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Introduzione a R. Liberatore

a cura di R. Nicolì

Il testo di Raffaele Liberatore, di cui per la Biblioteca digitale di POLYSEMI sono state selezionate alcune parti relative all’area pugliese, fu pubblicato tra il 1829 e il 1832 presso gli editori Cuciniello e Bianchi. Si tratta di un ampio lavoro costituito, nella sua interezza, da tre volumi in folio e 180 incisioni che avevano come scopo quello di illustrare le bellezze paesaggistiche e architettoniche del Regno, dopo una lunga e scrupolosa ricognizione.

Il testo è ascrivibile a quel genere di letteratura che, in piena età romantica, con un rinnovato senso della storia, mirava a recuperare la memoria dei luoghi e i caratteri propri dei popoli in essi collocati. Si trattava, in realtà di un atteggiamento condiviso a livello europeo che però ebbe una singolare e duratura fortuna proprio a Napoli dove al consolidato interesse settecentesco per le indagini economiche, giuridiche, sociologiche si affiancò l’indagine di carattere storico-descrittivo. L’attenzione rivolta alle singole realtà locali, descritte e illustrate dopo attente e mirate ricognizioni, testimonia la volontà di numerosi intellettuali di recuperare le valenze della memoria identitaria proprio secondo i principi dell’ideologia romantica.

Molteplici descrizioni dei vari distretti regnicoli, analoghe a quelle di Liberatore qui proposte, produssero un cospicuo numero di testi in cui la relazione fra conformazione naturale del paesaggio e patrimonio artistico in esso collocato rappresenta un aspetto di non poco conto nelle articolate vicende relative alla costruzione della memoria identitaria storica e antropologica del Regno, nella prima metà del XIX secolo.[1]

Raffaele Liberatore[2], certo più famoso per la redazione del Vocabolario universale italiano (Napoli, Tramater, 1829-1840, 7 voll.), era noto negli ambienti intellettuali regnicoli per la sua vasta cultura che abbracciava la matematica, la filosofia, le lettere classiche e moderne. A Napoli conseguì anche una formazione specificamente giuridica e nel 1820, con Giuseppe Ferrigni e Carlo Troya, cominciò la sua attività di redattore per la rivista «Minerva Napolitana»[3], il più autorevole periodico del costituzionalismo napoletano. L’anno dopo il giornale fu sospeso e i collaboratori esiliati. Liberatore si rifugiò quindi a Roma e l’esilio divenne occasione d’incontro con molti liberali italiani e stranieri e con altri esuli meridionali. A Roma rimase fino all’ottobre del 1828, anno in cui, dopo reiterate suppliche, ricevette la grazia da Francesco I. La riconoscenza nei confronti del sovrano lo indusse, in accordo con gli editori, a dedicargli proprio il Viaggio pittorico nel Regno delle Due Sicilie. Di un viaggio cortigiano quindi si tratta, destinato a esportare e promuovere il mito della corte.

Sulla scia del settecentesco Voyage pittoresque dell’abate Saint-Non (Parigi, 1781, 3 voll.), le cui vedute sono considerate prototipi dell’incisione vedutistica francese del XVIII secolo, gli editori Cuciniello e Bianchi, con questa pubblicazione, si assunsero il compito di offrire un quadro dei luoghi del Regno delle Due Sicilie per come si presentavano, nella prima metà del XIX secolo, in tutti i loro aspetti più significativi.

Liberatore illustra il viaggio attraverso le varie province mettendo in rilievo, di ogni città o località, innanzitutto le notizie di carattere storico per poi fornire erudite informazioni anche sugli aspetti artistici. È particolarmente dettagliata la serie di vedute, monumenti, chiese, piazze e luoghi caratteristici di città e località dell’Italia meridionale e della Sicilia (alla quale è dedicato l’intero terzo volume), di Napoli, dei suoi immediati dintorni e della Puglia.

Un’altra ragione – forse di carattere più commerciale – per la quale gli editori Cuciniello e Bianchi, avevano dato avvio a una serie di queste pubblicazioni era relativa alla crescente richiesta di vedute-ricordo da parte dei turisti forestieri. Un discreto successo avevano infatti ottenuto, per fare un esempio, i due volumi dell’Itinerario istruttivo da Roma a Napoli ovvero descrizione generale di questa celebre città e delle sue vicinanze, stampato a Roma nel 1816 da Mariano Vasi, poi a Napoli presso la Tipografia di Porcelli nel 1821 e riproposto, sempre a Napoli, in lingua francese nel 1824. Il successo era probabilmente imputabile alle 50 illustrazione contenute nei volumi e che diffondevano, proprio con la modalità delle moderne cartoline, le immagini di luoghi e monumenti descritti nel testo.

Il Viaggio pittorico nel Regno delle Due Sicilie, tuttavia, si distingue dagli altri testi coevi per alcuni elementi innovativi: innanzitutto la presenza nel titolo del termine ‘pittorico’. Se fino al 1750 ‘pittorico’ coincideva sostanzialmente con ‘pittoresco’, secondo quanto teorizzato dal pittore e trattatista inglese Alexander Cozens[4], nel XIX secolo la differenza è sostanziale: il pittoresco coincide con il sublime, il suo repertorio è il più vario possibile – va dai tronchi caduti alle pozze d’acqua, dalle nuvole gonfie nel cielo agli animali al pascolo – e prevede l’uso di colori alle volte foschi, alle volte cerei, prediligendo anche scorci anomali. L’uso del termine pittorico sembra favorire piuttosto la volontà di basare i disegni sulla loro espressività reale, senza idealizzazioni. I disegni realizzati per il Viaggio pittorico nel Regno delle Due Sicilie sembrano essere quindi confacenti alle esigenze del momento e ad un consumo più “turistico”. Le innovazioni riguardano, infatti, anche la tecnica adottata per le tavole di piccolo formato inserite nel volume e che erano realizzate secondo il metodo litografico, quindi con una esecuzione molto rapida, non meditata, tesa a rendere il luogo senza aderenza emotiva con esso.

Queste novità fecero sì che l’opera fosse considerata una delle imprese editoriali più importanti dell’epoca di Francesco I. La rivista veneziana «Giornale di belle arti e tecnologia», ad esempio, nel 1833, parlando delle produzioni delle officine tipografiche Cuciniello e Bianchi, dedica una pagina di elogio alla vasta opera di Liberatore, considerandola il più bel lavoro uscito dai loro torchi e contestando ai predecessori del Liberatore di non aver posto cura nella scelta dei soggetti, essendo stati intenti piuttosto a «mettere in mostra la loro attitudine al creare briosi partiti, che [a] presentare la pura e vera espressione dei luoghi». All’autore del Viaggio pittorico viene invece riconosciuto il «fine accorgimento» nella scelta dei monumenti e dei luoghi che dagli illustratori vengono resi senza troppi riferimenti a «fatti storici e costumanze del popolo», lasciando ai lettori la possibilità di conoscerli piuttosto attraverso le dotte e diligenti informazioni fornite da Liberatore, «piene di notizie importantissime di storia ed ingegnose ricerche ed opinioni di cose d’arte», come imponeva un’attitudine tutta romantica.[5]

L’opera uscì inizialmente in fascicoli, ognuno comprendente tre tavole litografiche e le relative schede con il testo descrittivo, redatte da Liberatore, che vennero tempestivamente tradotte in francese da sua moglie, Elisa Zire.

Le parti selezionate per la Biblioteca di POLYSEMI sono relative alle descrizioni di alcuni punti nevralgici della Terra di Bari, tra cui Barletta e Trani (oggi BAT) e Monopoli, ma anche di Taranto, Comune rientrante nell’Area di Progetto, di cui Liberatore fornisce due dense pagine di informazioni storiche prendendo le mosse dall’avvento nell’VIII sec. a. C. di una colonia di spartani che la portò in breve tempo ad essere la città magno greca più potente nell’Italia meridionale, per questo in costante conflitto con le vicine popolazioni sannite e lucane, ma soprattutto con la Repubblica Romana per far fronte alla quale la città fu costretta a chiedere l’aiuto di Pirro prima e dei cartaginesi poi, senza tuttavia riuscire ad evitare di capitolare sotto Quinto Fabio Massimo nel 209 a.C.

Liberatore ricorda anche la fondazione mitica della cittadina magno greca, risalente a quando Taras, figlio di Nettuno (o forse di Ercole), navigò le acque di un fiume che ne avrebbe preso il nome, il Tara; in quelle stesse acque Taras scomparve, dopo la fondazione di quella che sarebbe poi diventata Taranto. Altra leggenda narra che Falanto, condottiero spartano si dirigesse nella terra pugliese affacciata sullo Ionio su consiglio dell’oracolo di Delfi il quale gli aveva predetto che avrebbe fondato la sua città quando avesse visto cadere la pioggia da un cielo sereno (in greco ethra); l’oracolo si avverò quando, giunto Falanto sulla foce del fiume Tara si addormentò appoggiato al grembo della moglie Ethra la quale ne bagnò il volto con le proprie lacrime. Dopo i riferimenti alla storia, anche la più recente della città, l’autore presenta Taranto ad un ipotetico viaggiatore «abbracciata dall’onde […] a guisa di sottile navicella, che due ponti da levante e da tramontana, quasi due cavi, tengono alle sponde legata» e continua: «Tepide qui sono le brume, lunga la primavera; la tempesta mai non commove i flutti di questo interno mare; la bianchezza del quale soavemente si contrappone al verdeggiare delle digradanti colline che lo coronano». Liberatore definisce così l’impianto scenografico della cittadina affacciata sul pescoso Ionio.

Analogamente per le altre città, è sempre presente un excursus storico che, se anche molto dettagliato, è sempre esposto in modo discorsivo, con una modalità evidentemente legata alle finalità pratiche dell’opera e alla volontà dell’autore di diffonderne la lettura presso un pubblico non specialistico. Segue quindi una descrizione dei luoghi con un’oculata «scelta di quanto di più vago e pregiato si ammira in un paese ove la Natura e l’Arte profusero a gara i loro tesori», come gli editori avvisano nella pagina di dedica al sovrano. Si individua una doppia direttrice quindi, da un lato l’indagine storiografica e dall’altro la descriptio dei paesi nella loro attualità. In quanto alla prima va osservato che negli anni in cui Liberatore scrive, quei primi decenni dell’Ottocento, si registra lo sforzo immane della scuola storica di reperire e strutturare i documenti del passato con l’obiettivo di definire in termini di maggior certezza le linee della tradizione culturale italiana. Per questo verso anche l’approccio dei viaggiatori alla storia dei paesi visitati – dalla più remota alla più recente – porta le tracce di questa tendenza alla ricostruzione della microstoria.

A Liberatore – si intuisce – non interessa tanto dimostrare le sue eventuali (limitate, in realtà) qualità letterarie, quanto fornire informazioni erudite e disperse, per poi passare al particolare documentario, ed infine alla descrizione suggestiva di scorci. Al pittore è invece lasciato il compito di fissare la singola immagine. E così di Barletta, Liberatore descrive «le vie belle lastricate», il castello e i muraglioni, le amene campagne che l’Ofanto bagna, ma lascia all’esecutore della litografia il compito di “mostrare” il punto realmente nevralgico della città: «Ma la più bella vista che si abbia della città è dalla parte del suo molo; e però di là sogliono ritirarla i pittori, siccome pur fece il nostro». Parlando di Trani si mostra incline, in certi passaggi, ad un tipo di descrizione che sembra guardare alla poesia idilliaca (in via di rilancio proprio in quegli anni), più che alla convenzionale tradizione del locus amoenus: «Che se vorrai, da quelle care ombre difeso, chiudere gli occhi al riposo, molcerà i tuoi sonni il basso mormorio delle marine onde che fra que’ tanti scoglietti si rompono, ovvero lo zampillare delle acque vive, le quali pur da essi pollano mirabilmente, grato ristoro alle fauci». Liberatore evoca così un’atmosfera piacevole e trasfigurata.

Più concreta e certamente meno trasfigurata è la descrizione che fa di Bari, città della quale fornisce però, in un paragrafo separato, il racconto della storia della basilica di San Nicola e dello stesso santo; Bari è protesa ad est, «siede alla riva del mare, in una penisola che sporge sull’Adriatico verso l’oriente» ed è una città in evoluzione, in cui, alla parte storica si va affiancando la parte nuova. Non manca neppure un breve, brioso passaggio finalizzato a descrivere un piccolo scorcio di umanità, l’unico di queste pagine: sono le giovani donne baresi: «le donzelle svelte della persona, linde, ed acconce secondo antica foggia la chioma, [che] danno più ch’altri di quella terra a divedere il greco sangue che scorre lor per le vene». Si tratta di una sorta di messa a fuoco, un doppio livello su cui incrociare lo sguardo: la storia prende prima corpo in un disegno panoramico e complessivo, con la descrizione delle origini della città che fu «da’ Greci coloni abitata», per poi essere rintracciata nel mirabile dettaglio della descrizione minuta.

  1. Cfr. su questo argomento i vari interventi confluiti in L’identità nazionale. Miti e paradigmi storiografici ottocenteschi, a cura di A. Quondam e G. Rizzo, Bulzoni Editore, Roma, 2005.

  2. Per la bibliografia di Raffaele Liberatore si vedano: A. De Angelis, Elogio di Raffaele Liberatore, Napoli, 1843; E. Rocco, Notizie biografiche di Raffaele Liberatore, in R. Mastriani, Dizionario geografico-storico-civile del Regno delle Due Sicilie, Napoli, 1839-1843, pp. 395-412; F. Lo Parco, R. L. letterato e pubblicista napolitano della prima metà del secolo XIX, in Atti della Acc. Pontaniana, s. 2, XXXIV (1929), pp. 75-97; G. Fazzini – D. Proietti, Liberatore, Raffaele, in Dizionario Biografico degli Italiani, versione on line consultabile al link: http://www.treccani.it/enciclopedia/raffaele-liberatore_(Dizionario-Biografico)/ (consultato il 15 luglio 2019).

  3. Il Primo numero è dell’8 agosto 1820, l’ultimo numero è del 10 marzo 1821. Si ritiene che il periodico dette espressione a originali idee su una futura confederazione degli Stati italiani precorritrici per alcuni aspetti del pensiero di Mazzini e di Gioberti. Cfr. V. Trombetta, L’editoria napoletana dell’Ottocento: produzione, circolazione, consumo, Franco Angeli, Milano, 2008, pp.16-19.

  4. Cfr.: G. C. Argan, L’Ottocento in L’arte Moderna, Sansoni, Firenze, I ed. 1970, p. 8.

  5. Cfr.: Di alcune opere della litografia napoletana. Memoria di Michele Ruggiero inserita nel Progresso, in «Giornale di belle arti e tecnologia», Paolo Lampato Tipografo Editore, Calle del Doge di San Maurizio, Venezia, Anno I, maggio 1833, p.153.