[Tedesco]

[Spagnolo]

Introduzione a S. Pomardi, Viaggio in Grecia

a cura di R. NICOLì

Negli anni 1804, 1805 e 1806, per diciotto mesi, un aristocratico irlandese, talentuoso acquarellista, Edward Dodwell, e il pittore romano Simone Pomardi[1], noto per i suoi grandi acquerelli di soggetto quasi sempre architettonico, raffiguranti Roma e i suoi dintorni, visitarono la Grecia. Di quel viaggio restano circa 900 disegni ed acquarelli[2] e due testi che raccontano l’esperienza: quello pubblicato nel 1819 da Dodwell, A Classical and Topographical Tour through Greece during the years 1801, 1805, and 1806 (con disegni di Simone Pomardi), e quello redatto da Pomardi e fatto pubblicare in due tomi presso Vincenzo Poggioli Stampatore Camerale nel 1820 del quale, per la Biblioteca di POLYSEMI, sono stati scelti e trascritti due capitoli strettamente pertinenti le Isole Ionie, tratti dal tomo II.

I disegni, la cui presenza accanto ai testi riflettono tutto l’eclettismo tipico di un’età di transizione, furono motivo di screzio tra Dodwelle e Pomardi: quest’ultimo infatti, a corredo del suo diario di viaggio, utilizzò illustrazioni realizzate da Pietro Parboni piuttosto che quelli dell’amico irlandese con cui aveva condiviso l’esperienza greca. I 900 disegni eseguiti dai due viaggiatori offrono una testimonianza dello stato dei monumenti e delle aree archeologiche negli anni iniziali dell’Ottocento – dell’acropoli ateniese, dei monumenti micenei, del porto corfiota – quando le grandi campagne di scavo in Grecia dovevano ancora prendere avvio.[3]

Il testo di Pomardi risulta essere un dettagliato diario, riguardante non solo l’arte e l’archeologia ma anche il territorio e la politica della Grecia del tempo.  Testo e immagini, se pur slegati nelle scelte editoriali dell’autore, sono quindi una testimonianza preziosa, dalla quale traspare la nostalgia per l’antica grandezza di quelle terre. Sebbene questo lavoro sia stato prodotto in modo più modesto rispetto a quello di Dodwell, più del Classical and Topographical Tour, risulta essere una guida pratica per chiunque volesse ripetere quell’esperienza, ciò grazie alle descrizioni attente e utili dei luoghi.

Pomardi è tra i primi italiani a farsi interprete della riscoperta del mondo storico e sociale della Grecia agli albori dell’Ottocento, percorrendo una strada battuta certo più da inglesi e francesi che da italiani. Solo nel XIX secolo, infatti, cominciano a delinearsi i connotati di quel gruppo italiano di pionieri disposto a superare le difficoltà del territorio, muovendosi al di fuori dei più ‘comodi’ e consueti percorsi, per visitare anche aree e regioni prima inesplorate. Com’è noto, è proprio in Grecia che si cercano e si scoprono i diversi volti delle memorie storico-archeologiche, mentre cresce anche la seduzione per quell’ambiente naturale unita all’interesse per la geografia e per la componente umana del paesaggio.

Se tutta la Grecia gode di un posto privilegiato nell’immaginario europeo, sono le Isole Ionie ad avere di fatto la fortunata collocazione geografica che le vede al centro nelle rotte in uscita dal Golfo di Corinto, verso la fascia costiera epirota, tra l’Adriatico e lo Jonio, verso la Magna Grecia. Chiunque volesse relazionarsi alla Grecia non poteva quindi non considerare passaggio obbligato quello dalle Isole Ionie, per la loro naturale condizione di “porta” sul mondo ellenico. Le descrizioni delle Isole rappresentavano, d’altro canto, una sorta di verifica dei diversi approcci alla Grecia e al mondo classico: potevano essere descrizioni erudite di impronta umanistica, o prodotte dalla visione evocativa di stampo romantico, o racconti oggettivi di esplorazioni archeologiche condotte nella speranza di rinvenirvi i tesori della civiltà micenea.

Gli anni in cui si svolge il viaggio di Pomardi e Dodwell sono quelli immediatamente successivi al breve periodo di occupazione militare francese (1797-1798) e alla creazione dei tre dipartimenti di Corcira, di Itaca e del Mar Egeo. Le isole Ionie erano state unificate politicamente con l’istituzione della Repubblica Settinsulare, con l’appoggio degli Inglesi. Negli anni che vanno dal 1800 al1807, quelli quindi del viaggio, la neonata Repubblica, con una propria costituzione e relativa autonomia di governo, rimase formalmente indipendente (benché di fatto controllata politicamente dalla Russia e sottoposta tributariamente all’Impero ottomano). Con lʼEptaneso andava dunque costituendosi l’identità moderna dell’arcipelago. La Repubblica Settinsulare costituì tuttavia una fugace parentesi poiché meno di due anni dal rientro in Italia di Pomardi le isole tornarono in mano napoleonica, aggregate alle Province illiriche, e furono quindi occupate progressivamente dagli Inglesi e strutturate, a partire dal 1815, come Protettorato britannico.

Nel mutato scenario di inizio XIX secolo, le Isole Ionie emergono dall’ombra divenendo non solo centro di interesse e confronto militare tra le potenze europee, ma anche luogo di stimolo intellettuale in grado di catalizzare numerosi colti viaggiatori, avventurieri romantici, appassionati di antichità, che hanno lasciato resoconti di viaggio, descrizioni, indagini topografiche e archeologiche. Essi guardarono le isole sotto la luce del mito della classicità: sono quelli i luoghi descritti da Omero, sono la Feacia e il regno di Odisseo. I loro interessi vanno pertanto ad intersecarsi con gli sviluppi della filologia omerica dando luogo a una nuova lettura del paesaggio peraltro privo di grandi resti monumentali visibili, al contrario del territorio greco più orientale.

Del lavoro di Pomardi sono stati selezionati due capitoli del secondo tomo in cui l’autore descrive Zante, Itaca, Leucade e Corfù. Nel 1806, il viaggio sta ormai volgendo al termine, sono quelle le ultime tappe prima del rientro in Italia.

Il soggiorno a Zante, dove l’arista giunge provenendo da Corinto, è un soggiorno obbligato a causa di una lunga e debilitante febbre. Vi giunge lungo la costa che si affaccia sul golfo, dando conto anche dei più piccoli villaggi attraversati dei quali fornisce indicazioni di vario carattere, dalle origini storiche o mitiche del nome al loro stato attuale, dalla scenografia naturale che li circonda alle rovine che vi trova. Quest’ultimo, tra gli altri che pure non trascura, è sicuramente l’aspetto che maggiormente attira il suo interesse e la guida che egli usa, nell’approccio ai territori, è quella di Pausania. Così a Sicione durante una escursione su un monte, prende visione dei resti di colonne di ordine dorico, probabilmente appartenuti al tempio della Fortuna Acrèa, e a quello dei Dioscuri rammentati da Pausania. Il viaggio di Pomardi si configura come visitazione di itinerari di cui, in qualche misura, conosce la storia, non come semplice esplorazione del nuovo. Il suo sguardo è indirizzato verso quel che c’è da vedere secondo canoni del “meritevole” stabiliti dagli autori che egli conosce, su tutti proprio Pausania che spesso cita. La reale e diretta esperienza della Grecia esercitava evidentemente un effetto di assestamento di stereotipi che Pomardi, come ogni viaggiatore, si era costruito.[4]

Ciò che spesso sembra scandire i vari tragitti è la presenza/assenza di rovine. L’attraversamento della Grecia diventa a tratti constatazione di decadenza, in cui il passato è presente solo con pochi frammenti sconnessi, compromessi, dall’impietoso ma naturale fluire del tempo e dall’incuria. Scrive Pomardi diretto a Zante: «poco dopo entrammo ad Ipsilocastro, dove non scorgemmo nulla di antico. Ma qualche tempo dopo in una pianura a sinistra della strada trovammo le rovine di un edificio costrutto di pietre grandi con qualche frammento di bassorilievo»; o nel momento di approdare ad Itaca, sotto la rupe Corax «sulla quale veggonsi indizj di antichità»; ancora uscendo dal porto Vathy, vede le «rovine di un antico castello, che si chiama di Ulisse» e dove «scorgonsi molte rovine della stessa costruzione a poligoni». A Santa Maura, come ad Ipsilocastro, ne registra invece l’assenza, esponendo la sua delusione per il mancato rinvenimento delle vestigia di un castello.

Tutte le pagine di Pomardi, di cui qui proponiamo solo le parti inerenti l’Area di progetto, contengono anche forbite informazioni sulla toponomastica dei luoghi, sul clima, sulle colture, sulla viabilità delle strade e sulla storia: immancabile il riferimento al salto dell’infelice Saffo dagli scogli di Leucade, ma anche alle vicende contemporanee, come quando scrive: «Nella nostra dimora in Itaca ci fu riferito, che in quella isola si erano ritirati circa duemila uomini proscritti da Aly Bassà dell’Epiro». Ciò che risulta taciuto è, forse unicamente, la descrizione dell’umanità incontrata: non un cenno alla lingua, frequentissimo invece nei viaggiatori coevi, né sull’abbigliamento o sulle modalità di approccio allo straniero, solo dei proscritti informa che «gli abiti de’ loro capi erano molto ricchi, vestendo di velluto, scarlatto, e di altri panni di diversi colori», per il resto, circa gli abitanti, Pomardi fornisce al più il loro numero per città.

Nel testo qui proposto, l’autore, pur non essendo uno scrittore per formazione, si dimostra sensibile allo spirito dei luoghi, riconoscendo identità e dignità anche ai più piccoli agglomerati, come se la Grecia che percorre, che racconta, che disegna, avesse, in ogni suo anfratto, una latenza mitica.

Nota al testo

L’edizione digitale che qui si presenta, al fine di non comprometterne il colore epocale, è stata fedelmente trascritta dall’edizione a stampa del 1820. Si è ritenuto solo di emendare alcuni evidenti refusi tipografici (dirca corretto in circa, nella vicine montagne corretto in nelle vicine montagne, unacquedotto corretto in un acquedotto, in un solo caso la E mancava di accento pur essendo chiaramente un verbo).

  1. Per Simone Pomardi non esiste una voce del DBI, per alcune notizie sulla sua biografia cfr.: Pier Andrea De Rosa, Simone Pomardi (1757-1830) e la Roma del suo tempo, Artemide, Roma, 2011.

  2. Di cui circa seicento sono di Pomardi, i restanti di Dodwell. Gli acquerelli sono stati acquistati, in gran parte, nel 2002 dal Packard Humanities Institute della California.

  3. Sul versante del rapporto tra concezione artistica e viaggio nella fissazione di modelli interpretativi delle città e della veduta va ricordata la fondamentale raccolta di saggi di Cesare De Seta, grande storico del Grand Tour, Vedutisti e viaggiatori in Italia tra Settecento e Ottocento, Bollati-Boringhieri, Torino,1999.

  4. Sulla costruzione dell’idea di Est nei vari secoli cfr.: A. Brilli, Il viaggio in Oriente, Il Mulino, Bologna 2009