano ai festival a Gaios, dove danzavano accompagnate dal suono del flauto.
Fig. 11: Il porto naturale di Gaios somiglia a un fiordo, in quanto è protetto da due isolotti, Agios Nikolaos – noto per la sua fortezza veneziana – e Panagia, con il suo bianco monastero dedicato alla Vergine Maria. Williams ricorda che l’Isola della Madonna, all’ingresso del porto, accolse Marco Antonio il giorno prima della battaglia di Azio
Alberi di ulivo sono disseminati sull’isola e, dunque, l’olio è uno dei prodotti principali, insieme al vino, al mais e al miele. Il territorio può vantare quattrocento specie di piante, tra cui l’euforbia, il ranuncolo, il narciso, la ruta, la camomilla; è inoltre particolarmente comune lo sparto, che appartiene alla famiglia delle Graminacee ed è utilizzato per produrre tessuti. Come nella vicina Antipaxos, l’isolotto calcareo situato a due chilometri a sud di Paxos, il suolo si posa su diversi strati di rocce calcaree.
Privilegio del viaggio per mare è la vista sui luoghi affascinanti che si incontrano, la possibilità di indugiare, di vagare senza fretta. Navigando verso Zante, il visitatore può scorgere la rupe di Leucade, un’alta scogliera calcarea nota con il nome di Salto di Saffo. È situata all’estremità meridionale di Lefkada, prima chiamata Santa Maura, che per natura non è del tutto un’isola né una penisola: nel settimo secolo a. C. è stato aperto un canale che la separa dal continente. Il paesaggio evoca i versi di Ovidio nelle Heroides, che narrano il suicidio della poetessa per l’amore disperato nei riguardi di Faone: «va’ subito all’alta Leucade e non aver timore a gettarti giù dalla rupe». (Publio Ovidio Naso, Heroides)
I viaggiatori contemporanei, desiderosi di esplorare le altre isole, possono ripercorrere l’itinerario di Williams: lasciando Viscarda – oggi Fiskardo –, un villaggio all’estremità settentrionale di Cefalonia, sulla sinistra si scorge Itaca, che potrà essere visitata più tardi. Il viaggio nell’antichità classica continua con la vista dei luoghi presenti sulle pagine degli autori antichi: i villaggi di «Pelagia, Commitata e Dulichio» (H. W. Williams, Travels in Italy, Greece, and the Ionian Islands ), la roccia Daskalio e la baia dell’antica Same.
Nella descrizione di Itaca, patria di Odisseo, Omero cita: «Dulichio, Same e la selvosa Zacinto»; è però arduo collocare con precisione i toponimi sul territorio: Strabone propone di identificare Same con Cefalonia e, in seguito, il nome sarà attribuito a una città sulla costa orientale dell’isola.
Daskalio è un isolotto situato nello stretto canale tra Itaca e Cefalonia, che corrisponde probabilmente ad Asteris, dove – racconta Omero – gli usurpatori attendevano Telemaco per tendergli un’imboscata.
Dal canale è possibile distinguere il golfo di Patrasso, i monti della Morea – nome veneziano della penisola del Peloponneso – e Castel Tornese, come i veneziani chiamavano la fortezza costruita sulla sommità di una collina a Kastro-Kyllini, nell’Elide, in Grecia occidentale. La costruzione dell’edificio risale al dominio dei Franchi, in particolare agli anni tra il 1220 e il 1223, e il castello conserva i tratti architettonici del tempo. Il nome francese originario, Chateau Clermont, ha dato vita alla forma greca Chlemoutsi.
Fig. 12: Il Castello di Chlemoutsi
Le colline di Zante emergono per gradi,
dalle onde come isolette lontane, […] rivelando poi distintamente la cima aguzza dello Skopos, il castello, gli uliveti e le montagne alle spalle.
La città sorge all’angolo della baia e si innalza sulle pendici più basse delle colline a precipizio su cui si erge il castello. […] Le case sono belle, le chiese numerose, ma i campanili bassi per proteggersi dal pericolo a cui sono esposti, dalla frequenza dei terremoti. (H. W. Williams, Travels in Italy, Greece, and the Ionian Islands)
Il più forte, nel 1953, ha distrutto le chiese, i palazzi e i colonnati che avevano reso la città «il principale monumento veneziano in Grecia». (M. Young, Corfu and the other Ionian Islands)
Zante è un esempio di bellezza e grandezza ormai trascorse, dato che pochi edifici sono rimasti in vita. È possibile visitare le rovine dell’antico castello veneziano, sulla collina che sovrasta la città di Zacinto, da cui si gode di un panorama mozzafiato. L’edificio fu costruito nella regione di Bochali, sul sito dell’antica Acropoli, alla fine del quindicesimo secolo; poco dopo, fu distrutto dai Turchi e ricostruito.
Figg. 13 e 14: A confronto, due vedute della città di Zacinto dalla collina del castello, guardando verso il monte Skopos – una veduta contemporanea e una risalente al diciannovesimo secolo. La figura a destra, che risale al 1863, è opera del pittore Edward Lear
La costruzione delle mura e del sistema difensivo giunti sino a oggi fu completata nel 1646, poiché i frequenti terremoti danneggiarono le fortificazioni precedenti, ma il bastione nord-orientale risale probabilmente al sedicesimo secolo. L’ingresso principale ora non è visibile dall’interno, mentre l’entrata esterna è adornata da una scultura che raffigura il Leone di San Marco.
Il fascino del castello risiede inoltre nella sua pineta ombreggiata. La bellezza della natura è una caratteristica spesso evidenziata dagli scrittori antichi: Virgilio ha definito Zacinto «nemorosa», «selvosa»; Plinio il Vecchio ha lodato la grandezza e la produttività dell’isola, «straordinaria di fertilità».
Riecheggiando tali caratterizzazioni, Williams descrive come frutti e piante diano vita a un «tappeto riccamente variopinto»: la pianura di Zante è per lo più coperta da vigneti e distese di ulivi. Il vino è delizioso, ma la specialità dell’isola è la produzione di uva passa: gli acini vengono raccolti e “disseminati sul terreno a essiccare per quattordici giorni» (H. W. Williams, Travels in Italy, Greece, and the Ionian Islands)
A marzo è possibile riscontrare «una notevole quantità di fiori, rose, anemoni, violaciocche, garofani, grandi, pieni e a grappolo». (H. W. Williams, Travels in Italy, Greece, and the Ionian Islands)
Il monte Skopos è sormontato dalla cupola bianca del Monastero di Panagia Skopiotissa, costruito sui resti dell’antico Tempio di Diana, a cui l’isola era consacrata.
Fig. 15: Il Monastero di Panagia Skopiotissa
Nel villaggio di Melinado vi era un altro tempio classico dedicato a Diana, ora sostituito dalla chiesetta di Agios Dimitrios, in cui sono ancora visibili «colonne di granito con plinti e capitelli di marmo bianco». (H. W. Williams, Travels in Italy, Greece, and the Ionian Islands)
Dal monastero è possibile scorgere le isole Strofadi, descritte dall’eroe virgiliano Enea: «Mi accolgono dapprima in salvo dalle onde le rive delle Strofadi; […] le isole del vasto Ionio, che la sinistra Celeno e le altre Arpie abitano». (Publius Vergilius Maro, Aeneis)
Riferimenti classici sono disseminati nel testo: Williams menziona le sorgenti di bitume nel villaggio di Keri, a dodici miglia dalla città. Lo storico Erodoto aveva descritto tale fenomeno naturale nell’antichità:
Là ve ne sono parecchi di laghi; ma il più grande di essi misura 70 piedi in ogni senso e ha una profondità di due ‘orge’; in esso calano una pertica, alla cui estremità hanno legato un ramo di mirto e con questo mirto, appunto, estraggono la pece, che ha odore di bitume […]. (Herodotus, Historiae, IV)
Le sorgenti si trovano in una pianura acquitrinosa, accostabile alla Solfatara, che ha le sembianze di un cratere. La caratterizzazione dell’autore è suggestiva: «Dal fondo […] flussi di minerale grezzo allo stato liquido stillavano incessantemente e srotolavano le loro spire come i serpenti di Medusa». (H. W. Williams, Travels in Italy, Greece, and the Ionian Islands)
Risalendo in nave da Zante, i viaggiatori possono ritornare al litorale di Cefalonia e fare il loro ingresso nella baia dove è situata la capitale, Argostoli. Sulla costa occidentale, ad attrarli è Lixouri, «una graziosa e florida cittadina». (H. W. Williams, Travels in Italy, Greece, and the Ionian Islands)
Dell’isola sono richiamati pochi tratti: il luogo ha dato i natali all’architetto Pizzamano; l’antico nome “Tetrapoli” deriva dalla divisione in quattro distretti, Krane, Pale, Same e Pronnoi; sul maestoso monte Ainos sono state rinvenute tombe contenenti vasi, ossa e monete; il territorio può vantare i resti delle mura ciclopiche dell’antica Krane, un insieme di enormi pietre che si trovano a tre chilometri a est di Argostoli, all’estremità della baia di Koutavos.
Fig. 16: Le mura ciclopiche di Krane
A Same Williams si imbarca per dirigersi a Itaca, che definisce «rocciosa e brulla» ma ricca di fascino, in virtù del legame con l’epica antica, con la storia di Odisseo e della guerra di Troia.
Vathi, la capitale – il nome significa “profonda”, forse in riferimento alle acque dell’insenatura –, l’isola di Cazurbo (Skartsoumponisi), la baia di Dexia sono i luoghi che egli incontra. In linea con le altre lettere, l’autore fornisce annotazioni su ciò che è possibile gustare sull’isola: caviale, salmone, aringhe ed eccellente vino rosso. Ma ad attrarre la sua curiosità sono i siti che conservano reminiscenze classiche. Le rovine di quello che si pensa essere il Palazzo di Ulisse a Piso Aetos sono imponenti:
la caratteristica più notevole è la cinta ciclopica, che si estende dal castello alla base della collina. Le pietre delle mura sono di ogni forma e dimensione; ma vicino al castello, i resti sono costituiti da enormi pietre rettangolari, chiaramente opera di un artista. […] La piattaforma, in parte racchiusa in esse, ha un diametro di 90 o 100 piedi. All’interno vi sono due torrioni – così sono chiamati, ma sembrano antichi serbatoi, sebbene ora pressoché prosciugati. (H. W. Williams, Travels in Italy, Greece, and the Ionian Islands)
Piso Aetos è un piccolo porto pittoresco che collega l’isola a Cefalonia. Rivolgendo lo sguardo a ovest è possibile scorgere le rovine delle mura ciclopiche sulle pendici del monte Aetos. Tali resti appartengono a una città che potrebbe essere l’Alalkomenai citata da Strabone nel Libro X della sua Geografia. Gli abitanti del luogo hanno identificato la cittadella sulla cima della collina con il Castello di Odisseo, ma le ipotesi sull’esatta posizione dei siti omerici sono in realtà molteplici. Schliemann, per esempio, nelle sue prime ricerche collocò il Palazzo nella parte occidentale dell’isola, nei pressi del monte Aetos. Nella zona gli scavi archeologici sono stati frequenti. Williams e il suo compagno di viaggio notano la presenza di vasi e resti di antiche tombe, tra cui monete d’oro e d’argento. Nel 2010 un gruppo di archeologi dell’Università di Ioannina ha scoperto un palazzo dell’ottavo secolo a.C. nella parte settentrionale dell’isola e ha affermato che si trattava della dimora di Odisseo.
Una sorgente nella località di Perapigadi è stata associata nel 1806 alla Fonte Aretusa, dove Omero racconta che Eumeo faceva abbeverare le sue scrofe. Un corso d’acqua aveva scavato una profonda gola nella roccia: «L’acqua è fresca e gradevole al gusto e si racconta che coloro […] che vi si abbeverano vivono fino a tarda età». (H. W. Williams, Travels in Italy, Greece, and the Ionian Islands)
La Roccia del Corvo, che si eleva sulla fonte, è costituita da diversi strati di calcare, con noduli di varie dimensioni.
Itaca è dominata dal monte Nerito:
Dall’imponente altura su cui si erge il castello, il panorama sui regni di Laerte, di cui il monte Nerito è una caratteristica essenziale, è ampio, vario e affascinante, costituito dal mare e dal continente insieme, e da lontane isole classiche. (H. W. Williams, Travels in Italy, Greece, and the Ionian Islands)
Omero cita il luogo nel racconto di Odisseo ai Feaci: «Abito Itaca aprica: un monte c’è in essa, il Nerito sussurro di fronde, bellissimo».
Fig. 17: William Haygarth, “The rock of Corax and the fountain of Arethusa” (1810)
Il percorso reale e letterario di Williams nelle Isole Ionie termina emblematicamente a Itaca, patria di Odisseo, il viaggiatore per eccellenza.